Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24261 del 18/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 18/11/2011, (ud. 26/10/2011, dep. 18/11/2011), n.24261

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31148/2007 proposto da:

R.C., quale avente causa della defunta madre Sig.ra

P.E., elettivamente domiciliato in ROMA VIA L.MANTEGAZZA 24

presso lo studio dell’avvocato GARDIN LUIGI, rappresentato e difeso

dall’avvocato DI CAGNO Alessandro, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 56/2006 della COMM. TRIB. REG. di BARI,

depositata il 24/10/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

26/10/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito per il ricorrente l’Avvocato DI CAGNO ALESSANDRO, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

R.C., erede di P.E., ricorre per cassazione nei confronti della sentenza della commissione tributaria regionale della Puglia, n. 56/3/2006, pubblicata il 24 ottobre 2006, che, in accoglimento dell’appello dell’agenzia delle entrate contro la decisione di primo grado, ha ritenuto non spettante il rimborso della ritenuta d’imposta del 20% applicata, ai sensi della L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 5, su una somma complessivamente erogata nell’anno 2000 a titolo di indennità di esproprio (e di preventiva occupazione) di un terreno posto in comune di Bari.

La sentenza ha ritenuto ostativa al rimborso la circostanza che giustappunto s’era trattato di somme erogate dopo l’entrata in vigore della legge cit.. Ha inoltre respinto l’appello incidentale del contribuente sul rilievo che la procedura di espropriazione de qua era iniziata e terminata in vigenza del locale p.e.e.p..

Il ricorso per cassazione del contribuente, avverso la detta sentenza di secondo grado, è stato affidato a tre motivi, illustrati anche da successiva memoria.

L’intimata ha replicato con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il primo mezzo denunzia violazione di legge in conseguenza dell’avvenuta applicazione alla fattispecie della L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 5, anzichè dell’art. 11, comma 9.

Denunzia altresì vizio di motivazione della sentenza.

Sostiene il ricorrente essere errata l’applicazione nel caso di specie del c.d. criterio di cassa, ai fini della sottoposizione della plusvalenza a tassazione, posto che – anche in relazione al dettato costituzionale (art. 3 Cost.) e agli orientamenti assunti dalla Cedu circa la illegittimità di un’applicazione retroattiva in seno al procedimento espropriativo – non avrebbe potuto essere ignorato il momento genetico della plusvalenza, e dunque la collocazione temporale dell’atto cui il pagamento è associato. Il motivo è concluso da due quesiti di diritto, così formulati: (1) “se la L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 5, e segg., ed in particolare il comma 9 del medesimo articolo, vadano interpretati nel senso di una sostanziale illimitata retroattività della norma per cui ogni pagamento di indennità di espropriazione successivo all’entrata in vigore della legge debba essere assoggettato a tassazione anche se l’atto in conseguenza del quale il pagamento avviene risale ad epoca precedente il 31.12.1988”; (2) “se tale criterio interpretativo (criterio di cassa) abbia carattere assoluto e se, in materia di tassazione delle indennità di espropriazione per p.u., esso si presenti conforme alla Costituzione in misura maggiore rispetto ad altre possibili interpretazioni della norma”.

2. – Il primo motivo, ancorchè unitariamente interpretati i proposti quesiti (onde garantirne l’ammissibilità a fronte della più rigorosa giurisprudenza formatasi sui c.d. quesiti multipli e cumulativi, di cui infra), è infondato, avendo la sentenza fatto corretta applicazione dell’insegnamento consolidato di questa Corte sul tema.

Rispetto alla tesi in passato sostenuta da una parte della giurisprudenza (soprattutto da Cass. n. 14673/1999, richiamata dal ricorrente, alla cui massima ancora sembra riferirsi Cass. n. 6956/2006), l’orientamento di gran lunga maggioritario è invero nell’ultimo quindicennio attestato sul principio per cui: “In tema di imposte sui redditi, ai fini del prelievo fiscale di cui alla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, comma 5, è sufficiente che la percezione della somma, che realizzi una plusvalenza, in dipendenza di procedimenti espropriativi, sia avvenuta dopo l’entrata in vigore della legge anzidetta, a nulla rilevando che il trasferimento del bene sia intervenuto precedentemente, e in particolare prima dell’1 gennaio 1989, atteso che la disciplina transitoria, di cui alla citata Legge, art. 11, comma 9, concerne soltanto le plusvalenze percepite prima dell’entrata in vigore della L. n. 413 del 1991, assoggettandole a tassazione a condizione che nel triennio successivo al 31 dicembre 1988 siano intervenuti sia il titolo, fonte della plusvalenza, sia la percezione della somma; nè tale disciplina pone dubbi di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., in quanto il legislatore è libero di sottoporre ad imposizione fiscale manifestazioni di capacità contributiva, come la plusvalenza in esame” (Cass. n. 2593/2008, n. 2490/2005, n. 5477/2004, n. 7449/2003, n. 8719/2003, n. 8719/2002; infine anche Cass. n. 10811/2010).

