Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24262 del 28/10/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 24262 Anno 2013
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA
sul ricorso 2007-2011 proposto da:
TELECOM ITALIA S.P.A. C.F. 00471850016, in persona del
legale rappresentante pro tempore,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo
studio

dell’avvocato

MARESCA

ARTURO,

che

la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati BOCCIA
2013

FRANCO RAIMONDO, ROMEI ROBERTO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2080

contro

e

TUCCI MARIO C.F.

TCCMRA54L08H501X,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLE MILIZIE 34, presso lo

Data pubblicazione: 28/10/2013

studio

dell’avvocato

PETROCELLI

MARCO

che

lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente ricorso successivo senza n ° di R.G.

– TELEPOST S.P.A., (P. IVA 04212980967), in persona

domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI N. 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresentata e difende unitamemte all’avvocato TOSI
PAOLO, giusta delega in atti;
– ricorrente successivo contro

TUCCI MARIO C.F.

TCCMRA54L08H501X,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLE MILIZIE 34, presso lo
studio dell’avvocato PETROCELLI MARCO che lo
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente al ricorso successivo –

avverso la sentenza n. 4516/2010 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 15/07/2010 R.G.N. 3499/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/06/2013 dal Consigliere Dott. PIETRO
VENUTI;
udito l’Avvocato COSENTINO VALERIA per delega MARESCA
ARTURO;
udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega
FIORILLO LUIGI;

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

udito l’Avvocato PETROCELLI MARCO GUSTAVO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per

il rigetto del ricorso.

i.,

R.G. n. 2007/11
Ud. 12.6.2013

i.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

15 luglio 2010, in riforma della decisione di primo grado che aveva
rigettato la domanda proposta da Tucci Mario nei confronti di
Telecom Italia S.p.A. e Telepost S.p.A., ha dichiarato l’inefficacia
nei confronti del lavoratore della cessione del ramo d’azienda

“Document Management” effettuata dalla prima a favore della
seconda, con conseguente persistenza del rapporto di lavoro
subordinato tra il predetto lavoratore e Telecom Italia.
La Corte anzidetta, per quanto ancora rileva in questa sede,
ha affermato che nella vicenda contrattuale in esame non era
ravvisabile una valida cessione di ramo d’azienda, riconducibile
alla disciplina di cui all’art. 2112 cod. civ.
Al riguardo, era necessario che il ramo d’azienda oggetto del
trasferimento costituisse un’entità economica con propria identità,
organizzata in modo stabile, in modo da funzionare
autonomamente e non rappresentare il prodotto dello
smembramento di frazioni non autosufficienti e non coordinate tra
loro.
Dagli elementi acquisiti era viceversa emerso che il negozio
traslativo non aveva avuto ad oggetto un ramo d’azienda nel senso
indicato, non essendo stato soddisfatto il requisito dell’autonomia
funzionale del ramo ceduto.
Per la cassazione della sentenza hanno proposto autonomi
ricorsi Telecom Italia S.p.A., sulla base di due motivi, e Telepost
S.p.A. per due motivi, nei confronti dei quali il lavoratore ha
resistito con distinti controricorsi. Le parti hanno depositato
memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

La Corte d’Appello di Potenza, con sentenza del 14 maggio –

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MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Deve preliminarmente disporsi la riunione dei ricorsi ex
art. 335 cod. proc. civ., in quanto proposti avverso la stessa
sentenza.
2. Con il primo motivo del ricorso Telecom Italia S.p.A.,

deduce che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che
nella fattispecie non fosse configurabile un trasferimento di ramo
d’azienda.
Al riguardo ciò che rileva non è la consistenza patrimoniale
del ramo ceduto, ma la idoneità dello stesso a svolgere un
determinato servizio, con una attività economica organizzata,
diretta alla produzione di beni o servizi. Per lo svolgimento di tale
attività non sono necessari ingenti e rilevanti mezzi materiali,
essendo sufficiente anche una entità economica dotata di esigui
mezzi materiali purché vi sia un complesso organizzato di persone
e di servizi. Non occorre poi che il ramo d’azienda sia costituito da
beni di esclusiva proprietà del titolare dell’azienda cessionaria,
essendo sufficiente che questi ne abbia la disponibilità in base ad
un titolo contrattuale. Irrilevante è che taluni servizi inerenti al
ramo d’azienda siano stati esclusi dalla cessione, richiedendo l’art.
2112 cod. civ., ai fini di una valida cessione, la preesistenza del
ramo d’azienda e la sua autonomia funzionale.
3. Con il secondo motivo Telecom Italia S.p.A., denunziando
insufficiente e contraddittoria motivazione, osserva che la Corte di
merito non spiega le ragioni per cui la asserita esiguità dei beni del
ramo ceduto comporti la mancanza del requisito dell’autonomia
funzionale. Aggiunge che tale assunto è peraltro in contrasto con
l’affermazione della stessa Corte, secondo cui l’attività da svolgere,
consistente nella spedizione, smistamento e protocollazione della
corrispondenza e nella “gestione del parco macchine fotocopie”, era
di non elevata specializzazione e di scarsa complessità. Inoltre la
sentenza impugnata ha trascurato del tutto la circostanza che il

denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 cod. civ.,

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ramo ceduto ha continuato a svolgere la propria attività con gli
stessi beni utilizzati in precedenza, alcuni dei quali trasferiti in
proprietà ed altri utilizzati in base a specifici accordi intercorsi con
la cedente.
4. Con il primo motivo dell’autonomo ricorso, Telepost S.p.A.,
civ., rileva che la Corte di merito ha escluso l’autonomia funzionale
ed organizzativa del ramo d’azienda ceduto sulla base di talune
affermazioni errate, non considerando che :
– era del tutto irrilevante la quantità dei beni materiali ceduti,
posto che l’evoluzione giurisprudenziale, anche comunitaria, aveva
progressivamente svalutato la presenza degli strumenti produttivi e
materiali, come requisito tipico del ramo d’azienda, ritenendo al
contrario sufficiente, ai fini della sussistenza di un’articolazione
funzionalmente autonoma, anche la semplice organizzazione del
fattore umano, tanto più se coordinato con metodi originali ed
autonomi;
– era parimenti irrilevante il fatto che Telecom avesse
conservato la proprietà di alcuni dei beni ceduti, dando a Telepost
in locazione gli immobili e in comodato i computer, peraltro per un
periodo transitorio, dovendo aversi riguardo, ai fini della legittimità
del trasferimento del ramo d’azienda, al dato oggettivo
rappresentato dalla autonomia funzionale del ramo prima della
cessione e dalla perdurante identità ed autonomia funzionale dopo
la cessione;
– che era irrilevante la non elevata specializzazione del
personale ceduto, atteso che, a parte il rilievo che il lavoro di
gestione informatica della corrispondenza richiede “un know how”
di tutto rilievo, secondo le indicazioni della Corte di Giustizia non
era necessario che il personale trasferito fosse particolarmente
qualificato o possessore di particolari brevetti o licenze.
5. Con il secondo motivo Telepost, denunziando omessa ed
insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il

nel denunziare violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 cod.

4

giudizio, deduce che la Corte di merito non ha attribuito la dovuta
rilevanza all’accertamento compiuto dai consulenti tecnici d’ufficio
in un giudizio, analogo al presente, svoltosi davanti alla Corte
d’Appello di Palermo, i quali, erano pervenuti alla conclusione che
il ramo d’azienda ceduto (Document Management) era dotato di
non ha tenuto conto che dopo la cessione del ramo d’azienda
Telepost si era aggiudicata commesse di elevato prestigio, ciò che
confermava l’autonomia organizzativa della struttura.
6. Entrambi i ricorsi, i quali, in ragione della loro
connessione, vanno trattati congiuntamente affrontando
sostanzialmente le stesse questioni e denunziando entrambi
violazione dell’art. 2112 cod. civ. e vizio di motivazione, devono
essere rigettati.
6.1. Deve premettersi che è infondata l’eccezione, dedotta dal
controricorrente, di inammissibilità del ricorso proposto da
Telepost S.p.A.
Ad avviso del controricorrente, posto che l’art. 370 cod. proc.
civ. dispone che dopo la notifica del ricorso in cassazione le altre
parti, se intendono contraddire, debbono farlo mediante il
controricorso, proponendo eventualmente nello stesso atto ricorso
incidentale ex art. 371, Telepost avrebbe dovuto proporre non già
un ricorso autonomo, ma esporre le proprie censure mediante il
controricorso.
Senonchè, deve al riguardo osservarsi che è principio
consolidato di questa Corte, sulla scia di Cass. Sez. Un. 25 giugno
2002 n. 9232, che, atteso il principio di unità dell’impugnazione secondo il quale l’impugnazione proposta per prima determina la
pendenza dell’unico processo nel quale sono destinate a confluire,
sotto pena di decadenza, per essere decise simultaneamente, tutte
le eventuali impugnazioni successive della stessa sentenza, le
quali, pertanto, hanno sempre carattere incidentale -, nei
procedimenti con pluralità di parti, avvenuta ad istanza di una di

