Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2423 del 04/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 04/02/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 04/02/2020), n.2423

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. Consiglie – –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, in persona dei curatori

fallim. p.t., rappr. e dif. dall’avv. Massimo Piazza e dall’avv.

Massimo Francesco Dotto, elett. dom.presso lo studio del secondo, in

Roma, via Lazio n. 20/C, coma da procura a margine dell’atto;

– ricorrente –

contro

D.D.M., rappr. e dif. dall’avv. Nicola Maione, elett.

dom. presso il suo studio in Roma, via Garigliano n. 11, come da

procura a margine dell’atto;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto Trib. Parma 15.2.2017, cron. 2284/2017,

RG 1498/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 12 dicembre 2019 dal Consigliere relatore Dott. Ferro

Massimo;

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma

semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del

Primo Presidente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, in persona dei curatori fallim. p.t., impugna il decreto Trib. Parma 15.2.2017, cron. 2284/2017, RG 1498/2015, che ha accolto l’opposizione allo stato passivo di D.D.M., ammettendo in prededuzione per 55.986,50 Euro il suo credito, in riforma del provvedimento, già reiettivo di analoga domanda, pronunciato dal giudice delegato;

2. il tribunale ha statuito la doverosità di siffatta qualità del credito collegato alla prestazione del professionista, attestatore di una proposta di modifica del piano concordatario della società, in precedenza ammessa al concordato con decreto del gennaio 2012, attività svolta a seguito di incarico professionale della debitrice dell’agosto 2012 e dietro rilievo del tribunale stesso, in sede di coeva anticipazione della necessità di detta relazione di aggiornamento; secondo i giudici parmensi, a nulla rilevava la revoca del concordato, pronunciata ai sensi dell’art. 173 L. Fall. nell’aprile del 2013, ancorchè per infattibilità del concordato e insieme al fallimento, posto che la prededuzione spettava al professionista in relazione a credito sorto in occasione ed in funzione ex art. 111 L. Fall.;

3. con il ricorso, in quattro motivi, si contesta la decisione denunciando: a) violazione dell’art. 111 L. Fall., per l’automatismo seguito dal tribunale nell’ammettere la prededuzione, senza disamina della funzionalità effettiva nel caso; b) violazione degli artt. 111 e 173 L. Fall., avendo contraddittoriamente la pronuncia riconosciuto la prededuzione nonostante la mancanza di una reale proposta di concordato, infatti revocato; c) vizio di motivazione e violazione dell’art. 1176 c.c. e dell’art. 161L. Fall., non avendo il decreto dato conto delle contestazioni di merito eccepite dal curatore circa il corretto adempimento della prestazione, eccezioni che, investendo il credito, sono preliminari rispetto alla qualità prededotta; d) erroneità della decisione in punto di spese; il ricorrente ha altresì depositato memoria;

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. i primi due motivi di ricorso, da trattare congiuntamente

per l’intima loro connessione, sono inammissibili, operando nella materia il principio per cui “in tema di concordato preventivo, il credito del professionista che abbia predisposto l’attestazione prevista dall’art. 161 L. Fall., comma 3, rientra tra quelli sorti “in funzione” della procedura e, come tale, ai sensi dell’art. 111 L. Fall., comma 2, – norma che, in relazione al previsto criterio della strumentalità o funzionalità delle attività professionali rispetto alle procedure concorsuali, introduce un’eccezione al principio della “par condicio creditorum” al fine di favorire il ricorso a forme di soluzione concordata della crisi d’impresa -, va soddisfatto in prededuzione nel successivo fallimento, senza che, ai fini di tale collocazione, debba essere accertato, con valutazione “ex pose, se la prestazione resa sia stata concretamente utile per la massa in ragione dei risultati raggiunti” (Cass. 12017/2018, 1182/2018); nè può darsi corso al canone delimitativo della prededuzione “ove l’ammissione alla procedura minore sia stata revocata per atti di frode dei quali il professionista stesso sia stato a conoscenza, posto che, in tale ipotesi, non solo la prestazione svolta non è stata di alcuna utilità per la procedura, ma si è rivelata addirittura potenzialmente dannosa peri creditori” (Cass.3218/2017), in quanto le erroneità della relazione dell’attestatore non hanno impegnato alcun contraddittorio all’altezza di tale diversa questione, non essendo stata prospettata e da subito trattata nel processo una relazione causale diretta ed esplicita delle citate manchevolezze, assistite da quella gravosità qualificata/ e la revoca del concordato;

2. il terzo motivo è a sua volta inammissibile, per una duplice ragione di limite della sua redazione; invero la censura circa l’omessa considerazione del tema dell’inadempimento del professionista, certamente preliminare rispetto alla qualità del credito invocato poichè l’eventuale prova della relativa violazione condurrebbe a negare ancor prima il credito stesso, è stata dedotta contravvenendo al principio per cui “in materia di vizi “in procedendo”, non è consentito alla parte interessata di formulare in sede di legittimità la relativa censura in termini di omessa motivazione, in quanto spetta alla Corte di cassazione accertare se vi sia stato o meno il denunciato vizio di attività, attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicità dell’eventuale motivazione del giudice di merito sul punto” (ex multis Cass. 21944/2019); tale esame presuppone tuttavia la indicazione specifica della dialettica processuale, per quali atti è stata sollecitata e si è svolta o meno, così da cogliere con precisione gli eventuali limiti dell’applicazione delle relative regole da parte del giudice di merito; condizione nella specie non illustrata;

3. è vero poi che la Corte di cassazione, ove debba accertare se il giudice di merito sia incorso in error in procedendo, è anche giudice del fatto, con il potere di esaminare direttamente gli atti di causa, il che peraltro implica che, “non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, nè potendo la Corte ricercare e verificare autonomamente i documenti interessati dall’accertamento”, parte ricorrente in primo

luogo è tenuta ad indicare “gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame”, oltre alla illustrazione della corretta soluzione rispetto a quella erronea praticata dai giudici di merito, in modo da consentire alla Corte investita della questione, secondo la prospettazione alternativa del ricorrente, la verifica della sua esistenza e l’emenda dell’errore denunciato (Cass. s.u. 20181/2019);

4. sul punto, il motivo è del tutto generico, facendo sbrigativo riferimento il ricorso ad una trattazione del profilo avvenuta “negli atti di causa”, così non dando modo alla Corte di censire l’eventuale errore del tribunale; risulta dunque non rispettato il principio per cui, “qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio” (Cass. 20694/2018, 15430/2018); nè i limiti della funzione illustrativa assegnata alle memorie ex art. 378 c.p.c. consentono alcuna supplenza (Cass. 30760/2018);

5. stante il tenore di pronuncia reiettiva, il quarto motivo è assorbito; alla inammissibilità del ricorso consegue, oltre alla condanna alle spese regolata secondo il principio della soccombenza, la dichiarazione della sussistenza dei presupposti per il versamento del cd. raddoppio del contributo unificato, come meglio indicato nel dispositivo.

PQM

la Corte dichiara inammissibili i primi tre motivi di ricorso, assorbito il quarto; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità in Euro 3.100 (di cui Euro 100 per esborsi), oltre al 15% a forfait sui compensi e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello:dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 4 febbraio 2020

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