Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24274 del 16/10/2017


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Cassazione civile, sez. III, 16/10/2017, (ud. 09/01/2017, dep.16/10/2017),  n. 24274

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17091-2014 proposto da:

MINISTERO ECONOMIA FINANZE, in persona del Ministro in carica,

AGENZIA DEL DEMANIO in persona del Direttore pro tempore,

domiciliati ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui sono rappresentati e

difesi per legge;

– ricorrenti –

contro

C.A.M.;

– intimata –

nonchè da:

C.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPONIO

LETO 2, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO STRONATI, che la

rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

MINISTERO ECONOMIA, AGENZIA DEL DEMANIO FILIALE DI (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 2319/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/01/2017 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 13/5/2014 la Corte d’Appello di Roma -Sezione specializzata agraria- ha dichiarato inammissibili i gravami interposti, in via principale, dal Ministero dell’economia e delle finanze e dall’Agenzia del demanio, e, in via incidentale, dalla sig. C.A.M. in relazione alla pronunzia Trib. Roma n. 220/2012, recante declaratoria di affrancazione del fondo enfiteutico dell’estensione di mq 870 sito in località (OMISSIS) e distinto nel NCT al Foglio (OMISSIS), Partita (OMISSIS), Particella (OMISSIS), con capitale di affranco determinato nella misura calcolata dal CTU sul presupposto che trattasi di enfiteusi non già rustica bensì urbana o edificatoria, come tale pertanto spettante alla sua cognizione, e non della sezione specializzata agraria del tribunale.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il Ministero dell’economia e delle finanze e all’Agenzia del demanio propongono ora ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo.

Resiste con controricorso la C., che spiega altresì ricorso incidentale illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con unico motivo i ricorrenti in via principale denunziano “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 50 c.p.c., violazione dei principi della conservazione dell’appello e della transiatio iudicii, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 2 e 4.

Si dolgono che, trattandosi nella specie di fondi “gravati all’origine da enfiteusi rustica” ma successivamente “oggetto di lottizzazione e urbanizzazione abusiva a seguito delle quali era sorto il nucleo edilizio “n. (OMISSIS)””, per cui erano comunque maturati i presupposti della revisione del canone ex art. 962 c.c., erroneamente si sia nell’impugnata sentenza disapplicato “il consolidato principio della conservazione della domanda nei casi in cui l’appello sia stato rivolto alla sezione specializzata della Corte di Appello di Roma, anzichè a quella ordinaria della stessa Corte di Appello”, escludendosi la possibilità di farsi luogo alla transiatio iudicii, invero affermato già da Cass. n. 9867 del 1997.

Lamentano essere indubitabile che nella specie “sia stato instaurato un valido rapporto processuale di impugnazione con l’atto di appello avverso la sentenza del Tribunale di Ostia, e cioè avanti allo stesso organo giudiziario territorialmente competente, ossia la Corte di Appello di Roma, tuttavia nella speciale composizione agraria”, risultando invero “verificato il presupposto costituito dalla esistenza dello “strumento legislativo che legittimi il passaggio del rapporto processuale dal primo al secondo grado” (Cass., 12155/2004; 15866/2002; 1269/2003)”.

Si dolgono essere stata erroneamente ritenuto inapplicabile l’art. 50 c.p.c..

Il motivo è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.

Come le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di affermare, a scioglimento del contrasto interpretativo insorto anche nella giurisprudenza di legittimità, l’appello proposto davanti ad un giudice diverso, per territorio o grado, da quello indicato dall’art. 341 c.p.c. non determina l’inammissibilità dell’impugnazione, ma è idoneo ad instaurare un valido rapporto processuale, suscettibile di proseguire dinanzi al giudice competente attraverso il meccanismo della c.d. translatio iudicii, sia nell’ipotesi di appello proposto dinanzi ad un giudice territorialmente non corrispondente a quello indicato dalla legge, sia nell’ipotesi di appello proposto dinanzi a un giudice di grado diverso rispetto a quello dinanzi al quale avrebbe dovuto essere proposto il gravame (v. Cass., Sez. Un., 14/9/2016, n. 18121).

