Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24231 del 18/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 18/11/2011, (ud. 18/05/2011, dep. 18/11/2011), n.24231

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE e MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in

persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore,

rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, nei cui

uffici, in Roma, Via dei Portoghesi, 12 sono domiciliati;

– ricorrenti –

contro

FALLIMENTO COUNTRY VILLAGE SRL, – già Grandi Alberghi delle Alpi srl

– con sede in (OMISSIS), in persona del curatore pro tempore,

autorizzato dal Giudice Delegato del Tribunale di Brescia in data

20.11.2006, rappresentato e difeso, giusta delega a margine del

controricorso, dagli Avv.ti BATTAGLIA EMILIO e Vincenzo Mariconda,

elettivamente domiciliato nello studio del primo, in Roma, Via Nizza

59;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 86/2005 della Commissione Tributaria di

Secondo Grado di Trento – Sezione n. 01, in data 21/03/2005,

depositata l’08 agosto 2005;

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica Udienza del 18

maggio 2011 dal Relatore Cons. Antonino Di Blasi;

Sentito, per i ricorrenti, l’Avv. Daniela Giacobbe dell’Avvocatura

Generale dello Stato;

Sentito, pure, per parte controricorrente, l’Avv. Astolfo Di Amato,

giusta delega dell’Avv. V. Mariconda;

Presente il P.M. Dott.ssa ZENO Immacolata, che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Grandi Alberghi delle Alpi srl, successivamente incorporata nella Country Village srl, con separati ricorsi, impugnava in sede giurisdizionale gli avvisi di rettifica e gli atti di contestazione,- con i quali il competente Ufficio, sulla base delle verifiche eseguite dalla Polizia Tributaria, che avevano fatto emergere un complesso meccanismo finalizzato all’evasione dell’IVA, posto in essere usufruendo della speciale procedura di liquidazione dell’IVA di gruppo di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73, comma 3, recuperando l’imposta evasa per gli anni dal 1995 al 1997 ed irrogate le connesse sanzioni.

Veniva eccepito il difetto di motivazione degli avvisi e l’insussistenza della infrazione, evidenziando che le contestate operazioni non erano inesistenti e strumentali e che l’emissione delle note di credito si era resa necessaria, stante che i preliminari di vendite immobiliari erano stati risolti, a seguito di insorte difficoltà finanziarie.

Nelle more del giudizio di primo grado, intervenuto il fallimento della Country Village srl, si costituiva la curatela fallimentare, la quale pur ammettendo che le contestate operazioni erano inesistenti, evidenziava che, comunque, l’Ufficio non aveva titolo ad esigere l’imposta dall’emittente delle fatture, sulla base del principio di neutralità dell’IVA, affermato dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, giusta sentenza 19.09.2000, in causa 454/1998.

L’adita CTP di Trento, previa riunione dei ricorsi, ne disponeva il parziale accoglimento, ammettendo il fallimento all’esercizio della facoltà di regolarizzazione dell’IVA indebitamente fatturata o detratta e, contestualmente, dichiarava la responsabilità solidale del medesimo fallimento per il debito di imposta di L. 16.530.000.000 rimasto a carico della srl “I Giardini di Porto Cervo”, e dovute le sanzioni, nei limiti fissati.

In particolare, i Giudici di primo grado, ritenevano, così, di adeguarsi a quell’orientamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia della Comunità Europea, secondo cui deve essere consentita la facoltà di rettifica dell’IVA, nella ipotesi di emissione di fatture per operazioni inesistenti. L’Agenzia Entrate appellava tale decisione ed i Giudici di Secondo Grado, con la sentenza in epigrafe indicata, ed in questa sede impugnata, rigettavano il gravame e confermavano l’operato del Giudice di prime cure, disponendo, solo, la rettifica di un errore materiale. Con ricorso notificato il 02-13 novembre 2006, l’Agenzia Entrate ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze, sulla base di due mezzi, hanno chiesto la cassazione dell’impugnata decisione.

