Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24259 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. III, 03/11/2020, (ud. 24/06/2020, dep. 03/11/2020), n.24259

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 165/2018 proposto da:

P.N.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

EMILIA 88, presso lo studio dell’avvocato FEDERICA CORSINI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALBERTO WOLLEB;

– ricorrenti –

contro

GEDI – Gruppo Editoriale s.p.a., (già GRUPPO EDITORIALE L’ESPRESSO

SPA), M.E. e F.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, P.ZA DEI CAPRETTARI 70, presso lo studio dell’avvocato

VIRGINIA RIPA DI MEANA, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato VALERIA VACCHINI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3207/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/06/2020 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

P.N.N. convenne in giudizio il Gruppo Editoriale L’Espresso, nonchè M.E. – in qualità di direttore responsabile del quotidiano La Repubblica – e il giornalista F.G. per chiedere il risarcimento dei danni sofferti a seguito della pubblicazione di due articoli avvenuta il (OMISSIS) nella cronaca di (OMISSIS) del giornale (OMISSIS);

precisò che gli articoli avevano dato notizia di un’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Palermo che aveva disposto una misura cautelare nei confronti dell’attore, a fronte di presunti atti di corruttela finalizzati ad indirizzare alcuni pazienti nefropatici dalle strutture ospedaliere pubbliche al centro privato Artificial Kidney Center s.r.l. di cui il P. era amministratore unico; lamentò che la vicenda era stata ricostruita in modo distorto e mediante l’utilizzo di espressioni

di carattere gratuitamente diffamatorio;

il Tribunale di Roma accolse la domanda, ritenendo non rispettato il requisito della continenza, in quanto le “espressioni usate appaiono delle forzature interpretative del giornalista, rappresentando delle vere e proprie insinuazioni che si discostano dal contenuto dell’ordinanza cautelare”; condannò pertanto i convenuti, in solido, al pagamento di 50.000.00 Euro a titolo di risarcimento del danno e il F. anche al pagamento di 15.000,00 Euro a titolo di riparazione pecuniaria;

la Corte di Appello di Roma ha riformato la sentenza di primo grado, respingendo la domanda del P.; ha affermato che le pubblicazioni apparivano “nel loro complesso aderenti al contenuto dell’ordinanza” cautelare, risultando pertanto “rispettato il requisito della verità del fatto”, con un’informazione “equilibrata e conforme al criterio della completezza del resoconto giudiziario”; escluso che fossero presenti “forzature interpretative” o “insinuazioni”, ha osservato che le “frasi “più forti”” andavano “ricondotte nell’alveo del diritto di critica” e che risultava rispettato il parametro della continenza; al riguardo, ha dato atto che “entrambi gli scritti riportano (…), tra loro frammiste, notizie di cronaca (contenuto e stato dell’inchiesta, nonchè riferimento al provvedimento di custodia cautelare emesso) e valutazioni critiche, individuabili nei commenti giornalistici che, con linguaggio icastico e senz’altro colorito, valgono “a tradurre” la vicenda giudiziaria dal formale linguaggio tecnico-giuridico in lessico corrente”; ha aggiunto che “le espressioni ritenute dal Tribunale diffamatorie devono essere, invece, considerate legittime, poichè pur esprimendo una valutazione soggettiva di forte negatività e vera e propria riprovazione -avuto riguardo soprattutto alla strumentalizzazione dei pazienti “trattati come buoi” da parte dei medici e dei soggetti collegati alla struttura privata- da un lato si riferiscono ad un fatto “vero” (ossia al contenuto dell’ordinanza di custodia cautelare emessa il giorno precedente), dall’altro appaiono rispettosi del requisito della continenza”; ha concluso che non “può pretendersi – come invece fa il Tribunale – che il commento ad una vicenda giudiziaria debba consistere nella “mera riproduzione di un atto giudiziario”, rientrando senz’altro nel diritto di critica la possibilità di esprimere valutazioni soggettive e personali, frutto del proprio personale sentire, ovvero dell’impostazione politico-ideologica del giornale che le ospita”;

