Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2425 del 04/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 04/02/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 04/02/2020), n.2425

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Su ricorso proposto da:

V.G., rappr. e dif. dall’avv. Laura Gaudeni,

laura.gaudeni.ordineavvocatifermopec.it, elett. dom. presso il suo

studio in Fermo, via G.F.M. Prosperi n. 33/A, come da procura in

calce all’atto;

– ricorrente –

Contro

FALLIMENTO (OMISSIS) s.a.s. di P.V. & c. e

P.V., in persona del curatore fallim. p.t., rappr. e dif. dall’avv.

Fabrizio Iacopini, elett. dom. presso lo studio dell’avv. Annamaria

Santini, annamariasantini.ordineavvocatiroma.org, in Roma, via

Raffaele Caverni n. 6, come da procura in calce all’atto;

– Controricorrente –

per la cassazione del decreto Trib. Macerata 23.2.2017, n. 2184/2017,

RG 2879/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 12 dicembre 2019 dal Consigliere relatore Dott. Massimo

Ferro;

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma

semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del

Primo Presidente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. V.G. impugna il decreto Trib. Macerata 23.2.2017, n. 2184/2017, RG 2879/2016, che ha rigettato la sua opposizione allo stato passivo del FALLIMENTO (OMISSIS) s.a.s. di P.V. & c. e P.V., nel quale il giudice delegato aveva riconosciuto al credito professionale insinuato natura solo privilegiata per 10.400 Euro, inclusiva di onorario e CAP, oltre al chirografo su IVA, anzichè la richiesta prededuzione;

2. il tribunale ha negato che la prestazione dell’attestatore, rivolta alla proposizione di una domanda di concordato, depositato ex L. Fall., art. 161, comma 6, il 19.7.2013 ed ammesso il 8.5.2014 ma dichiarato improcedibile il successivo 5.6.2014, rivestisse i requisiti della connessione con la successiva definitiva regolazione concorsuale della crisi del debitore, posto che il fallimento finale era giunto solo con la dichiarazione del 20.4.2015; il mutamento della compagine sociale e la perdurante operatività della società non davano inoltre conto della identità del presupposto fondante le due procedure, in ragione del rilevante intervallo temporale;

3. con il ricorso, in unico motivo, si contesta la decisione

denunciando violazione dell’art. 111 L. Fall., in relazione all’art. 69bis L. Fall., avendo errato il tribunale ove ha disconosciuto la regola della prededuzione per il credito sorto in funzione del concordato, invocando la mancata consecuzione di questo rispetto al fallimento, mentre era provata la effettività della prestazione e la sua portata di corredo necessario alla domanda svolta ex artt. 160-161 L. Fall.; il ricorrente ha anche depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. il ricorso è inammissibile, per plurime ragioni; per un verso,

il ricorso equivoca sulla relazione di utilità delle prestazioni rese in funzione del concordato rispetto alla più specifica motivazione del tribunale maceratese che non ha affatto invocato tale criterio, in particolare nell’accezione di un giudizio positivo ex post, ma ha fondamentalmente riferito il successivo fallimento ad una regolazione concorsuale che non poteva dirsi insistente sulla medesima insolvenza, stante innanzitutto il citato iato temporale, di quasi un anno prima, tra domanda di concordato e fallimento, con un intervallo di impresa in bonis fuoriuscita dalla prima procedura (dichiarata improcedibile ad inizio giugno 2014, secondo la rinuncia, per come riferito dal controricorrente e non contestato) e non ancora entrata nella seconda (dichiarata dopo la metà di aprile del 2015); il tribunale ha inoltre rilevato che il difetto di continuità procedurale era positivamente integrato dalla prosecuzione operativa della società e dal mutamento della sua compagine sociale;

2. si tratta di un complessivo apprezzamento di fatto,

insindacabile in questa sede, non idoneamente censurato e dunque tale da imporre il richiamo ad un primo profilo, poichè “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.” (Cass. s.u. 8053/2014);