L’intimato Fallimento, giusto controricorso 20-21 dicembre 2006, ha chiesto dichiararsi inammissibile e, comunque, il rigetto dell’impugnazione; con memoria 09.05.2011 ha ulteriormente illustrato le proprie ragioni.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va disattesa l’eccezione di tardività del ricorso, stante che la sentenza è stata pubblicata l’8 agosto 2005, che il termine iniziava a decorrere il 16.9.2005 e veniva a scadenza il 31.10.2005, e che, d’altronde, l’atto venne consegnato all’Ufficiale Giudiziario per la notifica proprio il 31.10.2005 cr.

(OMISSIS) dell’Ufficio Unico presso la Corte di Appello di Roma (Cass. n. 8447/2004, n. 24239/2004, n. 5967/2005).

A diverso opinamento non inducono le considerazioni svolte dal controricorrente, che prospetta l’inapplicabilità del principio affermato dalle citate pronunce, nel processo tributario, stante che la Corte Costituzionale, con le sentenze n. 477/2002 ed in particolare n.28/2004, ha avuto modo di precisare che il principio della doppia scadenza è di generale applicazione, e che, nel solco, si è formato un consolidato orientamento giurisprudenziale. Sempre, in via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità dell’impugnazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Ciò, in quanto il giudizio di appello, al cui esito è stata emessa la decisione impugnata, si è svolto nei confronti dell’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Tione di Trento, che è l’unica controparte contemplata in sentenza, e non anche nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, rimasto estraneo a detto giudizio.

La sentenza di appello, infatti, risulta emessa in data 21.03.2005/08.08.2005 nei soli confronti della predetta Agenzia delle Entrate, e, d’altronde, il ricorso è stato notificato il 31/10/2006 – 13/11/2006, cioè successivamente alla data dell’1.01.2001, a partire dalla quale trova applicazione la riforma ordinamentale di cui al D.Lgs. n. 300 del 1999, ed i principi giurisprudenziali alla relativa stregua fissati (Cass. n. 15643/2004, n. 3116/2006, n. 3118/2006).

Il ricorso censura l’impugnata decisione per violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, art. 26, comma 3, art. 73, u.c., ed omessa o contraddittoria motivazione su punto decisivo, rappresentando l’esigenza del relativo accoglimento, anche in ordine alle connesse sanzioni.

Si deduce che la CTR, disponendo la regolarizzazione per operazioni inesistenti, è incorsa nei denunciati vizi, per non avere considerato che l’art. 21 citato, postula, per il caso in considerazione, il pagamento dell’imposta per l’intero ammontare indicato nel SAL e che, d’altronde, l’art. 26, comma 2, non risulta applicabile nel caso di fatturazione di operazioni inesistenti, come è agevole desumere dal relativo tenore.

Il Collegio ritiene che la doglianza sia fondata, alla stregua del quadro normativo di riferimento e di principi fissati in pregresse condivise pronunce. E’ stato, in vero, affermato che “In tema di IVA, la speciale procedura di variazione prevista dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26, presuppone necessariamente, come si desume univocamente dalla considerazione della funzione perseguita dalla norma, che l’operazione per la quale sia stata emessa fattura, da rettificare perche1 venuta meno in tutto o in parte in conseguenza di uno degli specifici motivi indicati nel secondo comma della norma stessa, sia una operazione vera e reale e non già del tutto inesistente. Ciò discende anche dal disposto del menzionato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, il quale – nel prevedere, allo scopo di ricondurre a coerenza il sistema impositivo dell’IVA, fondato sui principi della rivalsa e della detrazione, che, se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, “l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura” – da un lato incide direttamente sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d’imposta sulla base dell’applicazione del solo principio di cartolarità, e, dall’altro, incide indirettamente, in combinato disposto con lo stesso D.P.R., art. 19, comma 1, e art. 26, comma 3, anche sul destinatario della fattura medesima, il quale non può esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta in totale carenza del suo presupposto, e cioè dell’acquisto (o dell’importazione) di beni e servizi nell’esercizio dell’impresa, arte o professione” (Cass. n. 12353/2005, n. 7289/2001).

