Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24269 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. III, 03/11/2020, (ud. 01/07/2020, dep. 03/11/2020), n.24269

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. OLIVIERI Stefano – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27484/2018 proposto da:

(OMISSIS) SRL, IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEGLI SCIPIONI 281, presso lo studio dell’avvocato ANDREA

COLANTONI, rappresentato e difeso dagli avvocati MICHELE PETRELLA,

MARCO DALLA VERITA’;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SPA, IN LIQUIDAZIONE, D.S.;

– controricorrente –

e contro

COSTRUZIONI D. SPA, M.R., Z.P.,

Z.N.;

– intimati –

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEGLI SCIPIONI 281, presso lo studio dell’avvocato ANDREA COLANTONI,

rappresentato e difeso dagli avvocati MICHELE PETRELLA, MARCO DALLA

VERITA’;

– intervenuto –

avverso la sentenza n. 1591/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 12/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

01/07/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Con atto di citazione notificato il 7 settembre 2006 Costruzioni D. S.p.A. conveniva davanti al Tribunale di Ferrara (OMISSIS) S.p.A. – già (OMISSIS) S.r.l. -, Sinteco Real Estate S.p.A., Sinteco Engineering S.p.A. e Cir Costruzioni S.p.A., proponendo domanda revocatoria ex art. 2901 c.c. e comunque domanda di dichiarazione di nullità per tre atti di conferimento del 19 maggio 2006 e un atto di conferimento del 16 giugno 2006, eseguiti in sede di costituzione e di aumento del capitale sociale delle tre ultime società suddette, conferitarie.

Le convenute si costituivano, resistendo. Il Tribunale rigettava con sentenza n. 410/2010, avverso la quale Costruzioni D. proponeva appello, al quale le controparti resistevano e nelle more del cui giudizio di (OMISSIS) veniva dichiarato il fallimento con sentenza del 24 giugno 2014 del Tribunale di Ferrara; l’appellante riassumeva e si costituiva il Fallimento (OMISSIS), dichiarando di subentrare nelle domande proposte da Costruzioni D.; le appellate ancora resistevano.

Costruzioni D. nel frattempo aveva avviato un secondo giudizio dinanzi al Tribunale di Ferrara nei confronti delle tre società conferitarie suddette e di (OMISSIS) S.r.l. – cui (OMISSIS) aveva conferito con atto del 25 gennaio 2008 le proprie partecipazioni nelle tre conferitarie – nonchè nei confronti degli amministratori di (OMISSIS), cioè M.R., Z.N. e Z.P.; nei confronti delle tre società conferitarie aveva chiesto, in via alternativa o subordinata, che gli atti di conferimento fossero dichiarati nulli, e nei confronti di (OMISSIS) aveva agito ai sensi dell’art. 2901 c.c., in riferimento all’atto del 25 gennaio 2008 e, in alternativa o in subordine, aveva chiesto che tale atto fosse dichiarato nullo; nei confronti degli amministratori aveva chiesto che ne fosse accertata la responsabilità ai ex art. 2394 c.c., per violazione degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale.

Le controparti, costituitesi, avevano resistito.

Il Tribunale con sentenza 725/2012 disattendeva ogni domanda; avverso anche quest’ultima sentenza Costruzioni D. proponeva appello, cui le controparti resistevano. Il relativo giudizio veniva poi interrotto dalla dichiarazione di fallimento di (OMISSIS), e l’appellante lo riassumeva; anche in questa causa il Fallimento (OMISSIS) si costituiva, dichiarando di subentrare nelle domande di cui agli artt. 2901 e 2394 c.c., e dichiarando pure di aderire alla domanda di dichiarazione di nullità degli atti di conferimento; gli appellati resistevano.

Le due cause venivano riunite e decise dalla Corte d’appello di Bologna con sentenza del 12 giugno 2018, la quale, in parziale riforma, accoglieva le domande revocatorie in riferimento agli atti del 2006 e compensava le spese.

(OMISSIS) S.r.l. in liquidazione e in concordato preventivo ha proposto ricorso articolato in dieci motivi, da cui si è difeso con controricorso il Fallimento (OMISSIS) S.p.A. in liquidazione.

Con sentenza del 21 gennaio 2020 il Tribunale di Ferrara ha dichiarato il fallimento della ricorrente. Con atto del 15 maggio 2020 il Fallimento (OMISSIS) è intervenuto, esprimendosi nel senso dell’accoglimento del ricorso. Successivamente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

In primo luogo, deve darsi atto che – come lo stesso intervenuto in effetti riconosce – nel giudizio di legittimità, dominato dall’impulso d’ufficio, non rilevano gli eventi interruttivi che investano le parti, e ciò in conseguenza della natura del giudizio (in tal senso Cass. sez. 1, 2 febbraio 2018 n. 2625, Cass. sez. lav., 13 febbraio 2014 n. 3323 e Cass. sez. lav., 21 maggio 2012 n. 8685). Non appare pertanto condivisibile il riconoscimento di una facoltà di subentro processuale in capo al successore universale che, secondo l’intervenuto, si verificherebbe con atto notificato tale da instaurare il contraddittorio, perchè, a ben guardare, ciò contraddice radicalmente la caratteristica appena evidenziata nel giudizio per cassazione. L’intervento del Fallimento (OMISSIS) deve pertanto essere ricondotto ai principi generali, e dunque non valere come subentro ma – appunto – come mero intervento.

