Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24263 del 28/10/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 24263 Anno 2013
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 2011-2011 proposto da:
PULCRANO

ANTONIO

PLCNTN51A16G812R,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA RENATO FUCINI 238, presso lo
studio dell’avvocato CUTULI GUIDO, che lo rappresenta
e difende unitamente all’avvocato FELE ARCANGELO,
giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
2081

contro

FIAT GROUP AUTOMOBILES S.P.A. 07973780013, (già FIAT
AUTO S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

Data pubblicazione: 28/10/2013

CAVOUR 19, presso lo studio dell’Avvocato RAFFAELE DE
LUCA TAMAJO (STUDIO TOFFOLETTO – DE LUCA TAMAJO), che
la rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4518/2010 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/06/2013 dal Consigliere Dott. PIETRO
VENUTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

di NAPOLI, depositata il 12/07/2010 R.G.N. 11184/2009;

r
(

R.G. n. 2011/11
Ud. 12.6.2013

..
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
luglio 2010, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato
la domanda proposta da Pulcrano Antonio nei confronti della Fiat
S.p.A., volta ad ottenere la declaratoria di nullità o inefficacia del
licenziamento intimatogli all’esito della procedura di mobilità di cui
alla legge 223/91.
Ha osservato la Corte territoriale che la parte datoriale aveva
indicato le ragioni giustificative della procedura di mobilità con
riferimento alla progressiva riorganizzazione e revisione dei
processi di funzionamento di strutture nelle quali vi erano già
lavoratori in C.I.G., indicando il numero dei lavoratori interessati
per ciascuna unità e distinti secondo la loro qualifica. La
circostanza, poi, che era stato raggiunto un accordo con le
organizzazioni sindacali era chiaramente indicativa del fatto che le
stesse avevano avuto la possibilità di valutare le ragioni che
avevano portato alla procedura di mobilità, anche sotto il profilo
dell’esame della praticabilità di soluzioni alternative.
Infondate erano le doglianze del lavoratore circa la mancanza
del nesso causale tra la procedura seguita dalla Fiat ed il
licenziamento del lavoratore né potevano trovare ingresso in sede
giudiziaria le censure relative alla presenza di effettive esigenze di
riduzione o trasformazione dell’attività produttiva, risolvendosi ciò
in un inammissibile tentativo di sindacare le scelte aziendali
concordate con le organizzazioni sindacali.
Non poteva altresì attribuirsi rilevanza alla circostanza
relativa all’assunzione di altri lavoratori, peraltro non provata, non
costituendo ciò elemento idoneo ad incidere sulla procedura di

La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza del 3 giugno 12

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mobilità conclusasi senza vizi specificamente dedotti. Nessuna
violazione poteva infine ravvisarsi nella rapidità con cui era stato
raggiunto l’accordo, denotando tale circostanza la condivisione, da
parte delle organizzazioni sindacali, delle ragioni poste a base
della procedura, verosimilmente note alle stesse organizzazioni.
lavoratore sulla base di un solo motivo. La Fiat ha resistito con
controricorso, illustrato da successiva memoria ex art. 378 cod.
proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo del ricorso, denunziando violazione e falsa
applicazione degli artt. 4 e 5 della legge n. 223 del 1991 nonché
omessa e contraddittoria motivazione, il ricorrente deduce che,
nell’ambito della procedura di mobilità, il datore di lavoro deve
comunicare non soltanto i criteri di scelta utilizzati, ma anche le
specifiche modalità con cui tali criteri sono stati applicati. Al
riguardo assume rilevanza il nesso causale tra il licenziamento ed i
motivi tecnico-organizzativi addotti dal datore di lavoro a
fondamento della procedura di mobilità. Sul punto la sentenza
impugnata, nel ritenere infondati i rilievi mossi dal ricorrente, non
ha dato sufficientemente conto delle ragioni per le quali ha ritenuto
corretti i criteri di scelta utilizzati dal datore di lavoro.
In particolare, posto che la scelta dei trecento lavoratori dello
stabilimento di Pomigliano d’Arco posti in mobilità doveva essere
effettuata, secondo il tenore delle comunicazioni inoltrate
dall’Azienda, fra i lavoratori “non riconvertibilr più prossimi alla
pensione, non è stato tenuto conto che il ricorrente era addetto al
controllo, su un computer ed in tempi reali, dei flussi produttivi, e
cioè al rispetto dei tempi di produzione per ciascuna linea di
montaggio, e che nell’ultimo anno di lavoro aveva addestrato un
lavoratore assunto a tempo determinato. Inoltre era stata proposta
al ricorrente, dopo il collocamento in mobilità, un’assunzione a
tempo determinato. Tutte queste circostanze dimostravano che non

Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso il

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vi era l’impossibilità di utilizzare il ricorrente sugli impianti a
nuova tecnologia e di riconvertire il medesimo nelle attività
derivanti dalla introduzione dei nuovi processi produttivi.
Il ricorso non è fondato.
Questa Corte ha più volte affermato che la determinazione
traduce in un accordo sindacale concluso dai lavoratori attraverso
le associazioni sindacali che li rappresentano, deve rispettare non
solo il principio di non discriminazione, sanzionato dalla L. n. 300
del 1970, art. 15, ma anche il principio di razionalità, alla stregua
del quale i criteri concordati devono avere i caratteri dell’obiettività
e della generalità e devono essere coerenti col fine dell’istituto della
mobilità dei lavoratori.
E’ stato altresì costantemente affermato che in materia di
licenziamenti collettivi per riduzione di personale, la legge n. 223
del 1991, nel prevedere agli artt. 4 e 5 la puntuale, completa e
cadenzata procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di
messa in mobilità, ha introdotto un significativo elemento
innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale,
esercitato ex post nel precedente assetto ordinamentale, ad un
controllo dell’iniziativa imprenditoriale, concernente il
ridimensionamento dell’impresa, devoluto

ex ante

alle

organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di
informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata
in materia di trasferimenti di azienda. I residui spazi di controllo
devoluti al giudice in sede contenziosa non riguardano più, quindi,
gli specifici motivi della riduzione del personale (a differenza di
quanto accade in relazione ai licenziamenti per giustificato motivo
obiettivo) ma la correttezza procedurale dell’operazione (ivi
compresa la sussistenza dell’imprescindibile nesso causale tra il
progettato ridimensionamento e i singoli provvedimenti di recesso),
con la conseguenza che non possono trovare ingresso in sede
giudiziaria tutte quelle censure con le quali, senza contestare

negoziale dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, che si

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specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5 e
senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo
delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di
operare discriminazioni tra i lavoratori, si finisce per investire
l’autorità giudiziaria di un’indagine sulla presenza di “effettive”
tra le altre, Cass. 6 ottobre 2006 n. 21541; Cass. 18 settembre
2007 n. 19347; Cass. 3 marzo 2009 n. 5089).
Inoltre è stato precisato che in materia di collocamento e
mobilità e di licenziamenti collettivi il criterio di scelta adottato
nell’accordo sindacale tra datore di lavoro e organizzazioni
sindacali per l’individuazione dei destinatari del licenziamento può
anche essere unico e consistere nella prossimità al pensionamento,
purchè esso permetta di formare una graduatoria rigida e possa
essere applicato e controllato senza alcun margine di
discrezionalità da parte del datore di lavoro (Cass. 2 settembre
2003 n. 12871; Cass. 6 ottobre 2006 n. 21541). Si tratta infatti di
un criterio oggettivo, che permette di scegliere a parità di
condizioni, il lavoratore che subisce il danno minore dal
licenziamento, potendo sostituire il reddito da lavoro con il reddito
da pensione (Cass. 20 febbraio 2013 n. 4186).
Infine è stato affermato che in tema di ridimensionamento
dell’attività imprenditoriale che legittima il ricorso alla procedura di
mobilità ex art. 24 della legge n. 223 del 1991, condotte datoriali,
quali la richiesta di svolgimento di lavoro straordinario,
l’assunzione

