Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2427 del 04/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 04/02/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 04/02/2020), n.2427

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

FRATELLI L. s.r.l., in persona del l.r.p.t., rappr. e dif.

dall’avv. Lorenzo Massagli, elett. dom. in Camaiore (Lucca), presso

lo studio del medesimo, in via dè carpentieri n. 10, centro

direzionale Le Bocchette, fraz. Capezzano Pianore, come da procura

in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) s.n.c. di (OMISSIS) s.r.l., con socio unico,

nonchè i soci ill. resp. Fallimento (OMISSIS) s.r.l. in

liquidazione e Fallimento (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, in

persona dei cur. fallim. p.t., rappr. e dif. dall’avv. Carlo

Emanuele Barbanente, elett. dom. in Roma, presso lo studio dell’avv.

Stefania Contaldi, in via Pierluigi da Palestrina n. 63, come da

procura in calce all’atto;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza App. Genova 9.3.2017, n. 310/17 in

R.G. n. 1165/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 12 dicembre 2019 dal Consigliere relatore Dott. Massimo

Ferro;

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma

semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del

Primo Presidente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. Fratelli L. s.r.l. impugna la sentenza App. Genova 9.3.2017, n. 310/17 in R.G. n. 1165/2013 con cui, in accoglimento dell’appello proposto dalla società (OMISSIS) s.n.c. (poi proseguito dal curatore del relativo fallimento, insieme ai curatori delle due società soci illimitatamente responsabili), ha negato che la ricorrente, creditrice della (OMISSIS) s.n.c., potesse essere considerata artigiana; tale qualifica, richiesta in autonomo giudizio da parte del creditore e verso il debitore allora in concordato preventivo, è stata esclusa ai sensi del novellato art. 2751-bis c.c., n. 5, norma ritenuta non applicabile a crediti sorti prima della sua vigenza;

2. la natura chirografaria del credito era inoltre sostenuta alla stregua dell’unico criterio applicabile, l’art. 2083 c.c., mancando la prova della prevalenza del lavoro del titolare dell’impresa, costituita in società di capitali, altra ragione ostativa alla domanda;

3. la ricorrente deduce in due motivi: a) la violazione dell’art. 2751-bis c.c., n. 5, nonchè il vizio di motivazione con riguardo alla mancata ammissione delle istanze istruttorie (testi e CTU), avendo errato la corte nel restringere il privilegio per le società di capitali e comunque non valutando la prevalenza del lavoro sul capitale anche in senso funzionale, oltre che quantitativo (mobilio per yacht di lusso); b) la violazione dell’art. 91 c.p.c. e il vizio di motivazione con riguardo alle spese di giudizio dei gradi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. il primo motivo è inammissibile; la complessa contestazione con cui esso è formulato richiama più che una interpretazione dell’art. 2751-bis c.c., n. 5, diversa da quella su cui si è esercitato il giudice di merito, un differente risultato a sè favorevole; va invero premesso che la corte genovese, nell’escludere l’applicazione nella vicenda del novellato art. 2751-bis c.c., n. 5), secondo il regime riformato – per il quale il D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, art. 36 (conv. nella L. 4 aprile 2012, n. 35) conferirebbe il privilegio ai “crediti dell’impresa artigiana, definita ai sensi delle disposizioni legislative vigenti, nonchè delle società ed enti cooperativi di produzione e lavoro per i corrispettivi dei servizi prestati e della vendita dei manufatti” – ha esplicitamente e correttamente richiamato il criterio dell’art. 2083 c.c.;

