Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24251 del 29/11/2016


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Cassazione civile sez. II, 29/11/2016, (ud. 05/10/2016, dep. 29/11/2016), n.24251

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22878/2011 proposto da:

G.M., (OMISSIS), G.A. (OMISSIS),

GA.LI. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, LARGO DELLA

GANCIA 1, presso lo studio dell’avvocato GERALDINE FLORENCE PAGANO,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO

GUARNIERI, giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

e contro

TURINVEST SRL, (OMISSIS), B.G. (OMISSIS), Z.S.

(OMISSIS), Z.D. (OMISSIS), Z.A. (OMISSIS);

– intimati –

e contro

D.P.F. (OMISSIS), D.P.G. (OMISSIS),

D.B.D. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 288, presso lo studio dell’avvocato MICHELA REGGIO D’ACI,

che li rappresenta e difende giusta procura speciale notarile;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 196/2011 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 09/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato Antonio Guarnieri per i ricorrenti e l’Avvocato

Michela Reggio d’Aci per i resistenti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per l’accoglimento del

motivo 2.2.1 e per il rigetto dei restanti motivi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 8/5/1986 D.P.R. e D.B.D., premettendo di essere rispettivamente il primo proprietario del fabbricato esistente sul mappale nn. (OMISSIS), cd il secondo dell’immobile insistente sul mappale n. (OMISSIS) del foglio n. (OMISSIS) del Comune di Alleghe, deducevano che sull’attiguo fondo di cui alla particella n. (OMISSIS) la società Turinvest S.r.l. aveva intrapreso dei lavori di costruzione di un edificio condominiale in violazione delle distanze tra costruzioni (10 m) e dal confine (cinque metri) previste dal Regolamento Edilizio Comunale, e ciò sia in riferimento all’edificio condominiale, che in relazione al blocco garage ed ad un attiguo parcheggio. Concludevano pertanto affinchè la società convenuta, previo accertamento della reale distanza rispetto alla proprietà degli attori, fosse condannata alla demolizione delle opere realizzate a distanza inferiore rispetto a quella legale, oltre al risarcimento del danno.

Nelle premesse dell’atto di citazione evidenziavano che prima del giudizio avevano presentato un esposto al Sindaco, per effetto del quale era stata disposta la sospensione in via cautelativa dei lavori. Inoltre il D.P. aveva presentato una denunzia di nuova opera ed il D.B. un ricorso possessorio innanzi alla Pretura di Agordo, all’esito dei quali era intervenuto un provvedimento di sospensione dei lavori, successivamente revocato dopo lo svolgimento di nuova consulenza.

In dettaglio deducevano che, tenuto conto di quanto disposto dal piano regolatore generale del Comune di Alleghe, e precisamente alla luce delle previsioni di cui all’articolo 8, il nuovo edificio che la società intendeva di realizzare risultava in più punti collocato ad una distanza inferiore rispetto a quella prescritta. Inoltre a ridosso del fabbricato D.P., emergeva un corpo solido (garage) che avrebbe dovuto invece essere interrato, così come anche il parcheggio era stato collocato a distanza inferiore rispetto a quella legale.

Con un distinto atto di citazione in riassunzione, D.B.D., ricordando che in precedenza aveva proposto denunzia di danno temuto dinanzi al Pretore di Agordo relativamente ai lavori di sbancamento intrapresi dall’impresa Z. per conto della Turinvest, finalizzati alla realizzazione dell’edificio condominiale, deduceva che il Pretore aveva respinto la domanda cautelare, rimettendo le parti dinanzi al Tribunale di Belluno.

Concludeva pertanto per la condanna dei convenuti Turinvest S.r.l. e Z.B. al risarcimento dei danni.

Disposta la riunione dei due giudizi, e espletata una nuova CTU, interveniva nel giudizio Gu.Ma., quale acquirente di un’unità immobiliare sita nel fabbricato edificato dalla convenuta, il quale aderiva alle difese di quest’ultima.

