Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24251 del 18/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 18/11/2011, (ud. 25/10/2011, dep. 18/11/2011), n.24251

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

SOCIETA’ EURODATA DI ANGELINA ROSARIA COVIELLO & C SAS;

– intimato –

avverso la sentenza n. 192/2006 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

SALERNO, depositata il 20/11/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/10/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO;

udito per il ricorrente l’avvocato CASELLI GIAN CARLO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Gli atti del giudizio di legittimità.

Il giorno 15.2.2007 è stato notificato alla “Eurodata sas”, un ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze nonchè dell’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale descritta in epigrafe (depositata 20.11.2006 e notificata il 21.12.2006) che ha accolto il ricorso proposto dalla società contribuente contro la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Salerno che aveva solo parzialmente accolto (limitatamente all’aspetto sanzionatorio) il ricorso avverso avviso di recupero del credito d’imposta L. n. 388 del 2000, ex art. 8.

La società intimata non ha svolto attività difensiva.

La controversia è stata discussa alla pubblica udienza del 25 ottobre 2011, in cui il PG ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

2. I fatti di causa.

L’Agenzia delle Entrate di Salerno ha notificato il menzionato avviso di recupero del credito di imposta relativo ad investimenti nelle aree svantaggiate, sull’assunto che esso fosse stato indebitamente fruito nell’anno di imposta 2002, poichè utilizzato in compensazione nonostante la sospensione della fruizione di detto credito d’imposta stabilita con il D.L. n. 253 del 2002.

Oltre a recuperare il credito d’imposta utilizzato in compensazione nel periodo di sospensione (in somma pari ad Euro 8.313,06) l’Agenzia aveva revocato pure un ulteriore credito d’imposta per Euro 2.836,00 sull’assunto dell’erronea determinazione dell’investimento agevolabile (in relazione a tre fatture per acquisizioni avvenute dopo l’8 luglio 2002), ciò che – secondo l’allegazione della parte ricorrente – non era stato oggetto di impugnazione da parte della società contribuente.

Il ricorso proposto dalla contribuente avverso detto provvedimento è stato solo parzialmente accolto dalla CTP di Salerno, che ha dichiarato non dovuta la sanzione irrogata.

Ha interposto appello avverso detta decisione la parte contribuente, impetrando la nullità de provvedimento impugnato e della conseguente cartella di pagamento.

Anche la Agenzia – a detta della stessa odierna ricorrente – avrebbe proposto appello incidentale avverso la decisione di primo grado onde chiedere la “conferma globale dell’avviso di recupero”.

L’adita CTR della Campania ha accolto l’appello principale, annullando il provvedimento impositivo, con compensazione delle spese di lite.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della Commissione Tributaria Regionale, oggetto del ricorso per cassazione, è motivata nel senso che – atteso che la Amministrazione aveva contestato solo l’errato utilizzo temporale del credito di imposta ma non la sua spettanza – la mancata conversione in legge del D.L. n. 253 del 2002, che disponeva la menzionata sospensione, imponeva che si considerasse legittimo l’utilizzo per compensazione del credito d’imposta.

Nè poteva condurre a diversa conclusione la circostanza che la L. n. 289 del 2002, art. 62, comma 7 avesse fatto salvi gli effetti prodotti dal predetto D.L. (ivi espressamente dichiarando abrogati gli artt. 1 e 2 dello stesso), perchè la norma in questione doveva essere interpretata nel senso che “gli effetti ed i rapporti salvati sono solo quelli sorti e prodottisi nei confronti dei contribuenti che, sulla base della normativa successivamente abrogata, non abbiano utilizzato il credito d’imposta spettante”.

4. Il ricorso per cassazione.

Il ricorso per cassazione è sostenuto con due motivi d’impugnazione e – dichiarato il valore della causa nella misura di Euro 8.500,00 – si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese processuali.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Questione preliminare.

Preliminarmente necessita rilevare l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero delle Finanze.

Quest’ultimo non è stato parte del processo di appello (instaurato dopo il 1 gennaio 2001 – data di inizio dell’operatività delle Agenzie fiscali – dal solo Ufficio locale dell’Agenzia) sicchè non ha alcun titolo che lo legittimi a partecipare al presente grado.

Nulla sulle spese di lite, non essendosi costituita la parte intimata.

6. Il primo motivo d’impugnazione.

Il primo motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione alla L. n. 289 del 2002, art. 62” (assistito da idoneo quesito di diritto).

La ricorrente si duole – in sostanza – dell’erronea interpretazione fatta dal giudice di merito in ordine alla correlazione tra il disposto dell’art. 62, comma 7 ora menzionato ed il disposto del D.L. n. 253 del 2002, art. 1.

