Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24258 del 03/11/2020

Cassazione civile sez. III, 03/11/2020, (ud. 23/06/2020, dep. 03/11/2020), n.24258

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20696/2018 proposto da:

T.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GALLONIO 18,

presso lo studio dell’avvocato MARCELLO FREDIANI, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato DIEGO TOSI;

– ricorrente –

contro

P.G. O G., D.A.R., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA FABIO MASSIMO 95, presso lo studio

dell’avvocato GIOVANNI PIERI NERLI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato DANIELE CATTANEO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 14895/2018 dalla CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata l’8/6/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/6/2020 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il sig. T.D. propone ricorso per revocazione ex art. 391 bis c.p.c., avverso la sentenza Cass. n. 14895 del 2018, illustrato da memoria.

Resistono con controricorso i sigg. P.G. e D.A.R., che hanno presentato anche memoria.

Già fissata per l’udienza pubblica dell’11/3/2010, la causa è stata rinviata a nuovo ruolo giusta D.L. n. 11 del 2020.

Con conclusioni scritte del 26/5/2020 il P.G. presso questa Corte ha chiesto farsi luogo alla trattazione in pubblica udienza del procedimento.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va pregiudizialmente osservato che, diversamente da quanto richiesto dal P.G. presso questa Corte nelle suindicate conclusioni scritte, non è a farsi luogo a trattazione alla pubblica udienza, non risultando dalla Sesta Sezione nella specie effettuata alcuna previa valutazione in ordine all’ammissibilità del ricorso bensì disposto rinvio a questa Sezione ai sensi dell’art. 376 c.p.c., comma 1, ultimo periodo.

Il ricorrente si duole che l’eccezione di improcedibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo radicato dal P. per il mancato esperimento della mediazione obbligatoria sia stata dalla S.C. dichiarata infondata in “conseguenza di un errore di fatto nella lettura degli atti interni al giudizio”.

Lamenta in particolare che “il richiamo della Corte di Cassazione, con riferimento del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1 (dichiarato incostituzionale con la sentenza della Corte costituzionale n. 272/2012), non ha nulla a che vedere con l’art. 5, comma 4, peculiare in tema di opposizione a decreto ingiuntivo: come precisato a pag. 19 e segg. della memoria ex art. 378 c.p.c., di parte T., nella parte dedicata alla improcedibilità dall’opposizione avanzata dai coniugi P. avverso il Decreto Ingiuntivo n. 495 del 2010, per omessa mediazione obbligatoria”.

Si duole che la S.C. abbia “confuso del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 4, con stesso D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1”, “leggendo, erroneamente, per svista materiale, il richiamo che compare alle pagine 19 e seguenti della memoria ex art. 378 c.p.c., di parte ricorrente”.

Lamenta che “in sede di appello, nè gli appellati hanno richiesto di avviare la mediazione, nè il giudice dell’appello ha rilevato l’omissione dell’esperimento del procedimento di mediazione”.

Il ricorso è inammissibile.

Va anzitutto osservato che la revocazione ex art. 391 bis c.p.c., è ammissibile solamente per i vizi ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 e, come questa Corte ha avuto più volte modo di affermare in tema di revocazione delle sentenze della Corte Suprema di Cassazione, la configurabilità dell’errore revocatorio presuppone un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale, quale documentata in atti, induce ad escludere o ad affermare; non anche quando come nella specie la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatoli la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (v. Cass., 22/6/2007, n. 14608; Cass., 28/6/2005, n. 13915; Cass., 15/5/2002, n. 7064).

L’errore deve, pertanto, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, denunciabile con ricorso per cassazione, entro i limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass., 20/2/2006, n. 3652).

Orbene, risulta a tede stregua di tutta evidenza come, laddove lamenta che la S.C. ha compiuto l’errore di aver confuso del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 4, con stesso D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1″ e si duole che “in sede di appello nè gli appellati hanno richiesto di avviare: la mediazione, nè il giudice dell’appello ha rilevato l’omissione dell’esperimento del provvedimento di mediazione”, l’odierno ricorrente invero inammissibilmente prospetti una censura avente ad oggetto semmai un errore di diritto, e non già un errore di fatto revocatorio.

Va d’altro canto posto in rilevo che, come questa Corte anche a Sezioni Unite ha già avuto modo di precisare, la domanda di revocazione della sentenza della Corte Suprema di Cassazione per errore di fatto deve a pena di inammissibilità contenere l’indicazione del motivo della revocazione, prescritto dall’art. 398 c.p.c., comma 2 e l’esposizione dei fatti di causa rilevanti richiesta all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 (v. Cass., Sez. Un., 6/7/2015, n. 13863; Cfr. altresì Cass., Sez. Un., 20/3/2017, n. 7074).

Orbene, non risulta nei motivi di ricorso indicata la parte della motivazione impugnata recante il preteso errore di fatto ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, nè sono sviluppati argomenti in diritto con i contenuti richiesti dal combinato disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, essendosi il ricorrente limitato a muovere apodittiche doglianze.

A tale stregua, non prospetta in realtà alcun vizio revocatorio ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, ma quanto dedotto si risolve nella proposizione in realtà di “non motivi” (cfr. Cass., 6/6/2017, n. 14002; Cass., 8/7/2016, n. 1274; Cass., 8/7/2014, n. 15475; Cass., 1/10/2012, n. 17318; Cass., 17/1/2012, n. 537).

Deve per altro verso sottolinearsi che il ricorso è formulato in violazione anche dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che il ricorrente pone a fondamento della propria censura atti (in particolare, la “pag. 19 e segg. della memoria ex art. 378 c.p.c., di parte T.”) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni recidendo il ricorso inammissibile (cfr., Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 110S; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione.

E’ al riguardo appena il caso di osservare come risponda a principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che i requisiti di formazione del ricorso rilevano ai fini della relativa giuridica esistenza e conseguente ammissibilità assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza del merito che in caso di mancanza dei medesimi rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso.

Tali requisiti vanno indefettibilmente osservati anche in ipotesi di non contestazione ad opera della controparte (quando cioè si reputi che una data circostanza debba ritenersi sottratta al thema decidendum in quanto non contestata: cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221), ovvero allorquando come nella specie la S.C. è (anche) “giudice del fatto”, giacchè come questa Corte ha già avuto più volte modo di precisare (v., con particolare riferimento all’ipotesi della revocazioni; ex art. 391 bis c.p.c., Cass., 28/7/2017, n. 1885; relativamente a quella dell’error in procedendo ex art. 112 c.p.c., cir. Cass., Sez. Un., 14/5/2010, n. 11730; Cass., 17/1/2007, n. 978), in tali ipotesi la Corte di legittimità diviene giudice anche del fatto (processuale), con potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, preliminare ad ogni altra questione si prospetta invero pur sempre l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando questa sia stata accertata diviene possibile esaminarne la fondatezza, sicchè esclusivamente nell’ambito di tale valutazione la Corte Suprema di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221, e, conformemente, Cass., 13/3/2007, n. 5836; Cass., 7/1/2012, n. 539, Cass., 20/7/2012, n. 12664, nonchè, da ultimo, Cass., 24/3/2016, n. 5934, Cass., 17/2/2017, n. 4288; Cass., 28/7/2017, n. 18855).

Le spese, liquidate come in dispositivo in favore dei controricorrenti, seguono la soccombenza.

Va altresì disposta, ricorrendone i presupposti, la condanna -irrogabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza quale sanzione (autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., commi 1 e 2 e con queste cumulabile) di carattere pubblicistico (volta a salvaguardare finalità correlate all’esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi, nonchè interessi della parte vittoriosa, ed a sanzionare la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti dall’art. 88 c.p.c., realizzata attraverso un vero e proprio abuso dello strumento processuale, con un’utilizzazione del potere, di per sè legittimo, di promuovere la lite in concreto volta a realizzare fini diversi da quelli ai quali esso è preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte) – del ricorrente al pagamento della somma equitativamente liquidata in dispositivo ex art. 96 c.p.c., comma 3 (cfr. Cass., Sez. Un., 13/9/2018, n. 22405, nonchè, da ultimo, Cass., 2/4/2019, n. 9064; Cass., 28/8/2019, n. 21759 e Cass., 20/4/2020, n. 7954), non essendo al riguardo richiesta nè la domanda di parte nè la prova del danno, nè il riscontro dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì meramente di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo” (cfr. Cass., 27/2/2019, n. 5725; Cass., Sez. Un., 13/9/2018. n. 22405; Cass., Sez. Un., 20/4/2018, n. 9912)).

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di revocazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, nonchè al pagamento in favore dei medesimi di Euro 2.500,00 ex art. 96 c.p.c., comma 3, in favore dei controricorrenti.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2020

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