A tale principio il collegio intende assicurare continuità, ulteriormente potendosi osservare che la surriferita argomentazione vale a superare il rilievo circa l’ipotizzato contrasto con l’art. 3 Cost. e ancor di più con la Cedu (Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, cui è stata data esecuzione con L. 4 agosto 1955, n. 848), che concerne il solo profilo della tutela del diritto di proprietà, ferma restando la disciplina degli aspetti fiscali della vicenda espropriativa; e posto che il momento della percezione della plusvalenza semplicemente concretizza l’indice di ricchezza e di capacità contributiva dal legislatore considerato agli specifici fini. Ed è stato già a più riprese chiarito dalla medesima Corte costituzionale che l’ individuazione degli indici anzidetti – di ricchezza e di capacità contributiva (art. 53 Cost.) -, così come la nozione di reddito, è rimessa alla discrezionalità del legislatore (v. tra le tante C. cost. 362/1995; 111/1997; 412/2000; nonchè C. cost. n. 109/2002 (ord.)).

Consegue che non rileva affatto, nel caso di specie, il regime transitorio dettato dal 9 co. della disposizione evocata, la plusvalenza essendo stata conseguita – come detto – nell’anno 2000.

3. – I restanti due mezzi attengono al rigetto dell’appello incidentale.

Il secondo motivo denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa decisione; violazione di legge (“art. 360 c.p.c., n. z”) omesso esame e omessa motivazione circa l’intervenuta scadenza del p.e.e.p. – omessa applicazione della L. n. 167 del 1962, art. 9.

Denunzia ancora, sub specie di violazione di legge, l’omessa applicazione della L. n. 1187 del 1968, art. 2 e motivazione contraddittoria ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

La critica – al di là degli impropri riferimenti all’art. 360 c.p.c., n. 5, che non si attaglia a presunte carenze della motivazione in diritto – nel complesso consiste nell’affermazione che il p.e.e.p. in cui ricadeva l’immobile espropriato (quartiere di (OMISSIS)), approvato con D.M. 14 marzo 1969, n. 821, era scaduto all’epoca del pagamento delle indennità. Il che, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto condurre la commissione regionale a escludere la tassabilità degli indennizzi dal momento che, appunto all’atto del pagamento, l’immobile non potevasi ritenere compreso in una delle tipologie urbanistiche contemplate dalla L. n. 413 del 1991, art. 11.

Il motivo è concluso dal quesito “se, qualora si ritenesse di applicare il ed. criterio di cassa, il riferimento alla data debba essere omogeneo e quindi alla medesima data in cui è avvenuta la materiale percezione della indennità ci si debba riferire per stabilire se l’immobile espropriato rientri, o meno, in una delle tipologie urbanistiche che la L. n. 413 del 1991, art. 11, assoggetta a tassazione”.

4. – Il secondo motivo è manifestamente infondato, essendo l’invocata simmetria disancorata dal dato normativo. Il quale infatti associa la plusvalenza – per quanto rileva – alla percezione di indennità di esproprio, nonchè di somme comunque dovute per effetto di occupazioni d’urgenza divenute illegittime, “relativamente a terreni destinati ad opere pubbliche o ad infrastrutture urbane all’interno delle zone omogenee A, B, C, D (..) ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica ed economica e popolare di cui alla L. 18 aprile 1962, n. 167 (..)”. Con evidente unico riferimento, quindi, alle caratteristiche dei suoli all’atto della programmazione urbanistica.

5. – Il terzo motivo denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa decisione sugli altri motivi di appello; omessa applicazione dell’art. 2697 c.c.; omesso esame e omessa motivazione circa l’intervenuta scadenza del p.e.e.p.; omessa applicazione della L. n. 167 del 1962, art. 9, e succ. modificazioni; omessa applicazione della L. n. 1187 del 1968, art. 2.

Si addebita all’amministrazione finanziaria di non aver chiarito – con consequenziale inadempimento dell’onere della prova sul fatto costitutivo della pretesa erariale – in quale tipologia urbanistica sarebbe stato compreso il suolo di cui è causa.

6. – Il terzo motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., attesa la proposizione in sequenza di tre quesiti (per il divieto di quesiti multipli e comulativi, v., ex multis, Cass. n. 8780/2010; n. 5471/2008) oltre tutto formulati in modo generico e senza riferimenti alla fattispecie, salvo l’ultimo che però riguarda il comportamento dell’amministrazione “se all’amministrazione finanziaria sia consentito o meno di omettere di esplicitare (in sede di istanza di rimborso e addirittura anche nel conseguente ricorso tributario avverso il silenzio-rigetto) le ragioni che a suo dire giustificherebbero l’applicazione della tassazione ed in particolare la specifica tipologia urbanistica fra quelle indicate dalla L. n. 413 del 1991, art. 11, in cui ricade l’immobile espropriato” e non contiene riferimenti a errori propri della sentenza.

In conclusione, il ricorso è rigettato. Spese alla soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.200,00, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 26 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2011

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