Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2427 del 03/02/2021

Cassazione civile sez. II, 03/02/2021, (ud. 08/09/2020, dep. 03/02/2021), n.2427

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23723/2019 proposto da:

A.E.B., rappresentato e difeso dall’avv. PAOLO TACCHI

VENTURI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA;

– c/ ricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il

25/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/09/2020 dal Consigliere ROSSANA GIANNACCARI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A.E., cittadino (OMISSIS) proveniente dall’Edo State, chiese alla Commissione territoriale di Verona il riconoscimento della protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o della protezione umanitaria.

1.1. Espose che, in data 20.6.2016, si trovava presso un centro missionario nel (OMISSIS) e, durante la preghiera notturna, veniva attaccato da un gruppo di mandriani fulani e, in occasione di tale aggressione, due persone perdevano la vita ed altre venivano gravemente ferite; nel tentativo di proteggere una ragazza, anche uno dei fulani perdeva la vita per mano di un missionario. In seguito a tale attacco, egli fuggiva nel bosco con altre persone e con la donna messa in salvo; in seguito apprendeva dal padre che era ricercato dai fulani tanto che, con il suo avvocato, si recava alla stazione di Polizia per denunciare i fatti; lasciava quindi la città di (OMISSIS) per recarsi a (OMISSIS), ma apprendeva che la sua abitazione era stata bruciata; inoltre, non potendo più frequentare la città e sapendo che era ricercato, decideva di lasciare il proprio Paese per giungere in Italia nel 2016.

1.2. Il racconto non venne ritenuto credibile dalla Commissione Territoriale e dal Tribunale per la sua inverosimiglianza, per essere lo stesso poco circostanziato in relazione alle modalità di liberazione della ragazza ed all’accanimento dei fulani nei suoi confronti nonostante il ruolo marginale nella vicenda; anche il rapporto di polizia prodotto risultava privo di data certa e appariva di incerta provenienza. Il Tribunale escluse, poi, che in Nigeria, nell’Edo State, vi fosse una situazione di conflitto indiscriminato e respinse, altresì, la richiesta di rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, considerando sia le condizioni del Paese di provenienza, sia l’assenza di integrazione del richiedente nel Paese di destinazione, non essendo sufficiente, a tal fine, l’esercizio di attività lavorativa a tempo determinato e la partecipazione a corsi di studio.

2. Ha proposto ricorso per cassazione A.E. sulla base di tre motivi.

2.1. Il Ministero degli Interni ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente esaminato, per ragioni di carattere logico-giuridico, il terzo motivo di ricorso con il quale si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 3, comma 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 11, art. 50 bis c.p.c. e art. 16 della Direttiva UE 32/2013, per avere il Tribunale delegato l’audizione del richiedente la protezione internazionale al giudice onorario, in tal modo impedendo il rapporto diretto tra la parte ed il giudice. Ulteriore vizio sarebbe costituito dalla mancata partecipazione del GOT che aveva proceduto all’ascolto al collegio giudicante.

1.1. Il motivo è inammissibile.

1.2. Questa Corte ha ripetutamente escluso la nullità del procedimento nell’ambito del quale il collegio della sezione specializzata in materia di immigrazione abbia delegato ad un giudice onorario di tribunale il compito di procedere all’audizione del richiedente, riservandosi la decisione della causa all’esito di tale adempimento: in proposito, è stata, infatti, richiamata la disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 116 del 2017, recante la riforma organica della magistratura onoraria, e segnatamente le disposizioni dettate dall’art. 10, che consente ai giudici professionali di delegare, anche nei procedimenti collegiali, compiti e attività ai giudici onorari, ivi compresa l’assunzione di testimoni, e dall’art. 11, il quale esclude l’assegnazione dei fascicoli ai giudici onorari soltanto per specifiche tipologie di giudizi, tra i quali non sono compresi quelli di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis (cfr. Cass., Sez. I, 16/04/2020, n. 7878; 20/02/2020, n. 4887; Cass., Sez. VI, 5/02/2019, n. 3356).

2. Con il primo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità del decreto per motivazione apparente o inesistente e la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.P.R. n. 349 del 1999, artt. 11 e 29 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione al mancato riconoscimento della protezione umanitaria, sostenendo che il Tribunale non avrebbe tenuto conto del livello di integrazione raggiunto dal ricorrente, sulla base del giudizio comparativo.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2. Il rilascio del permesso di soggiorno per gravi ragioni umanitarie, nella disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 – applicabile ratione temporis, in conformità a quanto disposto da Cass., Sez. Un. 29459 del 13/11/2019, essendo stata la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno proposta prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, rappresenta una misura atipica e residuale, volta a tutelare situazioni che, seppur non integranti i presupposti per il riconoscimento delle forme tipiche di tutela, si caratterizzino ugualmente per la condizione di vulnerabilità in cui versa il richiedente la protezione internazionale.