2. la conseguente disamina, riservata al giudice di merito, dei fatti posti dal creditore, onerato sul punto della prova della prevalenza del lavoro del titolare dell’impresa (una s.r.l. a due soci) e del fattore lavoro rispetto al capitale investito, ha condotto ad un motivato giudizio negativo, sia per i limiti del contributo offerto proprio dalla società ricorrente, sia per il peso attribuito al numero dei dipendenti addetti al processo produttivo; tali fattori – nella presente sede – non sono stati contestati in modo specifico e autosufficiente dalla parte, che si è limitata ad invocare una concomitante valenza qualitativa e funzionale dell’attività, alla stregua di criterio equivalente rispetto a quello del citato rapporto lavoro-capitale; in ciò, chiedendo nella sostanza di far assumere allo specialismo del lavoro svolto in azienda, una connotazione – par di comprendere – talmente essenziale da costringere l’interprete a riorientare i giudizio sulla personalità del lavoro stesso, considerandolo alfine sempre e comunque prevalente sul capitale; così ricavata la parte più originale dell’impugnazione, essa s’infrange tuttavia sul principio, cui va data continuità, per cui “in tema di impresa artigiana, i criteri richiesti dall’art. 2083 c.c., ed in genere dal codice civile, valgono per l’identificazione dell’impresa artigiana nei rapporti interprivati, mentre quelli posti dalla legge speciale (L. 8 agosto 1985 n. 443) sono, invece, necessari per fruire delle provvidenza previste dalla legislazione (regionale) di sostegno, sicchè l’iscrizione all’albo di un’impresa artigiana, effettuata ai sensi della ricordata L. n. 443 del 1985, art. 5, non spiega alcuna influenza ai fini dell’applicazione dell’art. 2751 bis c.c., n. 5 – nel testo vigente “ratione temporis”, prima della novella introdotta dal D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito dalla L. n. 35 del 2012 – dettato in tema di privilegi, dovendosi, a tal fine, ricavare la relativa nozione alla luce dei criteri fissati, in via generale, dall’art. 2083 c.c.. Ne consegue che, per accertare la ricorrenza della qualità di piccolo imprenditore, occorre valutare l’attività svolta, il capitale impiegato, l’entità dell’impresa, il numero dei lavoratori, l’entità e la qualità della produzione, i finanziamenti ottenuti e tutti quegli elementi atti a verificare se l’attività venga svolta con la prevalenza del lavoro dell’imprenditore e della propria famiglia” (Cass. s.u. 5685/2015; Cass. 22593/2015);

3. il giudizio così espresso dal giudice di merito soggiace a sua volta al nuovo, stretto, perimetro indicato da Cass. s.u. 8053/2014 per cui “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.”; invero “l’omessa pronunzia continua a sostanziarsi nella totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto” (Cass. 21257/2014); nè tale circostanza negativa può dirsi sussistente, avendo la corte ligure assunto specifica posizione sui requisiti personalistici sottesi alla disposizione civilistica, dando conto della mancata prova della prevalenza del contributo lavorativo del titolare nell’organizzazione produttiva aziendale; va poi aggiunto che tale conclusione anche implicitamente assorbe la decisione di non dar corso alle incombenze istruttorie sollecitate, per le quali può ripetersi che “il giudizio sulla necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione è, di regola, incensurabile nel giudizio di legittimità; tuttavia… è consentito denunciare in Cassazione, oltre all’anomalia motivazionale, solo il vizio specifico relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che sia stato oggetto di discussione tra le parti, ed abbia carattere decisivo. Ne consegue che il ricorrente non può limitarsi a denunciare l’omesso esame di elementi istruttori, ma deve indicare l’esistenza di uno o più fatti specifici, il cui esame è stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui essi risultino, il “come” ed il “quando” tali fatti siano stati oggetto di discussione processuale tra le parti e la loro decisività.” (Cass.7472/2017);

4. quanto premesso rende assorbito sia il profilo, pur incertamente contestato, della veste formale societaria quale preclusiva al riconoscimento della causa di prelazione, sia il secondo motivo in punto di spese, avendo il giudice fatto piana applicazione del criterio della soccombenza (Cass. 24502/2017); nè, sul punto, soccorre il richiamo alla formazione di indirizzo di legittimità del 2013, avendo esso integrato solo una delle rationes decidendi, senza intaccare l’autonoma reiezione per difetto di coerenza con il parametro codicistico citato, orientamento consolidato e non nuovo;

5. il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, con ogni statuizione condannatoria avendo riguardo al principio della soccombenza. Si dà atto inoltre – mancando ogni discrezionalità al riguardo (cfr., tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass., Sez., U. 27/11/2015, n. 24245; Cass., Sez., U. 20/06/2017, n. 15279) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1- quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, a norma del detto art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in favore del controricorrente in Euro 3.000, per compensi ed Euro 100 per esborsi, oltre oneri accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2020

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