ha proposto ricorso per cassazione P.N.N., affidandosi a quattro motivi; hanno resistito, con unico controricorso, Gedi – Gruppo Editoriale s.p.a., M.E. e F.G.; i controricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 51 c.p., “per avere la Corte ritenuto applicabile la scriminante del diritto di cronaca in presenza di una violazione del principio di verità del fatto”: assume il ricorrente che erroneamente la Corte di Appello aveva affermato che le due pubblicazioni erano aderenti al contenuto dell’ordinanza cautelare, giacchè tale ordinanza ipotizzava il solo reato di corruzione, mentre il giornalista aveva indicato anche le ipotesi di falsità in bilancio e di truffa ai danni dello Stato; lamenta, inoltre, che l’articolo, pur citandola, non aveva dato adeguato risalto alla dichiarazione del primario del Policlinico che aveva sottolineato la necessità di fare ricorso alle strutture private; si duole, infine, che il giornale non avesse ritenuto di pubblicare la notizia del provvedimento del Tribunale del riesame che aveva revocato la misura cautelare;

il motivo è inammissibile, in quanto:

la censura relativa alla mancanza di corrispondenza tra le ipotesi di reato formulate nell’ordinanza e quelle riferite dal giornalista difetta di autosufficienza, non essendo stati trascritti i passaggi significativi del provvedimento giudiziario e dei due articoli da cui emergerebbe l’evidenziata difformità;

risultano inconferenti rispetto al tema dedotto in causa consistente nelle modalità asserita mente diffamatorie con cui sarebbe stata data notizia di un’inchiesta giudiziaria – sia la misura del risalto dato dal giornalista alle dichiarazioni del primario della struttura pubblica, sia il fatto che alla notizia dell’adozione della misura cautelare non abbia fatto seguito quella della sua revoca (notizia che, benchè opportuna al fine di assicurare la completezza dell’informazione, non sarebbe comunque valsa ad incidere sull’eventuale carattere diffamatorio della prima pubblicazione);

il secondo motivo – che denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c., “per non avere la Corte di merito posto a fondamento della decisione la prova (articolo giornale) proposta dall’attore-appellato” e che reitera la doglianza circa il fatto che l’articolo facesse riferimento a reati non contestati dall’ordinanza – è inammissibile, in quanto:

al pari della censura svolta col primo motivo, difetta di autosufficienza;

la violazione dell’art. 115 c.p.c., non risulta dedotta in conformità ai parametri individuati da Cass., S.U. n. 16598/2016: infatti, un’eventuale erronea valutazione del materiale probatorio non determina, di per sè, la violazione o la falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., che ricorre solo allorchè si deduca che il giudice di merito abbia posto alla base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali (cfr. Cass. n. 27000/2016);

col terzo motivo (che deduce “violazione art. 51 c.p. – violazione Codice Deontologico nell’esercizio dell’attività giornalistica artt. 3-56- (L. n. 675 del 1996, ex art. 25) per avere la Corte ritenuto applicabile la scriminante del diritto di cronaca sebbene in presenza della pubblicazione di notizie afferenti alla sfera privata”), il ricorrente rileva che l’articolo pubblicato forniva indicazioni sulla nazionalità, sulla moglie e sull’indirizzo del ricorrente, in tal modo dando informazioni inutili che violavano la privacy dell’interessato, senza rispettare il suo diritto alla riservatezza;

il motivo è inammissibile in quanto introduce una questione nuova, che non risulta trattata dalla sentenza impugnata e rispetto alla quale il ricorrente non deduce se, come e quando l’abbia dedotta nei gradi di merito;

il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 51 c.p. e artt. 5 e 6 del Codice deontologico dei giornalisti “per aver ritenuto la Corte, in relazione ad alcune espressioni, applicabile la scriminante del diritto di cronaca e/o critica e ritenuto rispettato il requisito della continenza”: dato atto che l’articolo “titolava “Così la tratta degli ammalati tra tangenti e fatture gonfiate” mentre l’articolo esordiva “Pazienti dializzati trattati come buoi, considerati come merce di scambio, messi in vendita per gonfiare i guadagni e sollevare le sorti del centro di dialisi””, il ricorrente censura la Corte per avere ritenuto che tali frasi “più forti” fossero da ricondurre all’esercizio del diritto di critica; assume infatti che tali espressioni non esprimevano “alcun ragionamento critico della notizia di cronaca”, erano formulate in forma affermativa (e non al condizionale) e – costituendo rispettivamente il titolo e l’esordio dell’articolo – avevano una valenza lesiva autonoma;