Il Tribunale di Belluno con la sentenza n. 579 del 30/12/2003 condannava la convenuta nonchè l’interventore Gu.Ma., ad arretrare la parete sud ovest dell’edificio insistente sul mappale n. (OMISSIS) sino alla distanza di metri 10 dalla costruzione del D.P., distanza da misurarsi con metodo lineare; condannava sempre la convenuta e l’interventore ad eliminare la costruzione fuori terra adibita a garage posta a ridosso del confine con la proprietà del D.P., sino al ripristino della distanza di metri 5 dal confine, conformemente a quanto indicato dal CTU O.; dichiarava la cessazione della materia del contendere rispetto alla richiesta di rispetto delle distanze legali in relazione al fabbricato D.B., avendo la convenuta nelle more del giudizio arretrato il proprio immobile su tale fronte sino a ripristinare il minimo distacco prescritto; condannava la convenuta e l’interventore al risarcimento dei danni che quantificava per il D.P. in Euro 42.500,00, di cui Euro 20.000,00 per la violazione delle distanze legali tra costruzioni, in Euro 10.000,00 per la violazione della distanza legale dal confine, in Euro 10.000,00 per la realizzazione parziale del corpo – garage fuori terra ed a ridosso del confine, ed in Euro 2.500,00 per la violazione dei limiti di altezza del fabbricato, il tutto oltre interessi legali come in motivazione; condannava sempre la convenuta e l’interventore al risarcimento dei danni in favore del D.B. che determinava in Euro 10.045,27, oltre interessi legali come in motivazione.

Avverso tale sentenza proponeva appello il G., e si costituivano il D.P. ed il D.B. che proponevano a loro volta appello incidentale.

La Corte di Appello di Venezia con la sentenza n. 196 dell’8 febbraio 2011 rigettava entrambi i gravami, compensando tra le parti le spese del giudizio di appello.

Per la cassazione di tale pronunzia hanno proposto ricorso G.M., G.A. e Ga.Li., quali eredi di Gu.Ma., affidato a cinque motivi.

Hanno resistito D.B.D., D.P.F. e D.P.G., e nell’imminenza dell’udienza del 28 aprile 2016 hanno depositato memorie.

All’esito della pubblica udienza del 28 aprile 2016 è stata disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti della Turinvest S.r.l., e provvedutosi a tanto a cura dei ricorrenti, questi ultimi hanno depositato memorie in prossimità della pubblica udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve essere rilevata l’inammissibilità delle memorie depositate dalla difesa dei resistenti nell’imminenza della precedente pubblica udienza, posto che non avendo notificato controricorso, il difensore conserva unicamente il diritto a partecipare alla discussione orale (cfr. Cass. n. 11619/2010; Cass. n. 3325/2011).

Deve tuttavia essere disattesa l’eccezione di invalidità ovvero di inefficacia della procura conferita dai resistenti all’avv. Reggio D’Aci, in conseguenza del fatto che la procura speciale notarne per notaio P. di Belluno del 27/10/2014, è rilasciata anche in favore dell’avv. Gaetano Giandomenico, che non risulta essere iscritto all’albo speciale, a differenza dell’avv. Reggio D’Aci, dovendo sul punto darsi seguito alla giurisprudenza della Corte in base alla quale, nel caso in cui il mandato sia disgiunto, come appunto esplicitato nella procura in esame, resta comunque salva la possibilità sulla base del conferimento del potere rappresentativo, lo svolgimento dell’attività difensiva, e nel caso di specie la partecipazione alla discussione, per il difensore che risulti invece iscritto (cfr. da ultimo Cass. n. 15478/2008; Cass. n. 9363/2013)

2. Con il primo motivo di ricorso viene investito il capo della sentenza impugnata con la quale è stata confermata la condanna della società convenuta e dell’interventore, in solido tra loro, all’arretramento del fabbricato sino alla distanza di metri 10 dalla costruzione del D.P., distanza da calcolarsi in base al metodo lineare. Il motivo, che risulta articolato in tre distinti punti, con il primo di questi solleva l’eccezione di giudicato esterno.

