Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24244 del 13/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 13/10/2017, (ud. 20/01/2017, dep.13/10/2017),  n. 24244

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1613-2016 proposto da:

D.M.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIORGIO

CASSOTTA;

– ricorrente –

contro

Q.G., N.C., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato PLACIDI,

rappresentati e difesi dall’avvocato FRANCESCO DE FEIS;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 211/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE

SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata l’11/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 20/04/2017 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI.

Fatto

RITENUTO

che:

il Consigliere relatore dott. A. Scalisi ha proposto che la controversia di cui al RG. 1613 del 2016, fosse trattata in Camera di Consiglio non partecipata dalla Sesta Sezione Civile di questa Corte, ritenendo infondati i primi due motivi del ricorso perchè non incidono sulla ragione principale della decisione e fondato il terzo motivo perchè erronea la liquidazione delle spese del giudizio.

La proposta del relatore è stata notificata alle parti. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Letti gli atti del procedimento di cui in epigrafe.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.= la Corte d’Appello di Lecce respinse l’appello proposto da D.M.C. avverso la sentenza con cui il tribunale di Taranto lo aveva condannato al rilascio di un immobile in favore di N.C.C. e Q.G., accertando che questi ultimi ne erano proprietari in virtù di contratto reso per atto pubblico del 16.12.1985 e respingendo la sua domanda riconvenzionale di risoluzione di tale contratto. La Corte rilevò che era sopravvenuta la chiusura del fallimento del D.M. per l’intervenuta soddisfazione dei creditori ammessi, per cui la revocatoria esperita dal fallimento sul contratto non ne aveva comportato l’inefficacia, e che nell’atto pubblico di vendita il D.M. aveva rilasciato quietanza di pagamento avente natura confessoria.

D.M.C. propose domanda di revocazione della sentenza, affermando la sopravvenienza di fatti nuovi che dimostravano che il pagamento del prezzo – pattuito mediante “regolamento cambiario” – non era mai avvenuto, come emergeva dagli atti di un procedimento penale dei quali era venuto a conoscenza dopo la sentenza d’appello.

La Corte d’Appello di Lecce ha dichiarato inammissibile la domanda, rilevando che il motivo di revocazione non appariva riconducibile ad alcuna delle ipotesi codificate dall’art. 395 c.p.c., del resto neppure indicata dal D.M.; ha inoltre rilevato che, in ogni caso, tutte le questioni inerenti alla prova del pagamento erano state superate dal rilievo assorbente dell’esistenza di una confessione mai impugnata per errore di fatto o violenza; ha infine condannato il D.M. al pagamento delle spese sostenute da ciascuna delle controparti.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione D.M.C. sulla base di tre motivi; gli intimati hanno depositato controricorso;

Considerato che:

2.= con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 395 c.p.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo per la controversia e nullità della sentenza per mancanza di motivazione, dolendosi del fatto che la corte abbia ritenuto la sua domanda priva di valido motivo revocatorio e sostenendo che avrebbe dovuto ravvisarlo nella fattispecie del dolo della controparte, sulla base di un consolidato orientamento giurisprudenziale che consente al giudice investito della domanda di revocazione di qualificare liberamente i fatti allegati;

2.1.= Il motivo non è fondato. Infatti, esso, non incide sulla ragione principale della decisione, sostenuta da motivazione adeguata, ovvero sull’omessa indicazione di un valido motivo revocatorio. Nè appare pertinente il richiamo ai precedenti di questa corte (v. ad es. Cass. n. 3440/2006; n. 1859/1997) che consentono al giudice di riportare l’inquadramento preciso del fatto revocatorio sotto una delle previsioni dell’art. 395 c.p.c. anche in difformità dell’indicazione datane dal richiedente, purchè non si tratti di fatto ontologicamente diverso da quello dedotto dall’istante, atteso per un verso che nella specie il richiedente non aveva dato alcuna indicazione e che, per altro verso, la corte d’appello ha comunque inquadrato il fatto nella previsione di cui all’art. 395 c.p.c., n. 3, ravvisando la non decisività delle nuove produzioni offerte. Del resto, anche in relazione alla prospettata ipotesi di dolo delle controparti, il ricorrente si limita ad affermare che i documenti comproverebbero un silenzio di queste ultime su fatti decisivi della controversia, condotta che in sè sola non giunge a costituire motivo di revocazione (cfr. Cass. n. 23866/2008);

3.= Con il secondo motivo il ricorrente deduce nullità della sentenza rilevando che del collegio che l’ha deliberata facevano parte un componente del collegio che aveva pronunziato la sentenza revocanda ed altro che aveva precedentemente conosciuto della causa in sede cautelare;

3.1.= Il motivo è infondato. Le affermate incompatibilità, infatti, anche ove sussistenti non determinano nullità deducibile in sede di impugnazione, potendo dar luogo soltanto all’esercizio del potere di ricusazione che la parte interessata ha l’onere di far valere, in caso di mancata astensione, nelle forme e nei termini di cui all’art. 52 c.p.c. (v. Cass. n. 16861/2013);

4.= Con il terzo motivo il ricorrente denunzia violazione del D.M. 10 marzo 2014, art. 4, comma 2, evidenziando che la sentenza d’appello ha liquidato a suo carico le spese di ciascuna delle controparti anzichè il previsto compenso unitario aumentato del 20 per cento, senza indicazione delle specifiche ragioni;

4.1.= Il motivo appare fondato, giacchè la liquidazione delle spese in caso di difesa di più parti aventi identica posizione processuale e costituite con lo stesso avvocato avviene con corresponsione di un compenso unico secondo i criteri fissati dal D.M. n. 55 del 2014, artt. 4 e 8 (salva la possibilità di aumento nelle percentuali indicate dalla prima delle disposizioni citate), senza neppure che rilevi l’eventualità che il comune difensore abbia presentato distinti atti difensivi (cfr. Cass. n. 17215/2015);

In definitiva, va accolto il terzo motivo del ricorso e rigettati gli altri motivi. La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito determinando le spese del giudizio di appello. Considerata la parziale soccombenza le spese del presente giudizio di cassazione vanno compensati.

PQM

 

La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso e rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito determina le spese del giudizio di appello in Euro 5000,00 per compensi oltre accessori come per legge. Compensa le spese del presente giudizio di cassazione.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2017

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