E’ stato, altresì, precisato che “In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici: tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati, nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell’imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell’imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensi1 nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali. Esso comporta l’inopponibilità del negozio all’Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento dell’operazione” (Cass. n. 30055/2008, n. 10257/2008, n. 8772/2008, n. 20398/2005).

Alla stregua dei trascritti principi e delle norme ivi richiamate, deve ritenersi che, nel caso, la contribuente, avvalendosi della speciale procedura di liquidazione dell’IVA di gruppo prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73, u.c., si è sottratta al pagamento dell’imposta dovuta, emettendo fatture per operazioni inesistenti nei confronti di società del gruppo e stornandole, poi, attraverso l’emissione di note di accredito di pari importo, nonchè contabilizzando fatture passive per operazioni inesistenti, che venivano, poi, stornate con le note di credito ricevute; in buona sostanza, compiendo operazioni elusive.

Ne deriva la fondatezza delle doglianze.

D’altronde, l’esternato opinamento dei Giudici di merito non può essere condiviso.

Questi, infatti, hanno correttamente, ricordato sia l’immediata efficacia dèle norme e dei principi Comunitari all’interno dell’ordinamento nazionale, ed hanno, altrettanto correttamente, rilevato sia che al “complesso meccanismo fraudolento” ebbe a partecipare “anche la società Grandi Alberghi delle Alpi srl, sia pure che “il rischio di perdita di entrate fiscali non era stato eliminato” ed “era reale”; ciò nonostante, hanno, inopinatamente, ritenuto, di ammettere la contribuente alla regolarizzazione dell’IVA fatturata e detratta.

Peraltro, così disattendendo il principio desumibile dalla sentenza 19.09.2000 n.1851 della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, in base al quale non è consentita la regolarizzazione dell’IVA indebitamente fatturata nel caso in cui non sia stato completamente eliminato il rischio di perdite di entrate fiscali. Ciò ha fatto, tentando di ancorare tale decisione alle disposizioni Comunitarie, con l’affermare, al contempo, la responsabilità solidale della medesima contribuente, per il debito d’imposta di L. 16.530.000.000 rimasto a carico della società del gruppo “I Giardini di Porto Cervo”, così annettendo a quest’ultima statuizione, resa, peraltro, in assenza di domanda ed in violazione del diritto di difesa, degli effetti impropri. Infatti, è evidente che per effetto del disposto vincolo di solidarietà passiva, nascente dalla decisione, il rischio di perdite di entrate fiscali non veniva eliminato, derivandone, solo, l’estensione del rischio ad altro soggetto.

In buona sostanza, alla stregua della disciplina Comunitaria, in tema di tributi armonizzati, la regolarizzazione deve ritenersi consentita solo ed esclusivamente nel caso in cui il rischio di perdite di entrate fiscali sia stato eliminato in tempo utile, ovvero il contribuente che ha emesso la fattura dimostri la sua buona fede.

Nel caso, tali condizioni non ricorrono, posto che il contribuente non ha assunto alcuna tempestiva iniziativa per l’eliminazione del rischio e, d’altra parte, pur gravato del relativo onere(Cass. n. 30057/2008, n. 20398/2005 ), non ha nemmeno tentato di allegare e provare la propria buona fede.

La fondatezza del ricorso nel merito, implica l’accoglimento della connessa doglianza relativa alle sanzioni.

Ritiene, conclusivamente la Corte che la sentenza impugnata, decidendo e motivando nei termini anzi esposti, abbia fatto malgoverno delle denunciate norme e dei trascritti principi e vada, quindi, cassata. La causa, per l’effetto, va rinviata ad altra sezione della Commissione Tributaria di Secondo Grado di Trento, la quale procederà al riesame e, applicando i richiamati principi, deciderà nel merito, ed anche sulle spese del presente giudizio di legittimità, offrendo congrua motivazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile l’impugnazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze; accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassa l’impugnata decisione e rinvia ad altra sezione della C.T. di Secondo Grado di Trento.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2011

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