Assume infatti la difesa dei ricorrenti che in merito alle stesse domande oggetto del presente giudizio, si è già pronunciato il Tribunale di Belluno con la sentenza n. 497 del 1996 che, a detta dei ricorrenti, sarebbe passata in cosa giudicata. Infatti, tale ultimo provvedimento era stato appellato dai soli D.P. e D.B. innanzi alla Corte di Appello di Venezia che però aveva disposto la sospensione del giudizio in attesa della definizione di quello per cui è causa, ed aveva disposto a suo tempo l’arretramento della facciata sud ovest del condominio. Poichè il D.P. nell’impugnare la sentenza n. 497/1996, non aveva chiesto la riforma di tale statuizione di condanna, deve ritenersi che la stessa sia passata in cosa giudicata.

La deduzione è infondata.

Ed, infatti, il motivo oltre ad apparire evidentemente carente del requisito dell’autosufficienza, non avendo la parte riportato con precisione il contenuto della sentenza che a suo dire costituirebbe il giudicato esterno, occorre ricordare che secondo la costante giurisprudenza della Corte, affinchè possa reputarsi validamente opposta l’eccezione di giudicato esterno, è necessaria la certezza della sua formazione, che deve essere provata, pur in assenza di contestazioni, attraverso la produzione della sentenza munita del relativo attestato di cancelleria, risultando insufficiente il deposito della sola certificazione di cancelleria attestante il passaggio in giudicato della sentenza, inidonea a dare certezza in ordine al contenuto del provvedimento (Cass. n. 21469/2013).

D’altronde, oltre a doversi rilevare la carenza di tale requisito formale che appare ostativa alla stessa esaminabilità dell’eccezione in oggetto, nel ricorso si precisa che la sentenza che varrebbe come giudicato esterno, risulta essere stata oggetto di impugnazione e che il relativo giudizio è stato sospeso.

invero, la deduzione, oltre a difettare evidentemente anche in parte qua del requisito dell’autosufficienza, non riportando con precisione la formulazione dei motivi di appello proposti dal D.P. avverso la sentenza de qua, appare chiaramente contrastare la giurisprudenza della Corte, che ha avuto modo di precisare (cfr. Cassazione civile sez. lav. 02 aprile 2008 n. 8478) che affinchè il giudicato esterno, che è rilevabile d’ufficio, possa far stato nel processo, è necessaria la certezza della sua formazione, la quale deve essere provata attraverso la produzione della sentenza con il relativo attestato di cancelleria; per converso, non può essere invocata come giudicato esterno una sentenza di merito impugnata per cassazione, producendo copia del ricorso e del controricorso, al fine di dimostrare che questi non riguardano la questione attualmente controversa, in quanto – salvi i casi in cui l’avvenuta formazione del giudicato appaia quale fatto incontestabile ictu oculi – l’esistenza dell’impugnazione ed il conseguente nonchè imprevedibile sviluppo della lite non permettono di avere certezza circa il carattere definitivo delle statuizioni sulla questione.

Nel caso di specie, oltre a difettare l’attestazione della cancelleria circa il passaggio in giudicato, la circostanza che la sentenza sia stata impugnata, e la necessità di dover ricavare la formazione del giudicato in via interpretativa, prescindendo da quella che potrebbe essere la decisione del giudice legittimamente investito dell’impugnazione, preclude la possibilità di poter attribuire alla decisione in oggetto la valenza di giudicato esterno.