Si rileva, altresì, che il contenuto della memoria depositata dall’intervenuto non è considerabile, in quanto ictu oculi le sue argomentazioni si collocano su questioni nuove rispetto alla regiudicanda.

1.1 Il primo motivo del ricorso denuncia motivazione apodittica e apparente, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’accertamento dell’elemento soggettivo dell’azione revocatoria ordinaria.

Richiamata la giurisprudenza relativa al minimo costituzionale della motivazione, si adduce che la motivazione della sentenza impugnata, quanto all'”accertamento dell’elemento soggettivo in capo alla disponente (OMISSIS) e alle società conferitarie”, sarebbe solo apparente, perchè priva di giustificazione.

La corte territoriale infatti, dopo avere dato conto di come negli atti di conferimento M.R. interveniva sempre quale presidente del consiglio di amministrazione della conferente – “del pari socia delle conferitarie” -, e nel “secondo conferimento Sinteco Real Estate” nonchè nel “conferimento Cir Costruzioni” anche come legale rappresentante delle conferitarie, avrebbe in modo tautologico e senza “alcuna consequenzialità” ritenuto, da un lato, incontestabile quanto alla scientia damni di (OMISSIS) che il M., nella sua qualità di presidente del consiglio di amministrazione di quest’ultima, fosse consapevole di recare pregiudizio sia a Costruzioni D. sia agli altri creditori per la modifica qualitativa in senso peggiorativo del patrimonio sociale, e, dall’altro, che sussistesse pure la consapevolezza delle conferitarie, dal momento che il M. interveniva negli atti “in qualità di legale rappresentante del socio fondatore (OMISSIS) – (OMISSIS) o di legale rappresentante della società disponente”.

Sostiene la ricorrente che, se è vero che il fatto – premessa del ragionamento – che il M. sia intervenuto negli atti di conferimento “nelle vesti rilevate dalla Corte d’Appello (quale legale rappresentante sia di (OMISSIS) che delle conferitarie, ovvero, quando i conferimenti avvenivano in sede di costituzione, del socio fondatore, (OMISSIS) stessa)” corrisponde alle risultanze documentali, e se è pur vero che la sentenza impugnata “ha altrove riconosciuto la natura lesiva degli atti di disposizione”, ciò non toglierebbe la mancanza di un nesso di consequenzialità da cui dedurre appunto la scientia damni di (OMISSIS) e la consapevolezza delle conferitarie ovvero dei loro soci fondatori, non avendo la corte spiegato perchè “la circostanza che le società fossero rappresentate dalla stessa persona abbia condotto all’accertamento dell’elemento soggettivo” suddetto.

In realtà, “a ben considerare”, dalla partecipazione del M. nelle qualità illustrate agli atti oggetto dell’azione pauliana “non si può trarre di per sè alcun elemento che non quello, ovvio, per cui lo stesso agisse nella consapevolezza del proprio comportamento”. Quindi la motivazione sarebbe “apodittica” e anzi apparente.

1.2 l’illustrazione del contenuto del motivo dimostra, tanto agevolmente quanto inequivocamente, che, pur sussistendo il tentativo di celarla dietro schermi normativi, la sua sostanza è una critica fattuale diretta alla sussistenza della scientia damni nel caso in esame, prospettando al riguardo una valutazione alternativa – soprattutto a proposito della asserita carenza del nesso eziologico – rispetto a quella operata dal giudice di merito. Vengono infatti direttamente contrastati gli argomenti utilizzati nella motivazione di quest’ultimo, così d’altronde attestando che la motivazione è stata realmente fornita nell’impugnata sentenza nella misura del minimum costituzionale, il che comprova dunque che del tutto incongruo è il riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Sussistendo, in conclusione, una motivazione non apparente, il motivo risulta infondato.

2.1 Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., quanto all’accertamento dell’elemento soggettivo dell’azione revocatoria ordinaria.

Così si presenta all’incipit il motivo: “D’altra parte, ed è semplice constatazione logica, ove l’elemento soggettivo dell’actio pauliana dovesse essere desunto, come ha fatto la Corte di Appello…, dalla semplice partecipazione all’atto revocando, sia da parte del disponente che da parte del terzo beneficiario, il requisito verrebbe a essere svilito”, violando l’art. 2901 c.c..

E ciò non sarebbe modificato dal confronto con l'”inciso” della sentenza impugnata per cui il M. non poteva non conoscere il pregiudizio arrecato dagli atti de quibus sulla qualità del patrimonio della società da lui rappresentata: anche qualora “si volesse riconoscere a tale passaggio veste argomentativa non “apparente” e tautologica”, e al di là delle censure racchiuse nei motivi successivi sull’elemento oggettivo come esaminato nella motivazione della sentenza impugnata, sarebbe stato violato comunque l’art. 2901 c.c., giacchè l’accertamento della natura lesiva dell’atto non può confondersi con l’accertamento, diverso, della scientia damni, la quale a sua volta non può desumersi soltanto da esso, tanto che anche nell’ipotesi revocatoria di atto a titolo gratuito – l’ipotesi in cui in astratto deriva maggior pregiudizio dall’atto – l’art. 2901 c.c., “esime il creditore unicamente dalla prova della consapevolezza in capo al beneficiario, ma non della scientia damni in capo al disponente”. Vale a dire, il giudice d’appello “avrebbe dovuto dare sostanza al proprio convincimento di scientia sulla base di altri (eventuali) indici”.