3. il difetto di idonea censura si accompagna invero anche alla indicazione di elementi (quali le risultanze dello stato passivo in comparazione) che introducono questione apparentemente nuova, omettendo il ricorrente di precisarne sia la portata sia la effettiva collocazione rituale nel dibattito del contraddittorio e così non ottemperando al principio di autosufficienza del ricorso; va invero ripetuto che “qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l’omessa valutazione di prove documentali, per il principio di autosufficienza ha l’onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l’irrilevanza giuridica della sola produzione, che non assicura il contraddittorio e non comporta, quindi, per il giudice alcun onere di esame, e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione” (Cass. 13625/2019);

4. il credito del professionista, riconoscendosi la effettività della prestazione, è stato invero ammesso al passivo, nel rango privilegiato, ma se ne è esclusa la strumentalità della prestazione ai sensi dell’art. 111 L. Fall., apparendo il relativo apporto limitato al concordato (che non ha avuto sbocco, per via del decreto di improcedibilità) e al contempo non connesso al successivo fallimento (per apprezzata diversità della situazione dichiarata e così regolata); il tribunale ha così correttamente applicato il principio, anche di recente ribadito dalla Corte e cui dare continuità, per cui “nelle procedure concorsuali, compresa quella di concordato, la prededuzione attribuisce non una causa di prelazione ma una precedenza processuale, in ragione della strumentalità dell’attività, da cui il credito consegue, agli scopi della procedura, onde renderla più efficiente, atteso che, mentre il privilegio, quale eccezione alla “par condicio creditorum”, riconosce una preferenza ad alcuni creditori e su certi beni, nasce fuori e prima del processo esecutivo, ha natura sostanziale e si trova in rapporto di accessorietà con il credito garantito poichè ne suppone l’esistenza e lo segue, la prededuzione – che, per la differenza del piano su cui opera rispetto al privilegio, può aggiungersi alle cause legittime di prelazione nei rapporti interni alla categoria dei debiti di massa, quando vi sia insufficienza di attivo e sia necessario procedere ad una gradazione pure nella soddisfazione dei creditori prededucibili – attribuisce una precedenza rispetto a tutti i creditori sull’intero patrimonio del debitore e ha natura procedurale, perchè nasce e si realizza in tale ambito e assiste il credito di massa finchè esiste la procedura concorsuale in cui lo stesso ha avuto origine, venendo meno con la sua cessazione” (Cass. 15724/2019); si è invero puntualizzato che “la consecutio procedurarum è un fenomeno generalissimo consistente nel collegamento sequenziale fra procedure concorsuali di qualsiasi tipo volte a regolare una coincidente situazione di dissesto dell’impresa (vuoi che essa si atteggi come crisi, vuoi che consista in una situazione di insolvenza, dato che stato di crisi e stato di insolvenza possono rappresentare una mera distinzione di grado della medesima crisi economica) e unite da un rapporto di continuità causale e unità concettuale piuttosto che di rigorosa successione cronologica. Ciò significa che ai fini della valutazione della sussistenza di questa sequenza qualificata… occorre… verificare, partendo da un dato cronologico per passare, poi, ad una valutazione di carattere giuridico e/o economico, se l’imprenditore, nell’eventuale iato temporale fra le procedure susseguitesi fra loro, sia intervenuto fattivamente nella gestione dell’impresa ed abbia variato la consistenza economica del suo stato di dissesto in maniera sostanziale, introducendo elementi di rilevante difformità rispetto alla situazione in precedenza apprezzata dagli organi giudiziari”;

5. proprio le citate precisazioni permettono di rinvenire, nelle argomentazioni del tribunale, non solo la mancata prova, ricadente a carico del creditore (come ovvio corollario del principio della domanda L. Fall., ex art. 93, comma 3, n. 3), della effettiva consecuzione, ma proprio ed anzi la prova positiva del difetto di continuità, imperniato sugli elementi fattuali investiti della motivazione resa e, come detto, non censurabile in questa sede;

6. alla inammissibilità del ricorso consegue, oltre alla condanna alle spese regolata secondo il principio della soccombenza, la dichiarazione della sussistenza dei presupposti per il versamento del cd. raddoppio del contributo unificato, come meglio indicato nel dispositivo.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità in Euro 3.100 (di cui Euro 100 per esborsi), oltre al 15% a forfait sui compensi e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2020

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