di nuovi lavoratori o la devoluzione all’esterno

dell’impresa di parte della produzione, successive al licenziamento
collettivo, non sono suscettibili di incidere sulla validità del
licenziamento stesso, una volta che la procedura di mobilità si sia
svolta nel rispetto dei vari adempimenti previsti dagli artt. 4 e 5
della legge n. 223 del 1991, ove non risulti la necessità di colmare
vuoti di organico originati ingiustificatamente dal processo di
ristrutturazione, e ove non si sia in presenza di un ampliamento

esigenze di riduzione o trasformazione dell’attività produttiva (cfr.,

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dell’attività economica dell’impresa, non giustificata sulla base
delle ragioni che hanno portato alla riduzione del personale. Ne
consegue che non è sufficiente dedurre che vi sia stata
l’assunzione di nuovi lavoratori per escludere sic et simpliciter la
legittimità del ricorso alla procedura di mobilità (Cass. 20 gennaio

Orbene nella fattispecie in esame il licenziamento collettivo è
stato motivato dalla esigenza di migliorare le condizioni di
competività dello stabilimento di Pomigliano d’Arco; di realizzare
un nuovo modello di organizzazione della fabbrica volto ad
assicurare una produzione più snella; di contenere i costi di
struttura e di funzionamento.
E’ stata altresì prevista la collocazione in mobilità di un
massimo di trecento lavoratori non più riconvertibili su sistemi
industriali, informativi e gestionali a tecnologia avanzata ed è stato
individuato, quale criterio di scelta dei lavoratori quello del
possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione. Inoltre è stato
previsto un incentivo all’esodo, previa sottoscrizione da parte dei
lavoratori di verbali di conciliazione ex artt. 410 e 411 cod. proc.
civ.
La procedura si è conclusa con la stipulazione di un accordo
sottoscritto da tutte le organizzazioni sindacali.
Sulla base di tali elementi, la sentenza impugnata ha ritenuto
che la procedura di mobilità fosse stata condotta correttamente;
che la prospettata situazione aziendale era “ben nota” alle
organizzazioni sindacali, le quali hanno avallato le scelte
dell’azienda, sottoscrivendo il relativo accordo; che sussisteva il
nesso causale tra il licenziamento ed i motivi tecnico-organizzativi
addotti dal datore di lavoro; che non era idoneo ad incidere sulla
procedura di mobilità il fatto che fosse stata disposta l’assunzione
di altri lavoratori, posto che essa non era volta a colmare vuoti di
organico originati ingiustificatamente dal processo di
ristrutturazione; che non poteva ravvisarsi alcuna violazione nella

2011 n. 1253).

6

t

rapidità con cui era stato concluso l’accordo, denotando ciò la
completa condivisione, da parte delle organizzazioni sindacali, delle
ragioni poste a base della procedura.
A fronte di tale congrua e logica motivazione, le censure
mosse all’impugnata sentenza non hanno ragion d’essere,
nell’ultimo anno di lavoro “ha dovuto personalmente addestrare il
ragazzo con contratto a tempo determinato”, essendo tale incarico
una logica conseguenza dell’esperienza acquisita dallo stesso
ricorrente dopo tanti anni di servizio, come pure è irrilevante che al
Pulcrano sia stata proposta una nuova assunzione, trattandosi,
come evidenziato nel controricorso, di “un diverso contratto di
lavoro”, a tempo determinato, con assegnazione al predetto
lavoratore di mansioni diverse, non connesse con i “sistemi
industriali, informatici e gestionali a tecnologia avanzata” la cui
introduzione ha determinato la procedura di mobilità.
Proprio l’oggettiva applicazione del criterio dell’anzianità e di
prossimità alla pensione costituiva la migliore garanzia per evitare
discriminazioni in danno del singolo lavoratore, sì da comportare
una maggiore trasparenza dell’iter compiuto dall’imprenditore per
procedere all’individuazione, prima, e all’espulsione, poi, del
personale oggetto della scelta.
Alla stregua di tutto quanto precede il ricorso deve essere
rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento
delle spese di questo giudizio, come in dispositivo.
P. Q .M .
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, a
favore della società resistente, delle spese di questo giudizio, che
liquida in E 50,00 per esborsi ed E 2.500,00 per compensi
professionali, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma in data 12 giugno 2013.

dovendosi qui aggiungere che a nulla rileva che il ricorrente

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