2.2 Come appalesa l’incipit del motivo (“D’altra parte”) e conferma poi il suo contenuto, questa censura non diverge da quella precedente – tranne per il diverso riferimento nella rubrica -, con le stesse modalità cercando di investire la valutazione di fatto che il giudice d’appello ha operato in ordine alla sussistenza della scientia damni.

Anche qui, infatti, vengono inseriti elementi di diritto a ben guardare soltanto come schermo alla reale sostanza – diramandosi d’altronde pure su questioni eccentriche alla regiudicanda, come l’azione pauliana relativa ad atto gratuito – e comunque ovvi e non pertinenti – è ovvio che il pregiudizio di per sè non coincide con la conoscenza del pregiudizio -, per approdare, comunque, a sostenere che non sarebbero sufficienti gli “indici” su cui il giudice d’appello ha fondato il proprio convincimento relativo alla scientia damni. Censura, quindi, che sarebbe propria di un gravame, ma che in questa sede è inammissibile, in quanto, lungi dall’identificare una posizione giuridica della corte territoriale di contrasto con l’art. 2901 c.c., invocato appunto in rubrica, si risolve in una critica al suo accertamento fattuale.

3.1 Il terzo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., quanto all’accertamento dell’elemento soggettivo dell’azione pauliana.

Il giudice d’appello, argomentando apoditticamente – come denunciato nel primo motivo sull’elemento soggettivo dell’azione pauliana nel senso di desumerlo dal ruolo in cui il M. era intervenuto negli atti revocandi (legale rappresentante della conferente e legale rappresentante delle conferitarie se già costituite) e dalla modifica peggiorativa del patrimonio della società da lui rappresentata, avrebbe violato gli artt. 2727-2729 c.c., desumendo appunto “sulla base di circostanze indiziarie e prive di quei caratteri di gravità, precisione e concordanza, che invece le avrebbero dovute connotare”.

Seguono considerazioni relative al fatto della partecipazione del M. nelle vesti di cui sopra si è detto e all’ulteriore fatto della lesività degli atti dispositivi per sostenere appunto la violazione delle regole sulla prova presuntiva.

3.2 E’ più che evidente che anche questo motivo si inserisce nel filone già rappresentato dai due precedenti: invocando questioni di diritto solo apparentemente, ovvero utilizzandole come schermi dell’effettiva sostanza della censura, la ricorrente persegue una trasformazione del giudizio di legittimità in un terzo grado di merito, direttamente criticando, in realtà, la valutazione fattuale compiuta dal giudice d’appello relativa, ancora una volta, all’elemento soggettivo dell’azione pauliana.

Ictu oculi, quel che viene censurato non è la violazione da parte della corte territoriale dei principi di diritto relativi alla prova presuntiva, bensì proprio l’accertamento di merito che la corte ha compiuto, onde il motivo risulta inammissibile.

4.1 Il quarto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatti decisivi e discussi “ovvero errore di sussunzione della fattispecie concreta e violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c.” quanto all’accertamento dell’elemento soggettivo dell’azione pauliana.

Avrebbe errato il giudice d’appello non considerando “evidenti circostanze fattuali, queste sì decisive ai fini di escludere alcuna scientia decoctionis in capo a (OMISSIS), ovvero il fatto che quest’ultima abbia conferito in entrambi gli atti di conferimento a Sinteco Real Estate immobili di recente acquisizione, cioè acquisiti ad hoc, (un immobile denominato (OMISSIS) e un ulteriore immobile sito in (OMISSIS)), il fatto che (OMISSIS), nel conferimento a Cir Costruzioni, abbia sottoscritto parte del capitale sociale mediante denaro, il fatto che così abbia fatto personalmente e contestualmente pure il M. per Euro 217.500 e il fatto che nel 2008 sia stata costituita (OMISSIS) quale sub-holding unificandovi tutte le partecipazioni societarie di (OMISSIS), così che in effetti sarebbe stata più agevole l’aggressione esecutiva delle relative quote. Si argomenta quindi sulla significatività di tali elementi, per concludere che si sarebbe dinanzi ad un vizio di ricostruzione del fatto che comporterebbe pure un errore di diritto, avendo il giudice d’appello erroneamente sussunto la fattispecie a suo esame nell’azione pauliana.

4.2 Anche questo motivo non può non essere inserito nel filone di quelli precedenti, diretti ad una “correzione” dell’accertamento fattuale operato dal giudice d’appello sull’elemento soggettivo dell’azione pauliana.