2.3. L’accertamento della summenzionata condizione di vulnerabilità avviene, in ossequio al consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. civ., sez. I, 15/05/2019 n. 13088; Cass. civ., sez. I, n. 4455 23/02/2018, Rv. 647298 01), alla stregua di una duplice valutazione, che tenga conto, da un lato, degli standards di tutela e rispetto dei diritti umani fondamentali nel Paese d’origine del richiedente e, dall’altro, del percorso di integrazione sociale da quest’ultimo intrapreso nel Paese di destinazione.

2.4. Le Sezioni Unite hanno consolidato l’indirizzo espresso dalle Sezioni Semplici, secondo cui occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto nel nostro Paese, isolatamente ed astrattamente considerato (Cassazione civile, sez. un., 13/11/2019, n. 29459).

2.5. La Corte distrettuale, nel rigettare la domanda volta al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ha puntualmente valutato entrambe le condizioni menzionate, ritenendo che l’esercizio di attività lavorativa a tempo determinato e la partecipazione a corsi di studio non integrasse un effettivo radicamento sul territorio. Inoltre, non ha ravvisato nelle condizioni del ricorrente una situazione integrante la condizione dei “seri motivi” di carattere umanitario, derivante dalla compromissione dei diritti umani fondamentali, il cui accertamento è presupposto indefettibile per il riconoscimento della misura citata (cfr. Cass. civ., sez. I, 15/01/2020, n. 625; Cass. civ., Sez. 6 – 1, n. 25075 del 2017).

3. Con il secondo motivo di ricorso deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 116 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per avere il Tribunale valutato la credibilità del racconto in modo soggettivistico, senza considerare le informazioni del Paese di provenienza in ordine al conflitto religioso e ritenendo che la denuncia fosse falsa senza fornire adeguata motivazione.

3.1. Il motivo è inammissibile.

3.2. Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, disciplina il procedimento cui l’organo giudicante è tenuto ad attenersi al fine di valutare la credibilità del ricorrente nel caso in cui lo stesso non fornisca adeguato supporto probatorio alle circostanze poste a fondamento della domanda di protezione internazionale.

3.3. Tra i criteri di valutazione menzionati, la disposizione de qua contempla espressamente quello della coerenza e plausibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente la protezione internazionale.

3.4. Secondo il principio costantemente affermato da questa Corte, infatti, in materia di protezione internazionale, il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, verifica sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cassazione civile, sez. I, 07/08/2019, n. 21142).

3.5. L’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati. La valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate (Cassazione civile, sez. VI, 30/10/2018, n. 27503)

3.6. Nell’applicare i summenzionati parametri, la Corte d’appello ha ritenuto incoerente ed inattendibile la ricostruzione sostenuta da parte ricorrente in ragione del carattere generico ed implausibile delle informazioni rese sulla vicenda dell’aggressione e della liberazione della ragazza; inizialmente egli aveva dichiarato di averla salvata ma in sede di audizione riferiva che erano stati gli altri ragazzi a metterla in salvo. Rilevava come non fosse plausibile che in sei mesi di permanenza in Nigeria non fosse stato trovato e rilevava che il rapporto di polizia prodotto era privo di data certa e di incerta provenienza.

3.7. Alla luce di quanto esposto, risulta, quindi, che il giudice di merito abbia fatto corretta applicazione degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Quanto, poi, alla censura concernente l’inadempimento del dovere di cooperazione istruttoria di cui si sarebbe reso responsabile l’organo di merito, in violazione del disposto di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l’eventuale esito negativo della valutazione di credibilità, coerenza intrinseca e attendibilità della versione resa dal richiedente la protezione internazionale rende ultroneo il dovere di cooperazione istruttoria facente capo all’organo giudicante (Cassazione civile, sez. I, 30/08/2019, n. 21889; Cassazione civile, sez. I, 22/02/2019, n. 5354).

4. Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, per aver il Tribunale rigettato la richiesta di protezione sussidiaria per l’esistenza di un conflitto generalizzato tenendo conto delle informazioni relative all’EDO State e non al (OMISSIS).

4.1. Il motivo è inammissibile.

4.2. Il Tribunale ha esaminato le fonti internazionali EASO (pag. 12 del ricorso) relative alla regione del (OMISSIS) ed ha accertato l’inesistenza di una situazione di conflitto generalizzato.

5. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

5.1. Non deve provvedersi sulle spese, atteso che il controricorso contiene affermazioni di stile ed argomentazioni stereotipate, prive di riferimenti alla vicenda processuale.

5.2. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2021

 

 

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