le affermazioni della Corte non sono condivisibili nella parte in cui riconducono le frasi “più forti” all’esercizio del diritto di critica: premessa, infatti, la pacifica legittimità dell’esercizio del diritto di cronaca giudiziaria, deve ritenersi che, laddove la notizia concerna una misura cautelare disposta nella fase delle indagini preliminari, la cronaca debba limitarsi a dare atto del contenuto dell’ordinanza cautelare e degli elementi desumibili dalla stessa, senza lasciare spazio alla possibilità del giornalista di esprimere soggettive valutazioni critiche che, non avendo ad oggetto fatti accertati in via definitiva ma mere ipotesi di accusa, sarebbero meramente ipotetiche e, in definitiva, del tutto gratuite e prive di pertinenza all’interesse dell’opinione pubblica; ciò in quanto la necessità di bilanciamento fra il diritto dei cittadini ad essere informati di vicende giudiziarie che siano di interesse pubblico e il dovere di salvaguardare la presunzione di innocenza delle persone coinvolte in una vicenda giudiziaria comporta che la cronaca giornalistica non possa “debordare” dal puntale resoconto dei fatti, fintantochè questi non siano definitivamente accertati, mentre il riconoscimento della possibilità del giornalista di esprimere proprie valutazioni anche fortemente critiche finirebbe per snaturare la funzione della notizia e per incidere in modo ingiustificato sulla reputazione dell’indagato (cfr. Cass. n. 18264/2014 e Cass. n. 22190/2009);

esclusa pertanto la possibilità di ritenere operante la scriminante dell’esercizio del diritto di critica, la legittimità delle frasi “più forti” usate dal giornalista deve essere tuttavia affermata nell’ambito della valutazione dell’osservanza del canone della continenza (cui deve conformarsi – unitamente a quelli della pertinenza e della verità – l’esercizio del diritto di cronaca);

al riguardo, deve considerarsi – per un verso – che la Corte territoriale ha compiuto uno specifico e argomentato accertamento sul rispetto del requisito della continenza e – per altro verso – che, a fronte di un siffatto accertamento di fatto, riservato al giudice di merito e sorretto da argomentata motivazione, non è consentito un sindacato in sede di legittimità;

ciò in conformità al principio secondo cui, “in tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti, l’apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell’altrui reputazione, la valutazione dell’esistenza o meno dell’esimente dell’esercizio dei diritti di cronaca e di critica costituiscono oggetto di accertamenti in fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di legittimità se sorretti da argomentata motivazione; pertanto, il controllo affidato alla Corte di cassazione è limitato alla verifica dell’avvenuto esame, da parte del giudice del merito, della sussistenza, con riferimento, come nella specie, al diritto di cronaca, dei requisiti della continenza, della veridicità dei fatti narrati e dell’interesse pubblico alla diffusione delle notizie, nonchè al sindacato della congruità e logicità della motivazione” (Cass. n. 5811/2019; cfr. anche Cass. n. 6133/2018 e Cass. n. 21857/2019);

il motivo risulta pertanto, nel complesso, inammissibile giacchè l’affermazione della Corte territoriale circa la continenza delle espressioni usate (comprese le “più forti”) risulta -come detto-insindacabile e vale da sola (a prescindere dalla non configurabilità dell’esercizio del diritto di critica) a sorreggere la decisione di rigetto della domanda risarcitoria;

ricorrono giusti motivi per l’integrale compensazione delle spese di lite, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo anteriore alle modifiche introdotte a partire dalla L. n. 263 del 2005 (applicabile ratione temporis, trattandosi di causa introdotta nell’anno 2004);

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e compensa le spese di lite.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 24 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

 

 

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