Le Sezioni Unite hanno al riguardo argomentato dal rilievo dell’impossibilità di negarsi, sul piano concettuale, che nel dettare i criteri per l’individuazione del giudice legittimato a ricevere l’appello la norma di cui all’art. 341 c.p.c. prevede in realtà un’ipotesi di competenza (intesa come frazione dell’intero esercizio della funzione giurisdizionale) da qualificarsi sui generis, in ragione della contemporanea previsione di criteri d’individuazione sia in senso verticale (giudice superiore) che orizzontale (giudice che ha sede nella circoscrizione di quello che ha pronunciato la sentenza), cui, proprio in considerazione dei suoi tratti peculiari, appare confacente la qualifica di “competenza funzionale” recepita dalle Sezioni Unite di questa Corte (“L’individuazione del giudice di appello, ex art. 341 c.p.c., attiene a una “competenza” territoriale del tutto sui generis, che prescinde dai comuni criteri di collegamento tra una causa e un luogo: dipende indefettibilmente dalla sede del giudice a quo, sicchè è dotata di un carattere prettamente funzionale che impedisce il definitivo suo radicamento presso un giudice diverso, per il fatto che la questione non sia stata posta in limine litis”: così Cass., Sez. Un., n. 23594 del 2010).

Le Sezioni Unite hanno per altro verso disatteso l’assunto, posto a base delle decisioni escludenti l’applicabilità al giudizio di appello dell’art. 50 c.p.c., secondo cui l’erronea individuazione del giudice legittimato a decidere sull’impugnazione non dà luogo a una questione di competenza, ma comporta l’inammissibilità del gravame.

Hanno al riguardo posto in rilievo come il vizio derivante dall’individuazione di un giudice di appello diverso rispetto a quello determinato ai sensi dell’art. 341 c.p.c.non rientra nè tra i casi per i quali è espressamente prevista dalla legge la sanzione della inammissibilità del gravame nè tra i casi in cui non è configurabile il potere di impugnare, osservando che esso non incide sull’esistenza del potere di impugnazione ma solo sul suo legittimo esercizio, in quanto avvenuto avanti a giudice diverso da quello avanti al quale il gravame andava proposto (v. Cass., Sez. Un., 14/9/2016, n. 18121, ove si è precisato che l’inammissibilità del gravame resta limitata alle ipotesi in cui manchi lo strumento processuale prescritto dalla legge per il passaggio del rapporto processuale dal primo al secondo grado del giudizio, come quando la parte soccombente in primo grado adisca, con l’appello, un giudice di grado pari a quello che ha emesso la sentenza impugnata ovvero lo stesso giudice che tale sentenza abbia pronunciato; Cass., 7/12/2016, n. 25078).

Le Sezioni Unite sono quindi pervenute a ritenere applicabile, in caso di erronea individuazione del giudice competente per grado, il principio della translatio iudicii.

Hanno al riguardo posto in rilievo come anche in tale ipotesi, come in quella di erronea individuazione del giudice territorialmente competente, si è in presenza di un errore che cade esclusivamente sulla individuazione del giudice avanti al quale deve essere proposto l’appello avverso la decisione di primo grado, non incidendo esso sull’esistenza del potere di impugnazione ma solo sul modo di relativo esercizio.

A tale stregua, riconosciuto effetto conservativo all’atto di appello proposto avanti a giudice territorialmente incompetente non vi è invero motivo per escludersi il medesimo effetto in caso di gravame (sempre che la scelta del mezzo di impugnazione sia corretta) proposto avanti a giudice non corrispondente, per grado, a quello indicato dall’art. 341 c.p.c..

In entrambe le ipotesi si è infatti in presenza di vizio attinente alla competenza funzionale del giudice di appello, sicchè per ragioni di coerenza sistematica non possono farsene derivare differenti conseguenze, dovendo per entrambe ritenersi applicabile il meccanismo delineato all’art. 50 c.p.c. (v. Cass., Sez. Un., 14/9/2016, n. 18121).

Le Sezioni Unite hanno dunque privilegiato l’orientamento in base al quale la proposizione del gravame avanti a giudice diverso da quello normativamente all’uopo previsto non impedisce l’instaurazione di un valido rapporto processuale di impugnazione.