La prima di dette norme dispone come di seguito:

“Sono abrogati il D.L. 12 novembre 2002, n. 253, art. 1; restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottosi e i rapporti giuridici sorti sulla base delle predette disposizioni”.

A sua volta, il D.L. n. 253 del 2002, art. 1 dispone come di seguito:

“Al fine di assicurare una corretta applicazione delle disposizioni in materia di agevolazione per gli investimenti nelle aree svantaggiate di cui alla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 8 e successive modificazioni, nonchè di favorire la prevenzione di comportamenti elusivi, di acquisire all’amministrazione i dati necessari per adeguati monitoraggi e pianificazioni dei flussi di spesa, occorrenti per assicurare pieni utilizzi dei contributi, attribuiti nella forma di crediti di imposta:

a) i soggetti che hanno conseguito il diritto al contributo anteriormente alla data dell’8 luglio 2002 comunicano all’Agenzia delle entrate, a pena di decadenza dal contributo conseguito automaticamente, i dati occorrenti per la ricognizione degli investimenti realizzati e, in particolare, quelli concernenti le tipologie degli investimenti, gli identificativi dei contraenti con i quali i soggetti interessati intrattengono i rapporti necessari per la realizzazione degli investimenti, le modalità di regolazione finanziaria delle spese relative agli investimenti, l’ammontare degli investimenti, dei contributi fruiti e di quelli ancora da utilizzare, nonchè ogni altro dato utile ai predetti fini. Tali dati sono stabiliti con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, emanato entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con il quale è altresì approvato il modello di comunicazione e stabilito il termine per la sua effettuazione, comunque non successivo al 31 gennaio 2003, I soggetti di cui al primo periodo sospendono la fruizione degli ulteriori utilizzi del contributo a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e la riprendono a decorrere dal 31 marzo 2003…”.

Trattandosi appunto nella specie di causa di diritto all’utilizzo del contributo conseguito anteriormente alla data dell’8 luglio 2002, ciò che mette conto qui accertare è se – in conseguenza della salvezza degli effetti disposta dall’art. 62, comma 7 più volte citato – anche la sospensione della fruizione del contributo a decorrere dalla data di entrata in vigore del D.L. 253 del 2002 sia fatta salva, secondo l’assunto della parte qui ricorrente, con conseguente insussistenza in capo alla “Eurodata sas” del diritto di avvalersene in compensazione ai fini della dichiarazione relativa al periodo di imposta 2002.

Orbene, diversamente da quanto assume il giudice del merito, l’abrogazione disposta dalla L. n. 289 del 2002, art. 62 nei riguardi del D.L. 12 novembre 2002, n. 253, artt. 1 e 2 prima della sua conversione in legge non può essere valorizzata nel senso dell’impossibilità di attribuire “efficacia retroattiva” alle norme del decreto non convertito.

Dette norme, invero, per quanto non convertite in legge, all’atto dell’emanazione della L. 27 dicembre 2002, n. 289 erano ancora provvisoriamente efficaci, sicchè la loro espressa abrogazione da parte della legge sopravvenuta ha avuto il solo effetto di impedire la protrazione della efficacia provvisoria di quelle fino al termine naturale (ex art. 77 Cost.: giorni sessanta) della eventuale mancata conversione, perciò la determinandone la caducazione immediata, ma non certo quello di attribuire “efficacia ex tunc” alle norme del decreto non convertito. Dette norme infatti risultavano essere perfettamente vigenti al momento della loro abrogazione, abrogazione che perciò altro effetto non ha avuto se non consacrare anticipatamente la mancata conversione in legge del decreto.

Non si è verificato perciò il caso (implicitamente paventato dal giudice di appello, per quanto non ne faccia espresso richiamo) della violazione della L. 7 luglio 2000, n. 212, art. 3 che prescrive che le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo.

Ciò non toglie che il legislatore, facendo uso del potere espressamente conferito dall’art. 77 Cost., comma 3, possa comunque “regolare con legge i rapporti giuridici sulla base dei decreti non convertiti”, appunto perchè anche il decreto legge qui in parola risulta non convertito, per quanto la omessa conversione sia stata “anticipata” dalla espressa abrogazione di cui si è detto.

Ciò posto, non è chi non veda che la formula adoperata nell’art. 62, comma 7 menzionato, per la sua generale comprensività, si riferisce a tutti gli effetti prodottisi nel vigore del decreto legge non convertito, sicchè è arbitraria l’opzione ermeneutica prescelta dal giudice di appello, il quale ha limitato la “salvezza” ai soli effetti “sorti e prodottisi nei confronti dei contribuenti che non abbiano utilizzato il credito di imposta spettante”.

