Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24239 del 29/11/2016


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Cassazione civile sez. II, 29/11/2016, (ud. 08/07/2016, dep. 29/11/2016), n.24239

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15288-2012 proposto da:

B.N., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE MAZZINI 114-A, presso lo studio dell’avvocato FRANCO PASCUCCI,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato SIMONE CURI;

– ricorrente –

contro

R.F., C.F. (OMISSIS), C.E. C. F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SALARIA 422, presso lo studio

dell’avvocato MARIA TERESA SAVINO, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ANGELO CURTARELLO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 789/2012 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 02/04/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/07/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito l’Avvocato Claudio Sabbatani Schiuma con delega depositata in

udienza dell’Avv. Curi Simone difensore della ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Chiaverini Mario Romano con delega depositata in udienza

dell’Avv. Savino Maria Teresa difensore dei controricorrenti che ha

chiesto l’accoglimento del controricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

B.N. conveniva in giudizio nel maggio del 2003 innanzi al Tribunale di Padova C.E. e R.F., eredi del defunto B.G. giusto testamento pubblico per notaio D.S. del 21 gennaio 2003.

L’attrice, quale sorella e unica erede legittima del de cuius, chiedeva l’annullamento del succitato testamento pubblico per incapacità naturale del testatore ai sensi dell’art. 591 c.c., n. 3 e la nullità dello stesso atto ex art. 606 c.c. per difetto di sottoscrizione, con ogni consequenziale dovuta pronuncia all’esito dell’accertata richiesta invalidità.

Costituitisi in giudizio, i convenuti deducevano l’infondatezza dell’avversa domanda attorea, di cui chiedevano il rigetto. L’adito Tribunale di prima istanza, con sentenza n. 274/2008, rigettava la domanda e condannava alla refusione delle spese l’attrice.

Quest’ultima interponeva appello avverso la decisione del Tribunale; di cui chiedeva la riforma.

Resistevano al proposto gravame, di cui chiedevano il rigetto, le parti appellate.

L’adita Corte di Appello di Venezia, con sentenza n. 789/2012 rigettava l’appello, confermando l’impugnata sentenza di primo grado e condannava l’appellante al pagamento delle spese del giudizio.

Per la cassazione della suddetta decisione della Corte territoriale ricorre la B. con atto affidato a tre ordini di motivi.

Resistono con controricorso le parti intimate.

Nell’approssimarsi dell’udienza parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Il motivo concerne, in sostanza, una censura (articolata solo tre ulteriori profili) in ordine alla valutazione svolta dalla Corte territoriale quanto al fatto controverso della sussistenza o meno della capacità di intendere e volere del testatore B.G. nel preciso lasso di tempo (18,00 – 18,30 del 21 gennaio 2003), durante il quale il notaio rogante ebbe a ricevere il testamento presso l’Ospedale di (OMISSIS). La censura coinvolge, quindi e conseguentemente, la valutazione – in fatto – del comportamento del medesimo – notaio D.S. e delle dichiarazioni del teste C., nonchè delle conclusioni di cui alla svolta consulenza tecnica di ufficio e dei suoi effetti sulla decisione di primo e di secondo grado, in particolare sotto il profilo di una contraddizione della impugnata sentenza laddove si era in essa ritenuto un giudizio di rilevanza della stessa da parte del primo Giudice.

Senonchè, proprio a tal ultimo proposito, va rilevato che – al di là della imprecisa esposizione – la sentenza di appello (oggetto dell’odierno giudizio) ha, nella sostanza, valutato – così come il primo giudice- l’esito probatorio della consulenza svolta dal CTU Ba. innanzi al Tribunale di Padova.

Tale consulenza veniva comunque ritenuta con la gravata decisione (così come anche dalla prima sentenza, al di là di ogni altro equivoco lamentato in ricorso ovvero di una “inversione di tesi”) non rilevante dal momento che. “il consulente non ha fornito, sotto il profilo medico, una sua valutazione tecnica dei fatti ma si è limitato a riportare le dichiarazioni del Dr. C.”.

