Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24251 del 02/11/2020

Cassazione civile sez. III, 02/11/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 02/11/2020), n.24251

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 29716/19 proposto da:

N.F., difeso dall’avvocato Antonio Gregorace, in virtù di

procura speciale in calce al ricorso ed elettivamente domiciliato a

Roma, v. della Giuliana n. 32;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Roma 26.8.2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15 luglio 2020 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. N.F., cittadino (OMISSIS), chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

A fondamento della domanda dedusse di avere lasciato il proprio Paese a causa delle minacce ricevute dal proprietario di un terreno confinante, cui il ricorrente aveva accidentalmente appiccato il fuoco. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

2. Avverso tale provvedimento N.F. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Roma, che la rigettò con Decreto 26 agosto 2019.

Il Tribunale ritenne che:

-) lo status di rifugiato non potesse essere concesso perchè la vicenda narrata dal richiedente non integrava alcun fatto persecutorio;

-) la protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui all’art. 14, lettere a) e b), D.Lgs. n. 251/07, non potesse essere concessa perchè la vicenda narrata dal richiedente aveva carattere privato, e non comportava nè il rischio di condanna a morte, nè il rischio di tortura o trattamenti degradanti;

-) la protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potesse essere concessa perchè in Guinea-Bissau non sussisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria, infine, non potesse essere concessa in quanto da un lato il ricorrente non aveva offerto alcun elemento utile a valutare un suo inserimento nel tessuto sociale italiano, nè a tal fine potevano rilevare il semplice fatto di soffrire di sinusite o di aver seguito un corso di lingua italiana; dall’altro lato, nel caso di rimpatrio, il ricorrente sarebbe stato esposto – in tesi – alle minacce di un proprietario terriero al cui fondo aveva confessato di aver appiccato accidentalmente fuoco, e tale circostanza (questo il senso implicito, ma chiaro, della sentenza impugnata) non poteva considerarsi una “violazione dei diritti fondamentali al di sotto del loro nucleo ineliminabile”.

3. Tale decreto è stato impugnato per cassazione da N.F. con ricorso fondato su quattro motivi (il quarto motivo è contraddistinto dal numero “3”).

Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo.

Deduce che il tribunale non ha preso in esame il motivo di ricorso col quale si doleva della nullità del provvedimento di rigetto delle domande di protezione internazionale adottato dalla commissione territoriale.

Deduce che quel provvedimento si doveva ritenere nullo perchè non era stato tradotto nella lingua madre del ricorrente e cioè la lingua Edo.

1.1. Il motivo è inammissibile per due indipendenti ragioni.

In primo luogo è inammissibile perchè, in violazione del precetto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, non indica nel ricorso dove si trovi allegato il provvedimento su cui si fonda il motivo di ricorso.

In secondo luogo è inammissibile perchè il giudizio dinanzi al tribunale avente ad oggetto la domanda di protezione internazionale non costituisce una impugnazione del provvedimento adottato dalla commissione territoriale.

Pertanto, quali che siano i vizi che dovessero infirmare il provvedimento amministrativo, il tribunale è chiamato a compiere una nuova ed autonoma valutazione sulla sussistenza in fatto ed in diritto dei presupposti per la concessione della protezione. Ne consegue che il giudizio dinanzi al tribunale non può mai concludersi col mero annullamento del provvedimento della commissione, e che pertanto denunciare il mero vizio formale del provvedimento della commissione pone una questione priva di decisività ai fini dell’impugnazione del provvedimento giurisdizionale (così Sez. 1 -, Sentenza n. 30105 del 21/11/2018, Rv. 653226-01).

In terzo luogo, infine, il motivo è inammissibile perchè il ricorrente nemmeno prospetta che, in conseguenza della mancata traduzione, egli abbia patito un pregiudizio al proprio diritto di difesa, ed in particolare al diritto di proporre, coltivare e provare la domanda di protezione in sede giurisdizionale.

Princìpi, quelli appena ricordati, che del resto dovrebbero essere ben noti alla difesa del ricorrente, la quale già per sei volte, in fattispecie analoghe, ha visto rigettare la relativa censura: da ultimo, con l’ordinanza pronunciata da Sez. 1, Ordinanza n. 30955 del 27.11.2019.

2. Col secondo motivo il ricorrente prospetta il vizio di omesso esame di un fatto decisivo.

L’illustrazione del motivo, dopo aver esordito affermando che il tribunale non avrebbe “correttamente valutato le dichiarazioni delle allegazioni del ricorrente”, prosegue sostenendo che erroneamente il tribunale ha escluso la sussistenza in Guinea di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato.

2.1. Il motivo è inammissibile: il tribunale ha citato, infatti, a fondamento della propria decisione fonti attendibili ed aggiornate (e cioè un rapporto dell’associazione Amnesty International del 2017).