Principio da questa Corte ritenuto applicabile anche con riferimento all’ipotesi come nella specie di erronea proposizione del gravame avanti a Sezione Specializzata Agraria, anzichè ordinaria, della Corte d’Appello.

Si è al riguardo precisato che (anche) in tal caso l’instaurato rapporto processuale di impugnazione prosegue per effetto dell’impulso originario di parte, anche allorquando la translatio iudicii venga disposta d’ufficio e non ad istanza di parte (cfr., con riferimento ad ipotesi di gravame interposto avanti al giudice ordinario anzichè alla Sezione Specializzata Agraria della Corte d’Appello, Cass., 10/10/1997, n. 9867; Cass., 28/10/1978, n. 4940).

Orbene, nell’impugnata sentenza la corte di merito -Sezione specializzata agraria-, ha osservato che “il procedimento del fondo enfiteutico,- sia che si tratti di enfiteusi rustica che di enfiteusi urbana o edificatoria- si svolge, ai sensi della L. 22 luglio 1966, n. 607, artt. 2 e ss. e della L. 18 dicembre 1970, n. 1138, art. 11, in due distinte fasi: una, sommaria ma comunque in contraddittorio, di competenza del tribunale in composizione monocratica; ed una, eventuale e determinata dall'”opposizione” di “chi vi ha interesse”, che si conclude con sentenza che decide definitivamente la controversia”, con la particolarità che per le enfiteusi rustiche l’opposizione si propone davanti alla sezione specializzata agraria del Tribunale (L. n. 607 del 1966, art. 4, comma 5) mentre, per le enfiteusi urbane o edificatorie, le opposizioni “seguiranno le norme ordinarie della competenza” (L. n. 1138 del 1970, art. 11 cpv.), e cioè si propongono davanti allo stesso Tribunale in composizione monocratica”.

Ha ulteriormente posto in rilievo che “nella specie, il Tribunale ha deciso la controversia unificando le due fasi, ritenute entrambe di sua competenza sul presupposto che si trattasse di enfiteusi urbana”; e che “l’impugnazione avverso una sentenza del Tribunale ordinario non specializzato” deve essere “necessariamente proposta alla Corte d’Appello davanti alle sezioni ordinarie, atteso che la sezione specializzata… è funzionalmente preposta a conoscere solo delle sentenze emesse dalle sezioni specializzate agrarie dei Tribunali e la sua specializzazione non sembra consentirne la parificazione alle altre sezioni”.

E’ quindi pervenuto ad erroneamente affermare che, ove come nella specie l’appello venga “proposto davanti ad un giudice funzionalmente incompetente”, non essendo “applicabile nè l’art. 38 nè l’art. 50 c.p.c.” la “erronea individuazione del giudice legittimato a decidere sull’impugnazione non si pone come questione di competenza, ma riguarda la valutazione delle condizioni di proponibilità o ammissibilità del gravame, che deve pertanto dichiararsi precluso se prospettato a un giudice diverso da quello individuato dall’art. 341 c.p.c.”.

A tale stregua, la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatto invero applicazione proprio del principio non accolto dalle Sezioni Unite e rimasto ormai superato dal relativo arresto, dichiarando l’inammissibilità dell’appello anzichè declinare la propria competenza e disporre la rimessione del processo ai sensi dell’art. 50 c.p.c., facendo salvi gli effetti conservativi dell’impugnazione (cfr. Cass., Sez. Un., 14/9/2016, n. 18121; Cass., 9/6/2015, n. 11969).

In accoglimento del ricorso, dichiarato inammissibile quello in via incidentale spiegato dalla controricorrente C. stante il difetto dei requisiti formali minimi necessari per poter essere qualificato come tale (sintomaticamente invero risultando dalla medesima indicato come atto d’appello), dell’impugnata sentenza s’impone pertanto la cassazione in relazione, con declaratoria della competenza della Corte d’Appello ordinaria di Roma, avanti alla quale le parti, anche per le spese del giudizio di cassazione, vanno rimesse (cfr. Cass., Sez. Un., 15/12/2016, n. 25837).

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso principale. Dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Cassa l’impugnata sentenza e dichiara la competenza della Corte d’Appello ordinaria di Roma, avanti alla quale rimette le parti, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2017

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