Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24256 del 18/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 18/11/2011, (ud. 25/10/2011, dep. 18/11/2011), n.24256

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

RATTI ENRICO & ZAPPA EMILIO MARINO SNC, in

persona

dell’Amministratore e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIALE GIULIO CESARE 14 A-4 presso

lo studio dell’avvocato PAFUNDI GABRIELE, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GAFFURI GIANFRANCO, giusta delega a

margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e contro

CONCESSIONARIO SERVIZIO RISCOSSIONE PROVINCIA DI LECCO RILENO SPA,

AGENZIA DELLE DOGANE UFFICIO TECNICO FINANZA COMO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 117/2 006 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 16/11/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/10/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO;

udito per il resistente l’avvocato CASELLI GIAN CARLO che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Gli atti del giudizio di legittimità.

Il 23.3.2007 è stato notificato all’Agenzia delle Dogane-Organo Centrale; all’Agenzia delle Dogane-Ufficio tecnico di Como ed al Concessionario della riscossione di Lecco-Rileno spa un ricorso di R.E. e della “Zappa Emilio Marino snc” per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe (depositata il 16.11.2006 e notificata —o il 26.1.2007), che ha respinto l’appello dei predetti ricorrenti contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Como n. 15/05/2005, sentenza che aveva già rigettato il ricorso delle parti contribuenti avverso ruolo e cartella di pagamento concernenti il contributo di riciclaggio sul polietilene vergine.

La sola Agenzia delle Dogane si è difesa con controricorso ed ha depositato memoria illustrativa.

La controversia è stata discussa alla pubblica udienza del 25.10.2011, in cui il PG ha concluso per il rigetto del ricorso.

2. I fatti di causa.

Con la cartella esattoriale qui impugnata l’Agenzia delle Dogane ha preteso (tra l’altro, e cioè oltre a tributi estranei alla questione qui controversa) il pagamento di tributi già fatti oggetto di un precedente avviso di pagamento datato 24.6.1999 (parallelamente al quale era stato anche adottato un atto di contestazione di violazioni finanziarie e irrogazione di sanzioni, notificato al solo legale rappresentante R.E., poi sospeso in attesa dell’esito dell’impugnazione del provvedimento principale), sulla premessa che facessero difetto i presupposti per l’applicazione del regime di esenzione dal contributo di riciclaggio sul polietilene vergine, ai sensi della L. n. 427 del 1993, art. 29 bis in considerazione del quale la società qui ricorrente aveva ritenuto di poter tassare la transazione oggetto di controversia tra le parti. Il ricorso avverso la cartella di pagamento è stato dichiarato inammissibile dalla CTP di Como, sulla premessa che fossero trascorsi oltre 90 giorni dalla presentazione del ricorso gerarchico proposto contro l’avviso di pagamento di data 24.6.1999 e fosse perciò anche spirato il termine per proporre impugnazione del silenzio rifiuto così implicitamente maturatosi nella procedura di ricorso amministrativo, proposto ai sensi del D.P.R. n. 1199 del 1971, art. 6.

L’appello interposto dalla società avverso la decisione di primo grado è stato poi disatteso dall’adita CTR di Milano.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della CTR, oggetto del ricorso per cassazione, è motivata nel senso che – essendo la cartella di pagamento un atto impugnabile solo per vizi propri, salvo che al contribuente non siano pervenuti i provvedimenti presupposti – l’avviso di pagamento doveva ritenersi ormai definitivo, per essersi formato il silenzio rifiuto in applicazione del D.P.R. n. 1199 del 1971, art. 6 atto di diniego implicito che avrebbe dovuto essere tempestivamente impugnato.

L’invocata applicazione del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 65 e segg.

(in tema di procedimenti amministrativi nella materia doganale) non poteva trovare accoglimento, atteso che l’istituto della controversia doganale ivi previsto opera solo nei casi in cui sorga contestazione in ordine alla qualificazione, al valore o all’origine della merce dichiarata ovvero circa il regime di tara o il trattamento degli imballaggi.

In definitiva, secondo la Commissione Regionale, “avere trascurato la ricorribilità contro gli atti dell’agenzia della dogane – e ciò andava fatto in forza del D.Lgs. n. 546 del 1992 nei modi e nei termini (artt. 19/21 comma 2)- ha determinato quella declaratoria pregiudiziale di inammissibilità” preclusiva dell’esame del merito.

4. Il ricorso per cassazione.

Il ricorso per cassazione è sostenuto con due motivi d’impugnazione e si conclude – previa indicazione del valore della lite in Euro 52.000,00 – con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni consequenziale statuizione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Il primo motivo d’impugnazione.

Il primo motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1199 del 1971, art. 6 del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 19 e 21 Del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 65 e segg. del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11 e delle norme che regolano il procedimento amministrativo di risoluzione delle controversie in materia di imposte doganali di fabbricazione” (assistito da idoneo quesito).

La parte ricorrente prospetta che l’istituto del silenzio-rifiuto, disciplinato dal menzionato art. 6, non è applicabile nella specie qui in esame, non essendo estensibile ai ricorsi gerarchici previsti nell’ordinamento tributario e regolati da peculiari disposizioni (in specie in materia di accise, per la quale valgono – D.Lgs. n. 504 del 1995, ex art. 3 – le norme doganali, qui applicabili poichè si tratta di classificazione dei prodotti, ai fini dell’esonero dal prelievo fiscale, norme che cadenzano una serie obbligatoria di provvedimenti espliciti), così come era esplicitamente detto nel provvedimento impositivo, nel quale si avvisava della facoltà di ricorso gerarchico entro il termine di 30 giorni dalla data di ricevimento dell’atto (e perciò appunto la procedura regolata dal D.P.R. n. 43 del 1973, art. 66).

Il motivo (così succintamente riassunto e tralasciati gli ulteriori aspetti di censura che sono assorbiti, per quanto appresso si dirà) appare fondato ed accoglibile.

Occorre però premettere un riesame, in prospettiva diacronica, della questione dell’impugnabilità del genere di provvedimenti qui in parola.

E’ noto che – prima dell’ampliamento della giurisdizione tributaria disposto dal D.Lgs. n. 448 del 2001, art. 12 – le controversie in materia doganale e di accise (dal’1.1.2002 rimesse alle Commissioni tributarie giusta la riformulazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2) rientravano nella cognizione del giudice ordinario ed – in specie – del Tribunale a sensi dell’art. 9 c.p.c. Si verte qui appunto in materia di avviso di pagamento concernente contributo assimilato alla preesistente imposta di fabbricazione ed adottato in data 24.6.1999, con successiva emanazione – per atto autonomo e sulla premessa dell’intervenuta definitività del provvedimento impositivo presupposto – di cartella di pagamento di cui si ignora la data di notifica, ma probabilmente da collocarsi nel vigore della sopravvenuta disciplina in tema di attribuzione alla giurisdizione tributaria della potestà di cognizione.

Il giudice di appello ha opinato che detto provvedimento presupposto avrebbe dovuto essere impugnato ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 19 e 21 così finendo per supporre -sia pure in difetto di qualsivoglia disciplina transitoria nel D.Lgs. n. 448 del 2001 – che fosse immediatamente applicabile – siccome vigente all’epoca di adozione della cartella di pagamento che vi aveva fatto seguito- il relativo statuto processuale comprensivo del termine di giorni 60 decorrente dalla notifica dell’atto impugnato.

Si tratta di affermazione evidentemente erronea poichè non può attribuirsi efficacia retroattiva ad una norma innovativa quale quella che introduce un termine di contestazione giudiziaria che in precedenza non esisteva, nel mentre era previsto il solo termine assegnato dal D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 22 con riguardo gli atti impositivi (avviso di accertamento e di rettifica) definitivi, ovvero al provvedimento – pure definitivo – di rigetto (tacito o od espresso) del ricorso gerarchico proposto contro la determinazione doganale di reiezione dell’istanza di revisione (D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 6) e dunque presupponendo detto termine la conclusione di quel procedimento amministrativo, ma senza creare alcun vincolo o condizionamento all’esercizio medio tempore dell’azione giudiziaria.

E perciò, ciò che qui conta evidenziare è che l’operatività del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 22, va riferita solo agli atti definitivi – e cioè sul presupposto dell’esaurimento di quei procedimenti dianzi menzionati – e per questa ragione e stato osservato che “non possono essere più messi in discussione l’an ed il quantum della pretesa doganale una volta che sia spirato il termine ivi fissato per l’impugnazione giudiziaria di quegli atti finali” (Cass. 15553/06).

Ma, al di fuori di quelle procedure di revisione regolate dal D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11 nessuna limitazione temporale era – all’epoca – in grado di precludere l’esercizio dell’azione giudiziaria. Solo a far tempo dall’1.1.2002 il ricorso giudiziario è stato assoggettato a termine di decadenza (60 gg.) per cui l’attrazione della materia doganale alla giurisdizione delle Commissioni ha reso applicabile da quella data il nuovo rito con i termini e le modalità di proposizione del ricorso tributario (D.Lgs. n. 546 del 1991, artt. 20 e 21).

Trattandosi – dunque – di rapporto non ancora esaurito alla data dell’1.1.2002 – che è stato assoggettato alla nuova disciplina dei termini da ricorso- una interpretazione costituzionalmente orientata porta a ritenere che la sopravvenienza legislativa non possa produrre effetti caducatori maggiori di quelli suoi naturali retrodatando il dies a quo al tempo in cui non era entrata ancora in vigore tale regola e dunque l’atto non poteva rimanervi assoggettato.

Va dunque disatteso l’assunto di tardività prospettato dal giudice di appello in correlazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 19 e 21 nel mentre ciò che conta esaminare è se sia stata tempestiva l’impugnazione della cartella esattoriale in riferimento alla normativa vigente all’epoca di adozione del provvedimento presupposto ed in correlazione alla tipologia dei rimedi giurisdizionali ed amministrativi previsti all’epoca nei confronti di quest’ultimo.

D’altronde, deve darsi qui per pacifica (indipendentemente dal richiamo fattovi nel provvedimento presupposto rispetto alla cartella esattoriale) l’applicabilità del rimedio endoprocedimentale regolato dal D.P.R. n. 43 del 1973, art. 66 e segg. atteso l’esplicito richiamo che si rinviene nel testo del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11.

Ed è a questo proposito che occorre venire appunto all’esame della prospettata questione della acquisita definitività del provvedimento impositivo a mente della regola sul “silenzio-rigetto” prevista dal D.P.R. n. 1199 del 1971, art. 6 per effetto del vano decorso di giorni 90 dal momento della proposizione del ricorso gerarchico previsto dalla norma citata nel precedente capoverso.

In termini questa Corte intende condividere e dare continuità al più recente indirizzo interpretativo (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 12263 del 25/05/2007; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7207 del 23/07/1998;

Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3103 del 24/03/1998) che ha ritenuto che in tema di imposta di consumo, la proposizione del ricorso amministrativo, ai sensi del R.D. 14 settembre 1931, n. 1175, art. 6 produce un effetto interruttivo della prescrizione, con carattere permanente, tino al momento in cui la decisione gerarchica diventa definitiva.

A tal fine, peraltro, non assume alcun rilievo l’inutile decorso del termine di novanta giorni per la decisione sul ricorso gerarchico, assegnato all’Amministrazione dal del D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, art. 6 in quanto tale evento non concretizza un finto provvedimento di rigetto e non ha alcun effetto sostanziale, ma produce effetti di natura meramente processuale, nel senso che rimuove un ostacolo alla proposizione del ricorso giurisdizionale o straordinario avverso il provvedimento originario, senza però escludere il potere-dovere dell’autorità investita di intervenire con una determinazione esplicita.

Ed invero, ove -come nella specie qui in esame- la disciplina positiva prevede quale elemento caratterizzante in modo essenziale il procedimento sul ricorso gerarchico e quale momento indefettibile dello stesso procedimento, la sua conclusione con un provvedimento formale espresso, non si vede come gli effetti che l’ordinamento positivo fa discendere dal provvedimento di rigetto del ricorso o dal suo accoglimento parziale, possano essere ricondotti al semplice decorso del termine di novanta giorni dalla presentazione del ricorso stesso.

Ne consegue l’impossibilità – non solo tecnica ma, addirittura, ontologica – di inserire la disciplina del silenzio-rigetto nel paradigma procedimentale dello specifico ricorso amministrativo delineato dalla legge tributaria che ne occupa.

Il diverso principio alla cui stregua la Commissione Regionale ha risolto la questione qui in esame appare dunque- realmente contrario al sistema positivo sicchè deve concludersi che il giudice d’appello è incorso nella violazione di legge denunciata nel motivo. La sentenza di appello deve essere cassata, con restituzione del processo al medesimo grado.

Espunto dunque il riferimento alla disciplina del D.Lgs. n. 546 del 1992 ed espunto il riferimento alla disciplina del D.P.R. n. 1199 del 1971, art. 6 competerà ancora una volta al giudice del merito esaminare le residue questioni oggetto dell’appello. Al giudice del merito è rimessa anche la regolazione delle spese del presente grado.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rimette la causa alla CTR Lombardia che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del presente grado.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2011

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