1.1 Con il secondo profilo di censura, si deduce la violazione dell’art. 873 c.c..

Infatti, già in sede di appello il G. aveva sostenuto che, poichè nelle more del giudizio, la costruzione del D.P. era stata distrutta da un incendio, e poichè in sede di ricostruzione era stata arretrata rispetto alla sua collocazione originaria, non poteva più essere considerata quale costruzione preveniente ai fini dell’art. 873 c.c., palesandosi in tal modo l’infondatezza della domanda volta ad ottenere il rispetto delle distanze legali.

A tal proposito, la sentenza appellata, concordando con quanto sostenuto dal Tribunale, ha rigettato il motivo di appello proposto, argomentando nel senso che la posizione del preveniente non può essere pregiudicata dalla condotta illegittima del prevenuto e che conseguentemente i commoda della prevenzione a vantaggio della costruzione dell’attore erano destinati a permanere anche dopo la ricostruzione, e ciò sia in considerazione della minima traslazione del fabbricato, sia per il fatto che si era verificato un semplice arretramento. Deduce parte ricorrente che una volta intervenuta la demolizione del fabbricato preveniente, ancorchè per eventi naturali ovvero per scelta del proprietario, la ricostruzione presuppone che vi sia l’esatto ripristino della pregressa condizione dell’immobile, senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni e caratteristiche, e senza quindi aumenti delle volumetrie e delle superfici.

Per l’effetto, in presenza di variazioni di tali elementi, non è più possibile parlare di ricostruzione, ma si realizza in realtà un nuovo edificio, il quale non può più vantare le prerogative della prevenzione, e ciò ancorchè lo spostamento rispetto alla pianta originaria sia di pochi centimetri.

Anche tale deduzione non appare meritevole di accoglimento.

Ed, invero, appare effettivamente corretta la distinzione alla quale si richiamano i ricorrenti, tra le ipotesi di nuova costruzione e quelle di ricostruzione, trattandosi però di distinzione che è stata utilizzata soprattutto al fine di verificare se l’edificio realizzato, a seguito della demolizione, con caratteristiche oggettive difformi rispetto a quelle originarie debba attenersi alla disciplina vigente ovvero possa beneficiare della più favorevole disciplina operante all’epoca della sua originaria realizzazione (cfr. sul punto Cass. S.U. n. 21578/2011; Cass. n. 17043/2015; Cass. n. 472/2016).

Tuttavia, con specifico riferimento alla conservazione della dualità di edificio preveniente, reputa il Collegio che debba ritenersi intervenuta tra le parti una statuizione avente efficacia di cosa giudicata, ed in particolare in conseguenza della sentenza di questa Corte n. 300 del 2013, che nel decidere l’opposizione all’esecuzione agli obblighi di fare proposta dai ricorrenti in relazione alla messa in esecuzione delle diversa sentenza del Tribunale di Belluno che è stata oggetto dell’appello il cui giudizio risulta sospeso in attesa della definizione del presente giudizio dinanzi alla Corte d’Appello di Venezia, al punto 8, ha ritenuto corretta la conclusione dei giudici di merito secondo cui la ricostruzione dell’edificio D.P. non costituiva una nuova costruzione, ma semplice ricostruzione, attesa la traslazione minima dell’area di sedime, rispetto all’edificio andato distrutto.

Per l’effetto la questione concernente il mantenimento dei commoda della prevenzione in favore dell’edificio dei resistenti non può più reputarsi controvertibile, con il conseguente rigetto della censura di parte ricorrente.

2.2 Tali considerazioni, che danno contezza dell’infondatezza della deduzione in esame, portano però a dover valutare il terzo profilo del motivo di ricorso, con il quale si sostiene che la sentenza impugnata sarebbe viziata per omessa ovvero insufficiente motivazione per quanto attiene alla valutazione circa l’effettiva distanza tra i fabbricati antagonisti.

infatti, essendo pacifico che nelle more il fabbricato del D.P. è stato demolito e ricostruito in arretramento, così come confermato anche dalle ulteriori indagini compiute dal CTU, ing. De.Ba., atteso che la sentenza di primo grado aveva riscontrato che la violazione delle distanze legali tra il fabbricato della Turinvest e quello originario del D.P. era di soli 17 cm., occorreva avere riguardo alla situazione attuale dei luoghi, e precisamente al fatto che all’attualità risulterebbe rispettata la distanza di metri 10 tra fabbricati calcolata con il metodo lineare.