stabile e consolidata autonomia funzionale e organizzativa. Inoltre

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esse la notificazione del ricorso per cassazione, le altre parti, cui
questo sia stato notificato, devono proporre, a pena di decadenza, i
loro eventuali ricorsi avverso la medesima sentenza nello stesso
procedimento e perciò nella forma delle impugnazioni incidentali;
ne consegue che il ricorso proposto irritualmente in forma
avrebbe potuto proporre soltanto impugnazione incidentale, per
convertirsi in quest’ultima, deve averne i requisiti temporali, onde
la conversione risulta ammissibile solo se la notificazione del
relativo atto non ecceda il termine di quaranta giorni da quello
dell’impugnazione principale. (Cass. 22 ottobre 2004 n. 20593;
Cass. 30 dicembre 2009 n. 27887; Cass. 21 dicembre 2011 n.
27898).
Nella specie il ricorso proposto da Telepost è stato notificato a
Telecom e al Tucci in data 11 febbraio 2011, e cioè nel rispetto del
termine di quaranta giorni dalla ricezione della notifica del ricorso
proposto da Telecom, avvenuta il 14 gennaio 2011, con la
conseguenza che esso si è convertito in ricorso incidentale.
7. Ciò posto, rileva la Corte che l’art. 2112 cod. civ., comma
5, nel testo introdotto dal d. lgs. 2 febbraio 2001 n. 18, art. 1, in
attuazione della direttiva 98/50/CE, disponeva che per ramo
d’azienda doveva intendersi una

“articolazione funzionalmente

autonoma di un’attività economica organizzata ai sensi del presente
comma, preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel
trasferimento la propria identità”.
Tale disposizione è stata sostituita dall’art. 32 d. lgs. 10
settembre 2003 n. 276, art. 32, comma 1, applicabile

ratione

temporis alla fattispecie in esame, secondo cui per “parte
dell’azienda” deve intendersi una “articolazione funzionalmente

autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come
tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento”.
E’ stato quindi eliminato il requisito dell’autonomia
funzionale del ramo d’azienda “preesistente” al trasferimento ed è

autonoma da chi, in forza degli artt. 333 e 371 cod. proc. civ.,

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stato altresì escluso che il ramo d’azienda debba conservare, a
seguito del trasferimento, la propria identità.
L’intervento riformatore non ha modificato la norma nella
parte in cui il ramo d’azienda è definito come articolazione
funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata,
propri autonomi mezzi.
Oltre che autonoma ed idonea funzionalmente a svolgere un
determinato servizio, l’entità economica deve essere organizzata in
modo stabile e non deve, al contrario, rappresentare il prodotto
dello smembramento di frazioni non autosufficienti e non
coordinate tra loro.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la nuova
formulazione dell’art. 2112 cod. civ. non ha legittimato tutte le
operazioni di esternalizzazione di servizi, perseguendo viceversa il
fine di evitare che il trasferimento si trasformi in un semplice
strumento di sostituzione del datore di lavoro, in una pluralità di
rapporti individuali, con altro sul quale i lavoratori possano riporre
minore affidamento sul piano sia della solvibilità sia dell’attitudine
a proseguire con continuità l’attività produttiva (cfr., in questi
termini, Cass. 8 giugno 2009 n. 13171).
Orbene, nella fattispecie in esame la Corte di merito ha
accertato che il negozio traslativo non aveva avuto ad oggetto un
ramo d’azienda nel senso indicato, non essendo stato soddisfatto il
requisito dell’autonomia funzionale del ramo ceduto.
La cessione aveva infatti riguardato una articolazione
aziendale non in grado di presentarsi sul mercato in modo
autosufficiente, risolvendosi in una cessione di una pluralità di
contratti di lavoro subordinato e quindi in una forma di espulsione
di quote di personale non consentita.
Si trattava di un’entità costituita solo da rapporti di lavoro
con parte dei dipendenti addetti al servizio di