E anzi, ancor più chiaramente che nelle censure precedenti, viene formulata – questa volta mirando a utilizzare come schermo, accanto allo strumento maggiormente prossimo alla fattualità che è rappresentato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il dispositivo della sussunzione nella fattispecie normativa – la natura direttamente fattuale del motivo, in quanto i vari elementi addotti, che sarebbero ad avviso della ricorrente stati fatti decisivi non considerati, costituiscono invero, per la loro natura ictu oculi tutt’altro che decisiva bensì suscettibile di varie interpretazioni e altresì per la loro pluralità, un compendio probatorio alternativo che dovrebbe appunto “resettare” l’accertamento di merito.

Si è dinanzi, quindi, ad un ulteriore motivo che sarebbe confacente soltanto ad un gravame, e che in questa sede risulta pertanto inammissibile.

5.1 A questo punto il ricorso intesta la sua parte seguente con il titolo: “In tema dell’elemento oggettivo dell’actio pauliana”, trascrivendo una parte della motivazione della sentenza impugnata (ricorso, pagine 23-24) ed anticipando sinteticamente il contenuto dei motivi successivi: la motivazione sarebbe “contraddittoria con riguardo ai conferimenti “Sinteco Engineering” e “Cir Costruzioni” ” (quinto motivo), sul punto non tenendo in conto l’esito della consulenza tecnica d’ufficio (sesto motivo); sarebbero stati violati l’art. 2901 c.c. e L. Fall., art. 66, adducendo che il subentro del fallimento aveva modificato la domanda originaria (settimo motivo); non sarebbe stato correttamente interpretato il requisito del pregiudizio di cui all’art. 2901 c.c. (ottavo motivo); si sarebbe considerato il “primo conferimento” a Sinteco Real Estate di immobili, “come se fosse consistito in un mero conferimento d’immobili” non esaminando plurimi elementi di fatto discussi e decisivi, “con conseguente errore di applicazione della fattispecie” (nono motivo); quanto al “secondo conferimento Sinteco Real Estate”, infine, sussisterebbe errore di diritto consistente nel ritenere revocabile l’atto di disposizione benchè l’immobile conferito “fosse entrato nel patrimonio di (OMISSIS) appositamente solo pochi mesi prima dell’operazione societaria” (decimo motivo).

5.2 Successivamente a questa preventiva illustrazione di massima, il quinto motivo viene ex professo presentato come denunciante “motivazione manifestamente e irriducibilmente contraddittoria”, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, quanto alla parte che attiene all’elemento oggettivo dell’azione pauliana a proposito del “conferimento Sinteco Erngineering” e del “conferimento Cir Costruzioni”.

Richiamati gli arresti giurisprudenziali invocati nel primo motivo a proposito della conformazione che la motivazione deve assumere, si rileva che la sentenza è nulla “quando la relativa motivazione sia incomprensibile ovvero assolutamente contraddittoria”: e così sarebbe nel caso in esame per i due conferimenti di cui in rubrica.

Il giudice d’appello avrebbe per questi conferimenti, al pari che per gli altri due, motivato nel senso che “la sostituzione nel patrimonio di (OMISSIS) di proprietà immobiliari con partecipazioni societarie ne avrebbe comportato una lesione qualitativa”. Ma in realtà, osserva la ricorrente, questi due conferimenti non avrebbero “comportato alcun trasferimento immobiliare”, essendo – “come infatti risulta documentalmente” (vengono qui indicati quattro documenti agli atti: all. I, L, M e N) – il primo un conferimento di ramo d’azienda privo di immobili (concerneva un’attività di engineering) e il secondo una sottoscrizione di aumento di capitale in denaro in parte per opera di (OMISSIS) e in parte per opera del M.. Pertanto la motivazione della Corte d’Appello (per cui si rimanda anche all’ottavo motivo), sarebbe del tutto contraddittoria, dal momento che non sarebbe stato compiuto alcun trasferimento immobiliare: e dunque “non è dato, a pena di una irriducibile e manifesta contraddizione logica che sconfina in una mancanza assoluta di motivazione, sostenere, come è stato fatto in Sentenza, che i due conferimenti sono stati qualitativamente lesivi del patrimonio di (OMISSIS) per la ragione addotta (“scambio” tra proprietà immobiliare e partecipazione societaria) una volta che di tale ragione… manca il presupposto (cioè tale sostituzione non v’è stata)”.

5.3 L’appena riportata conclusione del motivo ne dimostra l’evidente inammissibilità.

Infatti, quel che questo motivo prospetta, a ben guardare, è che la sentenza sia incorsa in un vizio riconducibile all’art. 395 c.p.c., n. 4, confliggendo laddove dichiara la sussistenza di immobili coinvolti negli atti de quibus con oggettivi dati documentali contrari, specificamente indicati nel motivo. Si esce, pertanto, dall’ambito della prospettata carenza motivazionale, per denunciare in realtà un errore revocatorio, in questa sede appunto inammissibile.

6.1 Il sesto motivo lamenta omesso esame di fatti decisivi e discussi, il che sarebbe l’esito della consulenza tecnica d’ufficio; si rapporta all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e si propone la censura in relazione all’accertamento dell’elemento oggettivo dell’azione pauliana nel “conferimento Sinteco Engineering” e al “conferimento Cir Costruzioni”.