Il motivo è del pari non meritevole di fondamento.

Ed, infatti, con la già citata sentenza n. 300/2015 di questa Corte, è stato altresì rigettato il ricorso dei ricorrenti con i quali si contestava la sussistenza della dedotta violazione delle distanze, affermandosi al punto 8.2 della decisione in esame, che era incensurabile l’accertamento computo dal giudice di merito, sulla scorta di accertamenti tecnici successivamente espletati rispetto alla ricostruzione, che permaneva la violazione della distanza legale tra fabbricati.

Il primo motivo deve pertanto essere rigettato.

3. Con il secondo motivo di ricorso, che a sua volta si articola in due distinti punti di censura, nella prima parte si denunzia la violazione di legge, e precisamente dell’art. 8 delle Norme Tecniche di Attuazione del PRG di Alleghe, in relazione alla previsione di cui all’art. 873 c.c..

Il motivo investe più precisamente la statuizione della sentenza impugnata con la quale è stata confermata la pronuncia del Tribunale di condanna all’arretramento sino alla distanza di cinque metri dal confine del solido – garage, in quanto ritenuto essere una costruzione realizzata fuori terra.

Si deduce che la sentenza impugnata, confermando il giudizio espresso dal Tribunale, avrebbe affermato che, mentre le distanze tra costruzioni andavano calcolate facendo applicazione del metodo cd. lineare, viceversa per verificare la distanza dal confine, parimenti prevista nel menzionato strumento urbanistico, si era fatto riferimento al metodo radiale, di norma previsto per il calcolo delle distanze in tema di vedute. La sentenza impugnata nell’affrontare il tema aveva infatti sostenuto che l’interpretazione della lettera f) dell’art. 8 in esame, nel prevedere che la distanza minima misurata in proiezione orizzontale della superficie coperta dai confini di proprietà, ossia misurata rispetto al confine in tutte le direzioni (cioè a raggiera) mediante il prolungamento di una retta da ogni punto dell’edificio, deponeva in maniera inequivoca nel senso che fosse stato individuato il metodo radiale, ma esclusivamente per quanto attiene alle distanze dal confine.

Successivamente, nell’esaminare l’appello incidentale con il quale le originarie parti attrici si dolevano dell’adozione del diverso metodo lineare per il calcolo delle distanze tra costruzioni, la stessa sentenza impugnata ha motivato nel senso che la deroga al criterio lineare può operare solo quando espressamente prevista dallo strumento urbanistico locale, il quale, nella fattispecie in esame, non permetteva di individuare una volontà derogatoria rispetto alla regola generalmente seguita che impone per il calcolo delle distanze legali tra costruzioni il metodo lineare.

La pronunzia di rigetto dell’appello incidentale non risulta essere stata oggetto di ulteriore gravame da parte degli attori, così che deve ritenersi che si sia formato il giudicato interno in ordine all’affermazione secondo cui il criterio da seguire per il calcolo delle distanze tra costruzioni, alla luce della previsione regolamentare, sia quello lineare (trattandosi peraltro si soluzione in linea con quello che è il costante orientamento di questa Corte che privilegia il metodo lineare per il calcolo delle distanze ai sensi dell’art. 873 c.c. e delle norme integrative locali, operando invece il metodo radiale per le distanze dalle vedute cfr. Cass. n. 7048/1993; Cass. n. 14606/2007; Cass. n. 7285/2005).

