Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24259 del 18/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 18/11/2011, (ud. 25/10/2011, dep. 18/11/2011), n.24259

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 7711/2007 proposto da:

ALFAPERROMETALLI DI AMMIRATI FRANCO SAS, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

MONTASIO 45/A presso lo studio dell’avvocato CAIAZZA ELENA,

rappresentato e difeso dall’avvocato LENZI Luciano, giusta delega a

margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI PRATO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 43/2006 della COMM. TRIB. REG. di FIRENZE,

depositata il 02/10/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/10/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito per il resistente l’avvocato CASELLI GIAN CARLO che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del 2^ motivo di

ricorso, assorbito il 1^ motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La commissione tributaria regionale della Toscana, con sentenza pubblicata il 2.10.2006, riformando la decisione di primo grado, ha respinto un ricorso di Alfaferrometalli di Ammirati Franco s.a.s.

contro due cartelle di pagamento relative all’anno 2001, per imposte di registro, ipotecarie e catastali.

Le cartelle avevano trovato presupposto in un anteriore avviso di rettifica e di liquidazione d’imposta su un atto di esercizio di diritto di riscatto accessorio a una vendita immobiliare, atto dall’amministrazione finanziaria considerato come a sua volta di compravendita.

La commissione regionale al riguardo ha evidenziato che l’atto presupposto era stato ritualmente notificato a mezzo del servizio postale e non era stato impugnato. Avverso la sentenza suddetta ricorre per cassazione la società, articolando due motivi ai quali l’amministrazione resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – il primo motivo, rubricato come “erronea e falsa applicazione della legge in relazione alla L. n. 80 del 1992, art. 7 (rectius, L. n. 890 del 1982) artt. 137, 138, 139 c.p.c., artt. 145 e 148 c.p.c. e art. 160 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)”, censura la sentenza: (a) per non aver considerato che la relazione di notificazione dell’atto presupposto non conteneva indicazioni intese ad assicurare certezza circa la qualità della persona consegnatane del plico, e circa il legame con il destinatario; (b) per aver ritenuto che la presenza del firmatario nella sede della società fosse invero tale da presupporre un collegamento con l’ente destinatario della notifica; (c) per aver considerato comunque valida la notifica in mancanza di proposizione di querela di falso da parte della società impugnante le cartelle.

Conclude formulando (in forma interrogativa) tre corrispondenti quesiti di diritto.

2. – Il secondo motivo denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., nella misura in cui la commissione territoriale, ritenendo valida la notifica dell’avviso di rettifica, ha omesso di pronunciarsi sulle questioni di merito concernenti la eccepita carenza del potere dell’amministrazione finanziaria di apprezzare, a fondamento dell’imposizione, una asserita nullità negoziale.

3. – Il primo motivo, ove non inammissibile a cagione del fatto ai essere concluso da quesiti multipli non direttamente evocativi delle caratteristiche della fattispecie concreta (v. Cass. n. 5471/2008; n. 8780/2010), è in ogni caso – nel complesso – privo di fondamento.

La sentenza da atto che, in base alla relata, la notifica dell’avviso di rettifica e liquidazione venne eseguita a mezzo posta presso la sede della società, con consegna del plico a persona ivi rinvenuta, sottoscrivente l’avviso di ricevimento, e come: tale da considerarsi “in collegamento” con la società destinataria. Ha aggiunto che la relata di notifica assume rilievo fidefacente e che nessuna iniziativa era stata assunta in ordine a un’eventuale querela di falso.

Può in proposito osservarsi che, per la notificazione a mezzo posta, la L. n. 890 del 1982, art. 7, comma 2, con disposizioni estensibili alle persone giuridiche, consente la consegna del plico presso la relativa sede, oltre che al legale rappresentante, a persona all’uopo addetta. E questa Corte ha in più occasioni affermato che, ove il conferimento del compito di ritirare l’atto sia stato dichiarato dalla persona cui viene effettuata la consegna (come qui può agevolmente presumersi essere avvenuto in considerazione dell’accettazione del plico destinato alla società), e che sottoscrive l’avviso di ricevimento, l’agente postale è dispensato ria ulteriori accertamenti, giustappunto determinando tale dichiarazione (e tale sottoscrizione) la presunzione, fino a prova contraria, dell’effettiva esistenza dell’incarico, il quale non abbisogna di deleghe formali e continuative, e può derivare anche da un mandato verbale e temporaneo (cfr. per tutte Cass. sez. un. 20473/2005).

A questi, principi – in cui può rinvenirsi la risposta ai formulari quesiti, in linea con un consolidato indirizzo giurisprudenziale (adde, Cass. sez. un. n. 22044/2004; Cass. n. 227à/2003; n. 71.13/2001; n. 2327/1998) – si è conformata la sentenza impugnata, correttamente attribuendo alla accettazione del plico presso la sede sociale, da parte di persona ivi rinvenuta, forza presuntiva in ordine al legame intercorrente tra la medesima (sottoscrivente l’avviso di ricevimento) e la società destinataria. Tanto è sufficiente per il rigetto del primo motivo.

4. – Il secondo motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., in quanto non concluso da un quesito di diritto. In ogni caso il mentovato secondo motivo e inciso dal rigetto del primo, che esclude l’ammissibilità del presupposto afferente l’onere della commissione di pronunciarsi sul merito delle residue questioni non direttamente attinenti alla cartella di pagamento.

Spese alla soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.500,00, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 25 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2011

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