Il giudice d’appello, nella sua scarna motivazione, non avrebbe tenuto conto degli esiti della consulenza tecnica d’ufficio che avrebbero escluso il peggioramento qualitativo nei due conferimenti di cui alla rubrica. E il mancato esame delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio può farsi valere davanti al giudice di legittimità proprio come omesso esame di fatto discusso e decisivo.

La ratio decidendi del giudice d’appello avrebbe dovuto condurre tutt’al più ad accogliere la domanda, quanto ai conferimenti in esame, solo limitatamente agli immobili trasferiti come conferimento, “ovverosia nessuno”, e non riguardo alle altre componenti.

6.2 Il motivo è inammissibile – e ciò tutto assorbe – per carenza di autosufficienza riguardo al contenuto della consulenza tecnica d’ufficio sulla cui divergenza verrebbe a fondarsi. Invero, la consulenza viene richiamata soltanto globalmente come “all. O”, aggiungendo poi soltanto la trascrizione di brevissimi incisi, da soli ictu oculi insufficienti a sorreggere quanto il motivo adduce in ordine al contenuto della consulenza stessa.

7.1 Il settimo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. e L. Fall., art. 66, per avere il giudice d’appello, ancora a proposito dell’elemento oggettivo, dato per erroneo presupposto l’avvenuta modifica della domanda per l’assunzione da parte del Fallimento.

Sempre per i due conferimenti vagliati nei precedenti motivi, la corte territoriale avrebbe errato laddove ha affermato che, se la curatela fallimentare non avesse proseguito facendo propria la revocatoria di D. Costruzioni, “gli atti da revocare sarebbero stati solo quelli sub lettera a), d) ed f) in quanto i primi due atti (sub lettera b e c: più antichi avuto riguardo al numero di repertorio e Raccolta notarile) lasciavano (OMISSIS) ancora nella disponibilità di un sufficiente patrimonio per la soddisfazione del credito della attrice… Sennonchè, la curatela è subentrata nell’azione revocatoria di D. ed ora l’azione stessa è esercitata nell’interesse di tutti i creditori del fallimento (OMISSIS), con la conseguenza che la lesione della garanzia generica è stata cagionata, in tale prospettiva, da tutti gli atti impugnati”.

Ciò significherebbe che i due conferimenti in esame, cronologicamente anteriori agli altri per il numero di repertorio notarile, non avrebbero leso la garanzia generica per soddisfare il credito della società D. Costruzioni, onde “la loro dichiarazione di inefficacia sarebbe stata conseguenza di una sopravvenuta portata lesiva dovuta al subentro della curatela nell’azione esperita e del fatto che la stessa è esercitata nell’interesse di tutti i creditori”.

Sussisterebbe qui un errore di diritto, dato che la giurisprudenza di legittimità insegna che il curatore subentrante, per la legittimazione concessagli dalla L. Fall., art. 66, nell’azione revocatoria esercitata da un terzo creditore verso il debitore nelle more fallito accetta la causa nello stato in cui si trova. E’ vero che interviene una modifica oggettiva, in quanto l’azione viene estesa a beneficio di tutti i creditori concorrenti nel fallimento, ma ciò non significa che il curatore debba intraprendere l’azione ex novo, non intervenendo alcun sostanziale mutamento nè del thema probandum nè del thema decidendum. Pertanto “che l’azione revocatoria vada a vantaggio dell’intera massa dei creditori non vuol dire che il credito alla cui tutela è esperita corrisponda al passivo fallimentare”, rimanendo invece quello di D. Costruzioni, in relazione al quale il giudice d’appello ha riconosciuto che i conferimenti Sinteco Ingeneering e Cirio Costruzioni non avrebbero avuto potenzialità lesiva, per cui in parte qua la sentenza dovrebbe essere cassata per assenza di eventus damni.

7.2 La corte territoriale, a pagina 18 della sua – alquanto estesa – motivazione, è effettivamente incorsa, con le frasi sopra riportate dal motivo, nella esternazione di un errore di diritto, fraintendendo il significato del trait d’union che congiunge l’azione pauliana con l’evento fallimentare e le sue conseguenze già da tempo chiarito dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte, e così erroneamente trasformando, alla fin fine, l’azione pauliana in una sorta di revocatoria fallimentare.

L’insegnamento nomofilattico ha invece individuato un netto limite all’effetto del subentro del curatore nell’azione pauliana avviata, prima del fallimento del debitore, da un singolo suo creditore. E’ il caso, pertanto, di riportare proprio la ricostruzione dirimente che si rinviene nella motivazione di S.U. 17 dicembre 2008 n. 29420, e alla quale si è conformata tutta la giurisprudenza successiva di legittimità.