Occorre altresì evidenziare che l’interpretazione delle previsioni di cui all’art. 8 in tema di distanze tra costruzioni, sia ormai coperta dall’efficacia del giudicato, non avendo alcuna delle parti contestato in questa sede la correttezza della soluzione interpretativa raggiunta dal giudice di merito, il che depone per la fondatezza della critica mossa dai ricorrenti.

Infatti, il tenore letterale del punto e dell’art. 8 (riferito alla distanza tra confini) e quello del punto g) (riferito alla distanza tra le facciate) risulta sostanzialmente identico, facendosi in entrambi riferimento alla distanza minima misurata in proiezione orizzontale, in un caso tra la superficie coperta ed i confini, e nell’altro tra le superfici coperte.

Ne discende che l’interpretazione della normativa secondaria, a fronte di un testo avente contenuto sostanzialmente identico, non giustifica la diversa conclusione tra le due ipotesi, e che essendo passata in cosa giudicata la individuazione del metodo lineare quale imposto dalla previsione per le distanze tra fabbricati, si imponga l’adozione del medesimo metodo anche per le distanze dai confini.

La sentenza deve quindi essere cassata affinchè la Corte d’Appello, in sede di rinvio, facendo applicazione del metodo lineare anche per le distanze dai confini, verifichi se il corpo solido – garage sia posto o meno a distanza legale.

3.1 Con il secondo punto del motivo in oggetto si denunzia la violazione di legge, ed in particolare dell’art. 2697 c.c., nonchè dell’art. 112 c.p.c. e l’omessa, o comunque insufficiente motivazione della sentenza impugnata.

In particolare si deduce che la Corte distrettuale avrebbe confermato la decisione del Tribunale di ritenere che tale corpo di fabbrica fosse stato edificato ad un livello superiore rispetto al piano originario di campagna, avvalendosi però delle risultanze, non già della CTU dell’ing. De.Ba., ma di quella originariamente espletata dall’ing. O., assumendosi che tale indagine confermava appunto la realizzazione fuori terra del locale.

La soluzione viene criticata dai ricorrenti, in quanto in realtà la CTU O. non offrirebbe delle vere prove, bensì dei semplici indizi, e peraltro di carattere equivoco.

Inoltre non si sarebbe tenuto conto del fatto che l’indagine dell’ing. O. era avvenuta allorchè il terreno era stato totalmente escavato in vista della realizzazione dell’edificio condominiale, trascurandosi invece quanto riferito dall’ing. De.Ba. che aveva invece escluso che fosse possibile accertare con sicurezza quale fosse la quota originaria del terreno, e quindi di stabilire se si trattava di costruzione realizzata fuori terra o viceversa.

Il punto deve ritenersi assorbito per effetto dell’accoglimento del motivo in relazione al primo punto, e ciò in quanto occorre procedere ad una nuova misurazione delle distanze dal confine sulla base del metodo lineare, ponendosi la questione relativa alla sussistenza di una costruzione solo nel caso in cui si riscontri la violazione della previsione regolamentare.

4. Con il terzo motivo di ricorso si denunzia la violazione di legge ai sensi dei nn. 3 e 4 dell’art. 360 c.p.c., in ordine alla asserita violazione degli artt. 112, 163 e 189 c.p.c., per quanto attiene all’accoglimento della domanda risarcitoria di parte attrice relativamente alla violazione delle norme in tema di altezza dell’edificio condominiale.

La sentenza impugnata, nell’esaminare la richiesta di parte attorea di ottenere il risarcimento del danno anche in relazione alla maggiore altezza del fabbricato rispetto a quella prevista dai vigenti strumenti urbanistici, evidenzia che si trattava di richiesta avanzata in sede di precisazione delle conclusioni, e deducono i ricorrenti che si trattava in realtà di domanda non proposta con l’atto di citazione originario, ma formulata solo in sede di conclusioni.

Assumono pertanto che sarebbe una domanda nuova che non poteva essere esaminata e comunque formulata in maniera assolutamente generica, senza che possa nemmeno ritenersi avvenuta l’accettazione del contraddittorio.