Anche coloro che invece lo abbiano utilizzato, nonostante l’espresso divieto contenuto nel D.L. n. 253 del 2002, art. 1 hanno visto “salvato” detto effetto dalla norma di legge sopravvenuta, sicchè non vi è dubbio che correttamente l’Agenzia ha provveduto ad adottare l’avviso di recupero qui in parola.

In proposito si veda anche Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8145 del 11/04/2011, che non può che avere pronunciato sulla scorta dei medesimi (impliciti) presupposti di cui qui si fa espresso esame, essendo pervenuta – per altra via – alle medesime conseguenze concrete.

Deriva da ciò che fin qui si è detto che la sentenza impugnata debba essere cassata sicchè questa Corte -non apparendo necessari ulteriori accertamenti di fatto – può disporre anche nel merito, rigettando l’impugnazione proposta dalla società contribuente nei confronti del provvedimento impositivo. Tutto ciò, d’altronde, nei limiti del giudicato già formatosi con la sentenza di primo grado e perciò fatto salvo l’annullamento del contenuto sanzionatorio del provvedimento.

Ed invero, l’assunto di parte oggi ricorrente relativo all’avvenuta impugnazione incidentale della sentenza di primo grado non è corroborato nè dalla narrativa della sentenza qui impugnata (nella quale non se ne fa parola) nè dal rispetto del necessario canone di autosufficienza da parte della ricorrente Agenzia, che si limita a postulare di avere effettuato detta impugnazione incidentale, vuoi senza esprimerne gli specifici contenuti, vuoi senza lamentare alcuna omessa pronuncia da parte del giudice di secondo grado.

Non resta che concludere che la sentenza di primo grado deve considerarsi impugnata solo dalla parte contribuente e che perciò la cassazione della pronuncia di appello, che ne aveva disposto la parziale riforma (in conformità alle istanze di parte appellante principale), non produce alcun effetto in relazione al già formatosi giudicato consistente nell’annullamento del provvedimento sanzionatorio.

7. Il secondo motivo d’impugnazione.

Il secondo motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Art. 360 c.p.c., n. 5, per difetto di motivazione circa un punto decisivo della controversia, nella parte in cui omette di prendere in considerazione, come peraltro era stato evidenziato, l’illegittimo utilizzo di fatture ai fini del credito di imposta”.

La parte ricorrente assume, in sostanza, di avere adottato – nel richiamato provvedimento – anche disposizione di revoca parziale del credito di imposta, in relazione a tre fatture per acquisizioni avvenute dopo l’8 luglio, disposizione non fatta oggetto di impugnazione da parte della società contribuente.

Ciò posto, la parte ricorrente si duole di “omesso esame” della questione da parte della CTR, per quanto quest’ultima abbia – con riferimento alla contestata interpretazione della L. n. 289 del 2002, art. 62 – “esteso l’applicazione della predetta norma oltre il suo ambito applicativo”.

Il motivo di impugnazione è inammissibile.

Ed invero la parte ricorrente si duole dell’esorbitante pronuncia del giudice di appello (che avrebbe annullato l’intiero provvedimento impositivo), essendosi estesa la medesima anche agli aspetti non gravati da impugnazione, e cioè al provvedimento di revoca delle agevolazioni.

Si tratta di censura che avrebbe dovuto essere prospettata sotto il profilo della violazione di legge (art. 112 c.p.c.) e non certo sub specie di vizio di motivazione, qui del tutto impropriamente evocato.

In tema si veda Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12952 del 04/06/2007: “La decisione del giudice di secondo grado che non esamini e non decida un motivo di censura della sentenza del giudice di primo grado è impugnabile per cassazione non già per omessa o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia e neppure per motivazione per relationem resa in modo difforme da quello consentito bensì per omessa pronuncia su un motivo di gravame. Ne consegue, quindi, che, se il vizio è denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 o n. 5 anzichè dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c., il ricorso si rivela inammissibile”.

Non guasta peraltro evidenziare che la riforma della pronuncia impugnata, in relazione al motivo di censura già in precedenza esaminato, è idonea a rendere del tutto inutile (e sostanzialmente ad assorbire) la questione qui in esame.

La regolazione delle spese di lite è improntata al canone della soccombenza, limitatamente a questo grado di giudizio.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero. Accoglie parzialmente il ricorso dell’Agenzia. Cassa la sentenza impugnata e – decidendo nel merito – rigetta il ricorso del contribuente avverso l’avviso di recupero del credito d’imposta (limitatamente a quanto non è oggetto del giudicato formatosi in primo grado, siccome è meglio detto in motivazione). Condanna la parte intimata a rifondere all’Agenzia le spese del presente grado di giudizio, liquidate in complessivi Euro 1.000,00 oltre a spese prenotate a debito, compensando tra le parti quelle relative ai gradi di merito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2011

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