7.3 Osservano le Sezioni Unite che “l’azione revocatoria ordinaria… mira a rendere inopponibile al creditore gli atti con cui il debitore, disponendo del proprio patrimonio, lo sottrae in tutto o in parte alla garanzia del creditore medesimo… Essa non incide sulla validità di quegli atti, ma (in presenza delle condizioni soggettive richieste a tal fine dalla legge) ne sterilizza gli effetti nei confronti del creditore che si sia avvalso di tale rimedio… Quando, però, il debitore sia un imprenditore commerciale e l’atto di disposizione da lui compiuto ne abbia causato (o aggravato) l’insolvenza, onde ne è seguita la dichiarazione di fallimento, il pregiudizio che giustifica l’esercizio dell’azione revocatoria si riflette necessariamente sulla posizione dell’intera massa dei creditori, le cui ragioni devono essere soddisfatte secondo le regole del concorso. Si spiega, quindi, come mai la L.Fall., art. 66, in tal caso, attribuisca al curatore, nell’interesse della massa, la legittimazione all’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria… in aggiunta all’azione revocatoria fallimentare disciplinata dal successivo art. 67 della stessa Legge. In dottrina, anzi, è stato osservato che, nell’ipotesi in cui il debitore è un imprenditore commerciale di cui però non sia stato dichiarato il fallimento, l’esercizio dell’azione revocatoria individuale inevitabilmente comporta una stortura: perchè l’atto di disposizione patrimoniale del debitore è sempre potenzialmente dannoso per la collettività dei creditori (ed il consilium fraudis ha carattere impersonale), mentre l’azione produce effetti a vantaggio di un creditore singolo. Stortura che cessa invece di esistere, in caso di dichiarazione di fallimento, qualora l’azione sia esercitata dal curatore nell’interesse indistinto di tutti i creditori pregiudicati da quell’atto…”.

Il subentro del curatore nella posizione processuale del singolo creditore che esercitò l’azione pauliana anteriormente al fallimento, allora, “comporta anche una qualche modifica oggettiva dei termini della causa, in quanto la domanda d’inopponibilità dell’atto di disposizione compiuto dal debitore, inizialmente proposta a vantaggio soltanto del singolo creditore che ha proposto l’azione, viene ad essere estesa dalla più vasta platea costituita dalla massa di tutti i creditori concorrenti. Ma questo solo rilievo non basta a far ritenere che il curatore debba necessariamente intraprendere l’azione ex novo (come peraltro egli potrebbe pur sempre scegliere di fare), perchè le condizioni dell’azione non mutano e l’esigenza di tutela della posizione del creditore individuale, che ha giustificato all’origine la proposizione della domanda, non scompare, ma è naturalmente assorbita in quella della massa che la che comprende. Neppure, d’altronde, entra in gioco l’esigenza di tutela del contraddittorio e del diritto di difesa della controparte, qualora all’indicato ampliamento degli effetti della domanda e della conseguente revoca dell’atto non si accompagni alcun sostanziale mutamento della materia del contendere (nè sotto il profilo del thema probandum, nè sotto quello del thema decidendum); mutamento che… sarebbe compatibile con la scelta del curatore di intraprendere una nuova e autonoma azione, ma non anche con la diversa scelta di subentrare nell’azione già promossa dal creditore singolo, che il curatore è tenuto ad accettare così come la trova”.

7.4 Ora, non può negarsi che il giudice nomofilattico ha offerto anche qualche apparente oscillazione nel percorso seguito, per giungere, peraltro, ad un chiarissimo esito.

Ad un certo punto, infatti, ha manifestato un certo apprezzamento per quella dottrina che addita l’insita criticità della figura dell’azione pauliana limitatamente all’ipotesi in cui il debitore sia un imprenditore commerciale. Se, infatti, per la natura di tale sua attività imprenditoriale il soggetto, oltre ad acquisire crediti e successivamente quindi trarne guadagni, contrae anche una pluralità di debiti, a ben guardare la cosiddetta massa dei creditori è già sussistente e già dunque investita da un unico, vivo interesse di tutela della garanzia ex art. 2740 c.c., anche prima della insolvenza e del conseguente fallimento. E allora, potrebbe affermarsi che, come evoca dalla dottrina il noto arresto nomofilattico, se il debitore è un imprenditore commerciale “l’esercizio dell’azione revocatoria individuale inevitabilmente comporta una stortura” perchè l’atto di disposizione patrimoniale del debitore “è sempre potenzialmente dannoso per la collettività dei creditori (ed il consilium fraudis ha carattere impersonale), mentre l’azione produce effetti a vantaggio di un creditore singolo”.

Fenomeno giuridico, questo, che è stato dunque anche definito una “stortura”, ma che, in effetti, stortura non è, essendo qui il paradigma pauliano dotato di una peculiarità – il debitore è un imprenditore commerciale – che può essere sì qualificata, come sopra già prospettato, una criticità, ma non può condurre ad un conflitto con le fonti superiori l’art. 2901 c.c.. Perseguendo, invero, un equilibrio tra gli interessi dei creditori e gli interessi del debitore imprenditore commerciale, in effetti il legislatore ha ragionevolmente mantenuto la tradizionale forma dell’azione pauliana, così da evitare una tendenziale paralisi sul piano negoziale dell’attività imprenditoriale, id est così da conferire comunque in una corretta (nel controbilanciamento con gli interessi degli altri soggetti esigenti tutela) misura all’imprenditore – soggetto ontologicamente “mobile” – la libertà di disporre del proprio patrimonio, considerando proprio che la sua attività lo mette fisiologicamente anche in posizione debitoria.