Il motivo è fondato.

Ed, infatti, a far data da Cassazione civile sez. un. 22 maggio 1996 n. 4712, si è affermato che anche con riguardo a procedimento pendente alla data del 30 aprile 1995 – per il quale trovano applicazione le disposizioni degli artt. 183, 184 e 345 c.p.c., nel testo vigente anteriormente alla “novella” di cui alla L. n. 353 del 1990 (D.L. n. 432 del 1995, art. 9, conv. nella L. n. 534 del 1995) – il divieto di introdurre una domanda nuova nel corso del giudizio di primo grado risulta posto a tutela della parte destinataria della domanda; pertanto la violazione di tale divieto – che è rilevabile dal giudice anche d’ufficio, non essendo riservata alle parti l’eccezione di novità della domanda non è sanzionabile in presenza di un atteggiamento non oppositorio della parte medesima, consistente nell’accettazione esplicita del contraddittorio o in un comportamento concludente che ne implichi l’accettazione, quest’ultimo fine, l’apprezzamento della concludenza del comportamento della parte va effettuato dal giudice attraverso una seria indagine della significatività dello stesso, senza che assuma rilievo decisivo il semplice protrarsi del difetto di reazione alla domanda nuova, nè potendosi attribuire, qualora questa sia formulata all’udienza di precisazione delle conclusioni, valore concludente al mero silenzio della parte contro la quale la domanda è proposta, sia essa presente, o meno, a detta udienza (conf. da ultimo Cass. n. 20949/2015, secondo cui nel regime normativo antecedente alla novella del codice di rito del 1990, la novità della domanda in primo grado non è eccezione riservata alla parte, ma rilevabile anche su iniziativa del giudice. Questo potere officioso, tuttavia, non è illimitato poichè si esaurisce allorquando la parte, che potrebbe avere interesse ad impedire l’ingresso della domanda, abbia dichiarato di accettare il contraddittorio o tenuto un comportamento implicante accettazione. Tale comportamento non può essere ravvisato nel mero silenzio o nel difetto di reazione, anche prolungato nel tempo, alla domanda nuova, dovendo estrinsecarsi in un atteggiamento difensivo inequivoco concretantesi in una contestazione specifica riferita al merito della pretesa e non semplicemente affidata a formule di stile).

La sentenza impugnata, a fronte dello specifico motivo di appello proposto, si è limitata ad osservare che in sede di conclusioni gli attori avevano instato sia per la tutela reale che per quella risarcitoria, in relazione ad ogni tipo di violazione accertata, laddove avrebbe invece dovuto, a fronte dell’attestazione che si trattava di domanda avanzata solo in sede di conclusioni, chiarire in base a quali elementi aveva ravvisato che vi fosse stata accettazione del contraddittorio da parte dei convenuti.

Ne consegue che stante la violazione dei suddetti principi di diritto la sentenza debba essere cassata anche in relazione a tale motivo.

La cassazione per la suddetta ragione assorbe il secondo profilo del motivo) attinente la deduzione dell’assenza di prova sul quantum del danno in esame.

5. Con il quarto motivo di ricorso, a sua volta articolato in due censure, si denunzia, con la prima censura, la violazione di legge e precisamente degli artt. 873 e 2697 c.c..

Con la seconda censura si lamenta del pari la violazione di legge ed in particolare degli artt. 872 e 2697, nonchè il vizio motivazione ex art. 360 n. 5,.

Il motivo investe il capo di sentenza con il quale i ricorrenti sono stati condannati al risarcimento del danno scaturente dalla violazione delle distanze legali tra la loro costruzione e quella del D.P., assumendosi da un lato che il danno andrebbe al più limitato al periodo di tempo intercorso tra la data della costruzione risalente al 1987 e quella del 1993, allorchè il fabbricato D.P. è stato arretrato, e dall’altro, che pur a fronte di una minima differenza tra le distanze, così come accertata dal CTU, e quelle previste per legge, sarebbe stata liquidata una somma del tutto eccessiva e senza che sia stato specificato in che misura sia stata pregiudicata l’amenità, l’insolazione e la tranquillità della proprietà dell’attore, elementi questi dei quali è necessario tenere conto per procedere alla liquidazione del danno in esame.