A tale fonte il ricorrente replica citando alcuni episodi di violenza, pur essi risultanti da un rapporto della medesima organizzazione.

E tuttavia, a prescindere dal fatto che gli episodi di violenza citati dal ricorrente risalgono ormai a quasi 10 anni fa, quel che rileva è che la situazione di “violenza indiscriminata derivante da conflitto armato” non può dirsi sussistente sol perchè vi sia il rischio di attentati terroristici o un contesto di criminalità comune.

3. Col terzo motivo il ricorrente investe il capo di sentenza che ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria, prospettando il vizio di violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Al di là di tale intitolazione formale, il motivo riproduce la medesima censura già proposta col terzo motivo di ricorso: e cioè che in Guinea esisterebbe, al contrario di quanto ritenuto dal tribunale, una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato.

3.1. Il motivo è inammissibile per le medesime ragioni già esposte con riferimento al terzo motivo di ricorso.

4. Col quarto motivo (contraddistinto dal numero 3, pagina 10 del ricorso) il ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5.

Il motivo investe il capo di sentenza con quale è stata rigettata la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Sostiene il ricorrente che la motivazione con cui il tribunale ha rigettato la suddetta domanda sarebbe “erronea e contraddittoria”.

Sostiene che la sentenza sarebbe erronea perchè il tribunale “non ha nemmeno preso in considerazione l’ormai consolidata prassi di lasciare il permesso di soggiorno per motivi umanitari a tutti i soggetti stranieri integrati sul territorio e in possesso di contratto di lavoro e/o di documentazione scolastica”.

4.1. Il motivo è inammissibile, per due ragioni:

-) in primo luogo per estraneità alla ratio decidendi: il tribunale infatti ha ritenuto che nel caso di specie non ricorresse “alcun elemento di vulnerabilità soggettiva e di particolari esigenze umanitarie”, e tale ratio decidendi non viene investita dal ricorso se non in modo assolutamente generico e, per ciò solo, inammissibile;

-) in secondo luogo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, dal momento che il ricorrente lamenta l’omesso esame da parte del tribunale dei documenti da lui forniti allo scopo di dimostrare il grado di integrazione raggiunto in Italia, senza precisare di quali documenti si tratta, quale ne fosse il contenuto, quando sono stati prodotti, e dove si trovano.

4.2. Non sarà superfluo aggiungere, in ogni caso, che il principio di diritto invocato dal ricorrente è erroneo.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza 13.11.2019 n. 29459, hanno stabilito quale sia il fondamento, la natura ed i presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, previsto dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis, oggi abrogato e sostituito dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, art. 1, comma 1, lett. b), n. 2), convertito, con modificazioni, dalla L. 1 dicembre 2018, n. 132).

Tale statuizioni possono così riassumersi:

a) il permesso di soggiorno per motivi umanitari è espressione del diritto di asilo costituzionalmente garantito dall’art. 10 Cost., comma 3 (coì il p. 6.1. di “Motivi della decisione” della sentenza sopra ricordata);

b) il permesso di soggiorno per motivi umanitari non è imposto dalla legislazione comunitaria e non può interferire con le forme di protezione internazionale da quella previste: esso è dunque alternativo a queste ultime, nel senso che quando ricorrano i presupposti per la concessione dello status di rifugiato o per la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, non vi sarà spazio per la protezione umanitaria, e viceversa (ibidem, p. 9.2);

c) presupposto del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari è il rischio che il rimpatrio del richiedente possa determinare una compromissione dei suoi diritti umani “al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale” (ibidem, p. 10.1);

d) nel valutare la sussistenza di questo rischio, il giudice di merito tuttavia deve osservare due limiti:

d’) da un lato, non può limitarsi a prendere in esame soltanto livello di integrazione conseguito dal richiedente in Italia;

d”) dall’altro, non può accordare il permesso di soggiorno per motivi umanitari per il solo fatto che, nel paese di provenienza del richiedente, sussista una generale violazione dei diritti umani, perchè così facendo “si prenderebbe (…) in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria” (ibidem, p. 10.2).

Sicchè, anche ad ammettere che esista o sia esistita la “prassi” invocata dal ricorrente, essa deve ritenersi contra legem, dal momento che nè la circostanza di svolgere in Italia un lavoro; nè la circostanza di avere raggiunto in Italia una reale “integrazione” (al di là di qualsiasi considerazione circa l’effettivo senso da attribuire a tale lemma, nella materia della protezione internazionale), da sole, possono giustificare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

5. Non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio della parte intimata.

Il rigetto del ricorso comporta l’obbligo del pagamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), se dovuto.

PQM

la Corte di Cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2020

 

 

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