In tal modo la sentenza della Corte territoriale giungeva alle stesse conclusioni della prima decisione con una valutazione del fatto avvenuta (ed è ciò che conta) che appare congrua al di là di ogni altro equivoco lamentato in ricorso ovvero della pretesa “inversione di tesi” dovuta alla affermazione (inesatta, ma non decisiva) della sentenza impugnata di aver attribuito alla sentenza del Tribunale una valutazione di “rilevanza” della CTU, valutazione invero ritenuta solo dalla parte appellante ed odierna ricorrente.

Parte ricorrente, insomma, vorrebbe far discendere da una errata attribuzione del giudizio di rilevanza della CTU un vizio motivazionale che, nella sostanza, non c’è nè può essere fondato su un mero difetto di espressione.

Per di più risulta congrua la valutazione, in fatto, svolta dalla gravata decisione che ha ben evidenziato come proprio il suddetto teste dott. Conforto ebbe a dichiarare di aver riferito al notaio rogante, su espressa richiesta di questi in ordine alla capacità del testatore e prima della stesura dell’atto, che – sebbene non era in grado di certificarne la condizione al momento – comunque il paziente B. “era in grado di rapportarsi con il modo esterno, era cosciente, discretamente lucido, discretamente orientato nel tempo e nello spazio”.

Appare, quindi, di tutta evidenza che, nell’ipotesi, si verte in tema di censure di merito del tutto rivolte ad una serie di valutazioni di fatto svolte congruamente nella competente sede dal Giudice del merito (per di più conformemente ed in entrambi i gradi del giudizio).

Questa Corte deve rammentare, al riguardo, che censure come quelle innanzi riassunte non possono comportare una nuova rivalutazione, in fatto, in sede di legittimità.

Nè la gravata decisione, anche alla stregua delle argomentazioni addotte dalla parte ricorrente, appare logicamente viziata o fondata su argomentazioni incongrue e, solo come tali, censurabili in questa sede.

Il motivo è, quindi, inammissibile.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, di violazione di legge ed, in ispecie, dell’art. 2700 c.c., in relazione al rigetto della domanda di nullità per mancanza di firma ex art. 606 c.c.

3.- Con il terzo motivo del ricorso si prospetta il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

4.- Entrambi i succitati motivi sub 2 e 3 possono essere trattati congiuntamente attesa la loro intrinseca connessione e contiguità argomentativa e logica.

Con gli stessi, infatti, si censura la gravata decisione sotto due profili, ovvero la violazione di legge e la carenza motivazionale, comunque derivanti da un allegato elemento fattuale: il gonfiore alla mano destra del testatore, che ne costituiva impedimento alla firma, e, quindi, la prospettata nullità per mancanza di firma ex art. 606 c.c. dell’atto di disposizione.

Le connesse censure non possono trovare accoglimento.

Quanto all’aspetto del gonfiore alla mano destra del testatore esso è stato correttamente menzionato, quale causa impeditiva della sottoscrizione del testamento.

Non limitandosi (come si sostiene in ricorso) “solo con un inciso” alla considerazione di tale circostanza, la Corte distrettuale ha svolto altresì una propria adeguata valutazione, nella fattispecie, congrua e, come tale, non censurabile nè riproducibile in sede di legittimità.

In particolare è stato evidenziato come la circostanza impeditiva alla firma risulta “tra l’altro abbondantemente confermata dall’altro teste che assistette alla redazione dell’atto” e, comunque, attestata dalla certificazione del notaio rogante che fa fede fino a querela di falso.

Al cospetto di tali congrue valutazioni in sede di giudizio di merito, l’essenza della censura si rivela quindi – in modo ancor più ancor più palese – come tendente ad una rivalutazione dei fatti non più possibile in questa sede.

Sotto tale aspetto la censura di cui al terzo motivo è inammissibile.

Quanto alla svolta censura in punto di diritto essa è infondata poichè avrebbe postulato la compiuta dimostrazione nella opportuna sede istruttoria del merito dell’inesistenza del fatto impeditivo della firma (del quale comunque il notaio rogante dava correttamente atto con il rogito non risultante falso).

Il secondo motivo va, dunque, respinto.

5.- Alla stregua di quanto innanzi esposto, affermato e ritenuto il ricorso va rigettato.

6.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio, determinate in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 8 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2016

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