Ed infatti le Sezioni Unite non aderiscono, poi, ad alcuna espansione dell’azione pauliana prima che sia dichiarato il fallimento, e non solo: sbarrano la strada ad una trasformazione dell’azione ex art. 2901 c.c., che ne immuti il thema decidendum e il thema probandum, cogliendo invece un punto di equilibrio tra la preservazione della natura della fattispecie ex art. 2901 c.c. e la sopravvenienza del fallimento. Tale punto di equilibrio si colloca, quindi, al di fuori di thema decidendum e thema probandum, in quanto risiede nella soddisfazione dell’interesse, che si espande da quello del singolo creditore attore a quello rappresentato dal subentrante curatore, cioè all’interesse della massa creditoria.

7.5 La corte territoriale evidentemente ha frainteso il percorso delle Sezioni Unite traslando, nella sua motivazione, l’adattamento espansivo che queste hanno riservato all’interesse che sorregge l’azione agli elementi costitutivi conformanti l’azione stessa: e così ha espressamente affermato che se l’azione pauliana fosse stata sino alla fine proseguita dall’attore originario “gli atti da revocare sarebbero stati solo quelli sub lettera a), d) ed f), in quanto i primi due atti (sub lettere b e c: più antichi…) lasciavano (OMISSIS) ancora nella disponibilità di un sufficiente patrimonio per la soddisfazione del credito dell’attrice” (qui certo si riferisce alla società Costruzioni D.); ma proprio perchè la curatela è subentrata, “ora l’azione stessa è esercitata nell’interesse di tutti i creditori del fallimento” per cui “la lesione della garanzia generica è stata cagionata, in tale prospettiva, da tutti gli atti impugnati”. Tale inversione, si può ben dire, dell’insegnamento nomofilattico porta alla fondatezza di questo motivo.

8. L’ottavo motivo denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., quanto all’elemento oggettivo per errata interpretazione del requisito del “pregiudizio”.

Al di là di quanto esposto nel quinto e nel sesto motivo e di quanto viene poi esposto dal nono e dal decimo motivo, la corte territoriale avrebbe nella sentenza impugnata fornito una nozione di pregiudizio non corrispondente a quella normativa. Secondo la corte, infatti, lo scambio tra beni immobili e quote di società a responsabilità limitata avrebbe peggiorato il patrimonio del disponente, “sol che si consideri che – mentre gli immobili costituivano un bene agevolmente aggredibile in sede esecutiva e caratterizzato da variazioni di valore solitamente non considerevoli e legate unicamente all’andamento del mercato immobiliare – le partecipazioni societarie rappresentano un capitale di rischio, il cui valore è connesso all’andamento dell’impresa partecipata ed alle scelte imprenditoriali degli amministratori”, per cui il loro valore è soggetto “a mutamenti rilevanti, anche istantanei ed inattesi”.

Riconosce la ricorrente che, ai fini dell’azione pauliana, il pregiudizio alla garanzia che ex art. 2740 c.c., il debitore fornisce ai creditori con i propri beni può consistere “anche solo in una lesione qualitativa del patrimonio”, ma adduce che comunque tale lesione qualitativa deve consistere nella maggior difficoltà di soddisfazione del credito, così da mettere in rischio la fruttuosità dell’azione esecutiva. Pertanto il giudice d’appello avrebbe dovuto valutare oggettivamente se gli atti dispositivi in questione peggioravano o meno la difficoltà esecutiva di D. Costruzioni: invece non l’avrebbe fatto, operando soltanto “una comparazione di affidabilità e consistenza di valore nel tempo tra i due generi di beni, immobili e partecipazioni societarie, spostando quindi il discrimine da quello della minore o maggiore facilità di apprensione esecutiva a quello del merito della scelta negoziale”, il che integrerebbe un’illegittima riduzione della libertà di iniziativa del debitore di cui all’art. 41 Cost..

Se invece, secondo il criterio della fruttuosità o meno dell’azione esecutiva, si fossero accertate “le armi a disposizioni di Costruzioni D. S.p.A. a seguito degli atti di conferimento in esame”, sarebbe risultato che la società creditrice ben poteva pignorare le quote di società a responsabilità limitata ricevute a titolo di conferimento.

8.2 Ancora una volta la ricorrente propone una censura che, pur tentando di schermarla (soprattutto nell’ultima sua parte) con argomentazioni di diritto, patisce in realtà una sostanza direttamente fattuale.

Quel che infatti critica è – come appalesa inequivocamente la prima parte della doglianza, cioè quella relativa al tasso di rischio proprio dei beni immobili e delle partecipazioni sociali, che la ricorrente valuta in contrapposizione alla valutazione del giudice d’appello – la stima, appunto fattuale, che la corte territoriale ha compiuto in ordine all’eventus damni, per accertare l’elemento oggettivo dell’azione pauliana nel caso concreto in esame. La corte ha raggiunto un determinato esito valutativo e contro tale esito, non può non ripetersi fattuale, si pongono a ben guardare tutte le argomentazioni del motivo, dirette in effetti ad ottenere il riconoscimento non della violazione dell’art. 2901 c.c., bensì dell’assenza, nel caso concreto, dell’elemento oggettivo dell’azione.

Il motivo, in conclusione, risulta affetto da inammissibilità.