Document

Management e da dotazioni di ufficio assolutamente prive di

capace cioè di perseguire lo scopo economico prefissato con i

7

rilevanza, non idonee ad assicurare il servizio di “gestione della
corrispondenza in ingresso e in uscita” e delle operazioni ad esso
connesse.
Non erano state trasferite al cessionario le dotazioni
indispensabili all’espletamento del servizio (computer e programmi)
all’uopo necessari, dei quali il cedente si era riservata la proprietà.
Inoltre, la cessione non aveva riguardato tutta l’attività di gestione
della corrispondenza Telecom, essendo rimasti esclusi taluni
servizi, fra cui la cosiddetta corrispondenza “Top”, ossia quella
indirizzata alla sede centrale di Roma che, secondo l’assunto della
società cedente, era rimasta in Telecom per ragioni di riservatezza
e di celerità.
La situazione patrimoniale allegata al contratto di cessione
evidenziava, poi, che, a fronte di immobilizzazioni materiali
valutate in complessivi E 77.790, erano stati ceduti debiti verso il
personale pari ad E 367.869,00, cui erano da aggiungere E
3.458.077,00 per quote di accantonamento del trattamento di fine
rapporto.
A fronte di tali argomentazioni, le società ricorrenti hanno
contrapposto una diversa valutazione degli elementi acquisiti,
esprimendo un proprio giudizio sul concetto di autonomia
funzionale ed affermando che, contrariamente a quanto sostenuto
dalla sentenza impugnata, la cessione aveva riguardato una
articolazione aziendale in grado di presentarsi sul mercato in modo
autosufficiente, capace cioè di perseguire lo scopo economico
prefissato con propri autonomi mezzi, in virtù della propria
autonomia organizzativa.
Ma tale prospettazione si risolve in una inammissibile istanza
di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di
merito, estranea alla natura e alla finalità del giudizio di
cassazione, dovendosi al riguardo rimarcare che l’apprezzamento
dei fatti è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che

né erano stati posti a disposizione del cessionario altri beni

8

nell’ambito di tale sindacato non è conferito il potere di
riesaminare

e

valutare il merito della causa, ma solo quello di

controllare, sotto il profilo logico—formale e della correttezza
giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito.
Nella specie non sono ravvisabili i dedotti vizi di motivazione,
adeguato, coerente e privo di vizi logico-giuridici.
Né può condurre a diversa conclusione la circostanza che in
un giudizio svoltosi davanti alla Corte di Appello di Palermo,
analogo al presente, i consulenti tecnici d’ufficio siano pervenuti
alla conclusione che la struttura “Document Management» aveva i
requisiti previsti dall’art. 2112 cod. civ., ossia fosse dotata di
autonomia funzionale e organizzativa ed in grado di svolgere
autonomamente il servizio di corrispondenza oggetto del ramo
ceduto.
Come correttamente evidenziato dalla Corte di merito, a
prescindere dalla tardività della produzione di tale consulenza,
effettuata in grado di appello, e dal limitato valore probatorio di un
accertamento disposto in altro giudizio e tra parti diverse, gli
ausiliari, più che svolgere accertamenti di carattere tecnico, hanno
espresso un proprio giudizio sul concetto di autonomia funzionale
ed una valutazione fondata su elementi documentali (ossia sugli
ordini di servizio in atti e sul contenuto del negozio di cessione),
attività questa riservata al giudicante.
Peraltro, le conclusioni cui sono pervenuti i predetti
consulenti tecnici non hanno trovato riscontro in una controversia,
analoga alla presente, promossa da taluni lavoratori nei confronti
delle odierne società ricorrenti, nella quale è stata esclusa
l’autonomia funzionale ed organizzativa di Telepost S.p.A. e
l’effettività del trasferimento sia per la inconsistenza dei beni
materiali ceduti, sostanzialmente inidonei a consentire lo
svolgimento dell’attività produttiva del cessionario, sia per la
mancata attribuzione di software e di strumentazione informatica

apparendo il percorso argomentativo della sentenza impugnata

autonoma allo stesso, e sia, infine, perché i lavoratori coinvolti dal
trasferimento non costituivano un gruppo coeso per
professionalità, legami organizzativi preesistenti alla cessione e
specifico know how tale da individuarli come una struttura
unitaria funzionalmente idonea (cfr. Cass. 21 novembre 2012 n.

Alla stregua di tutto quanto precede i ricorsi vanno rigettati,
con la conseguente condanna delle società ricorrenti al pagamento
delle spese di questo giudizio, come in dispositivo.
P. Q . M .
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Condanna le ricorrenti al
pagamento, a favore di Tucci Mario, delle spese del presente
giudizio, che liquida in

50,00 per esborsi ed

compensi professionali, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 12 giugno 2013.

4.000,00 per

20422).

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