Il rigetto del primo motivo di ricorso denota l’infondatezza anche del motivo in esame non avendo inciso l’arretramento del fabbricato D.P. sulla sussistenza della lesione, dovendosi altresì evidenziare che, trattandosi peraltro di un’ipotesi di danno in re ipsa, la individuazione ed il richiamo dei criteri in base ai quali è stata operata la quantificazione, essenzialmente di carattere equitativo, soddisfa altresì gli oneri motivazionali del giudice di merito, risolvendosi la critica sulla determinazione dell’ammontare del danno in una non consentita sollecitazione ad una nuova disamina del merito.

6. Con il quinto motivo di ricorso, articolato in tre censure si impugna il capo della sentenza di appello con il quale i ricorrenti, in solido con la Turinvest, sono stati condannati a risarcire i danni subiti dal D.B. per la violazione temporanea delle distanze legali.

Ed, infatti, atteso il passaggio in giudicato della pronuncia del Tribunale che ha dichiarato la cessazione della materia del contendere in ordine alla richiesta di riduzione in pristino, con la prima censura si denunzia la violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè l’omessa ed insufficiente motivazione della sentenza impugnata laddove ha riconosciuto il danno senza tuttavia effettivamente accertare se inizialmente l’edificio condominiale fosse a distanza inferiore rispetto a quella di dieci metri dalla costruzione del D.B..

Peraltro, anche laddove si reputi che vi sia una pronuncia implicita in tal senso, la stessa sarebbe del tutto immotivata.

Con la seconda censura poi si deduce che, laddove si reputi affermata sebbene in maniera implicita l’esistenza della detta violazione, tale accertamento sarebbe avvenuto in maniera del tutto erronea, atteso che, pur essendosi dato atto in sentenza che il metodo corretto per il calcolo delle distanze tra edifici sia quello lineare, l’affermazione della violazione delle distanze era avvenuta sulla base di un elaborato peritale che invece aveva fatto ricorso al metodo radiale.

Infine con la terza censura si lamenta la violazione degli artt. 872 e 2697 c.c., per avere il giudice liquidato dei danni la cui esistenza non sarebbe stata in alcun modo provata.

Ritiene il Collegio che anche il motivo in esame appaia infondato, in relazione alle prime due censure.

infatti, il motivo, oltre a difettare di autosufficienza non riportando con precisione gli elementi fattuali sulla scorta dei quali, in difformità da quanto accertato dal giudice di emerito, dovrebbe pervenirsi alla conclusione secondo cui non vi sarebbe stata ab origine la violazione delle distanze facendo applicazione del metodo lineare, trascura di considerare che la regolarizzazione delle distanze è frutto di una spontanea iniziativa della stessa società costruttrice, dante causa dei ricorrenti, che prescinde dalla necessità di ottemperare ad un ordine del giudice, e che appare quindi verosimilmente legata al riconoscimento. Ne consegue che, una volta esclusa la configurabilità del vizio di violazione dell’art. 112 c.p.c., trattandosi di domanda effettivamente proposta dalla parte attrice, deve anche escludersi il vizio motivazionale, e ciò anche per quanto attiene alla determinazione del quantum, occorrendo far richiamo a quanto in precedenza dedotto in merito all’analoga doglianza relativa ai danni liquidati in favore dei D.P..

Il motivo deve quindi essere rigettato.

7. La causa deve esser pertanto rinviata, in relazione ai motivi accolti, ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo del ricorso, come in motivazione, e rigettati i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Venezia, che provvederà anche sulle spese del presente.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 5 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2016

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