9.1 Il nono motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatti discussi e decisivi quanto all’accertamento dell’elemento oggettivo dell’azione pauliana riguardo al primo conferimento Sinteco Real Estate, nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c..

Seppure “in termini non così radicali” come quelli di carenza motivazionale denunciati nei motivi quinto e sesto relativi ai conferimenti Sinteco Engeneering e Cir Costruzioni, sussisterebbe quanto denunciato nella rubrica a proposito del primo conferimento Sinteco Real Estate, perchè tale conferimento non avrebbe riguardato – come invece ritenuto dal giudice d’appello descrivendolo a pagina 16 della motivazione della sentenza impugnata -, solo i quattro immobili ivi indicati, bensì un complesso aziendale, del valore di circa 70 milioni di Euro, il cui elemento più importante sarebbero state le partecipazioni azionarie in Magazzini Darsena S.p.A.. Se avesse considerato ciò, invece che non soffermarsi su di esso, il giudice d’appello “non avrebbe che potuto escludere il ricorrere di alcuna lesione, ancorchè qualitativa, al patrimonio di (OMISSIS), essendosi verificato soltanto “un semplice scambio tra beni immobili e partecipazioni”. Seguono argomenti relativi al valore dei beni e delle ipoteche gravanti sui quattro immobili, per assumere che il giudice d’appello avrebbe errato nel “leggere il conferimento come un apporto solo immobiliare, quando invece nel complessivo riassetto societario i valori immobiliari erano percentuale assai minima”. Si ricostruiscono elementi fattuali che la corte territoriale avrebbe omesso di considerare, per concludere che il giudice d’appello, se avesse ben ragionato, semmai avrebbe dichiarato l’inefficacia solo per i beni immobili trasferiti. Ciò non essendo avvenuto, “la revoca del conferimento dell’intero ramo d’azienda non trova giustificazione” nell’art. 2901 c.c., che pertanto sarebbe stato violato.

9.2 Il motivo è di per sè conformato in modo inammissibile, in quanto miscela la denuncia di una pretesa omessa considerazione di un fatto discusso e decisivo con una denuncia di violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c.: il che non rimane un difetto della rubrica, bensì si riverbera proprio nel contenuto del motivo stesso. Peraltro, come in precedenti motivi, il riferimento normativo viene in realtà utilizzato come schermo per coprire la natura direttamente fattuale della censura, che attiene alla stima del valore del trasferimento in riferimento al valore complessivo della garanzia patrimoniale offerta dal debitore.

Nella pluralità delle argomentazioni, d’altronde, risorge anche quella dell’attribuzione al giudice d’appello di non avere percepito il contenuto dei trasferimenti in modo esatto, ancora una volta indicando la documentazione contrastante (ricorso, pagine 31-32): argomentazione, a ben guardare, costituente una doglianza riconducibile all’art. 395 c.p.c., n. 4 e che quindi in questa sede è inammissibile.

Tutta la censura, in conclusione, è affetta da inammissibilità.

10.1 Il decimo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatti discussi e decisivi quanto all’accertamento dell’elemento oggettivo dell’azione pauliana per il secondo conferimento Sinteco Real Estate, nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c..

Solo il conferimento di cui alla rubrica sarebbe stato, tra i conferimenti dichiarati inefficaci dalla corte territoriale, un mero trasferimento di immobile. Al di là del precedente ottavo motivo, l’errore del giudice d’appello consisterebbe nel non avere considerato che l’immobile era stato acquistato dalla conferente appositamente poco tempo prima, e quindi in un’epoca assai posteriore all’insorgenza del credito della società D. Costruzioni. Se avesse esaminato ciò, trattandosi di elemento fattuale decisivo, la corte territoriale avrebbe dovuto escludere l’eventus damni. Il creditore infatti non potrebbe lamentare una lesione della garanzia di cui all’art. 2740 c.c., se il debitore dismette un bene acquisito dopo l’insorgenza del rapporto obbligatorio, trattandosi in tal caso di atto neutro. Anzi, nel caso in esame, sussisterebbe un “comportamento che, letto in via dinamica, tra acquisto e conferimento immobiliare, ne ha rafforzato il patrimonio”, essendo questo a conforto del quarto motivo. Così il giudice d’appello avrebbe errato nell’applicare l’art. 2901 c.c., “configurando un pregiudizio, invece, inesistente”.

10.2 Anche in questo motivo, come attesta la rubrica, la denuncia sarebbe sia sul piano fattuale, sia in termini giuridici. Ma anche in questo motivo quelle che possono definirsi apparenze giuridiche sono introdotte per schermare la reale sostanza fattuale del motivo, che emerge in modo inequivoco dalla conclusione, la quale sarebbe propria di un motivo di gravame: l’applicazione dell’art. 2901 c.c., sarebbe erronea per una ragione fattuale, ovvero perchè l’eventus damni nel caso concreto in realtà avrebbe dovuto reputarsi assente.

11. In conclusione, la sentenza deve essere cassata limitatamente al settimo motivo, gli altri essendo disattesi, con conseguente rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso limitatamente al settimo motivo, cassa in relazione e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Bologna.

Così deciso in Roma, il 1 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

 

 

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA