Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24253 del 02/11/2020

Cassazione civile sez. III, 02/11/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 02/11/2020), n.24253

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 30110/19 proposto da:

E.G., difeso dall’avvocato Valeria Gerace, in virtù di

procura speciale in calce al ricorso ed elettivamente domiciliato a

Roma, v. Augusto Riboty n. 23;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Roma 14.6.2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15 luglio 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Secondo quanto si rileva dalla sentenza impugnata, E.G., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

A fondamento della domanda dedusse di avere lasciato il proprio Paese sia per essere di fede cristiana, in una comunità idolatra; sia dopo aver appreso dalla propria madre che, secondo le credenze locali, un oracolo aveva scelto lui come vittima da sacrificare all’idolo adorato nel villaggio; aggiunse di non aver potuto chiedere aiuto alla polizia perchè questa era sodale con l’oracolo e con il “custode dell’idolo”.

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

2. Avverso tale provvedimento E.G. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Roma, che la rigettò con decreto 14.6.2019.

Il Tribunale ritenne che:

-) lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria per le ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non potessero essere concessi perchè i timori prospettati dal richiedente non avevano ad oggetto una persecuzione reale, ma erano “frutto di superstizione e di falsi miti, sui quali non può essere fondato il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, non potendosi ritenere realistico il rischio di essere identificato come vittima sacrificale ad opera d’un idolo”;

-) la protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potesse essere concessa perchè nella regione di provenienza del richiedente (Delta State) non sussisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato (il tribunale, tuttavia, a tale riguardo non cita espressamente alcuna fonte internazionale, pur diffondendosi in affermazioni alquanto dettagliate sulla situazione del delta);

-) la protezione umanitaria, infine, non potesse essere concessa in quanto il richiedente non aveva allegato alcuna ragione di vulnerabilità, ad eccezione di una pregressa condizione patologica, da cui era guarito a giugno del 2018.

3. Tale decreto è stato impugnato per cassazione da E.G. con ricorso fondato su due motivi.

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. E’ superfluo dar conto dei motivi posti a fondamento del ricorso, in quanto questo va dichiarato inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 3, a causa della mancanza in esso di una esaustiva descrizione dei fatti di causa, ed in particolare della sintetica indicazione dei fatti dedotti a fondamento del ricorso introduttivo dinanzi al Tribunale, e delle domande in quella sede proposte.

Il ricorso, infatti, si apre con la trascrizione di un brano del decreto impugnato, seguito dalla laconica affermazione secondo cui l’odierno ricorrente era “fuggito dal suo paese di origine perchè perseguitato da una setta che lo aveva individuato come destinatario di sacrificio umano”, e quindi dall’affermazione che “la commissione territoriale diniegava (sic) ogni forma di protezione”.

Nulla, dunque, il ricorso consente di stabilire circa le domande formulate dinanzi al giudice di primo grado, nè tale lacuna è correlata dalla illustrazione dei motivi, in nessuno dei quali si afferma chiaramente quali furono le suddette domande ed in quali termini furono proposte.

2. Non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio dell’amministrazione.

L’inammissibilità del ricorso comporta l’obbligo del pagamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), se dovuto.

PQM

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2020

 

 

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