Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24229 del 29/11/2016

Cassazione civile sez. trib., 29/11/2016, (ud. 21/11/2016, dep. 29/11/2016), n.24229

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1122/2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COTTON CLUB SRL, in persona dell’Amm.re e legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA F. CONFALONIERI 5,

presso lo studio dell’avvocato EMANUELE COGLITORE, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIAGRAZIA BRUZZONE,

giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 235/2010 della COMM. TRIB. REG. di ANCONA,

depositata il 18/11/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/11/2016 dal Consigliere Dott. LUCIO LUCIOTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato COGLITORE che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’inammissibilità del 1^

motivo di ricorso e l’assorbimento dei restanti.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. L’Agenzia delle entrate, sulla scorta delle risultanze di un processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F. e notificato alla Cotton Club s.r.l. in data 14 ottobre 2004, emetteva avviso di accertamento nei confronti della predetta società accertando un maggior reddito di impresa ai fini IRES, un maggior valore della produzione ai fini IRAP ed un maggiore imponibile ai fini IVA in relazione all’anno di imposta 2004.

2. Il ricorso proposto dalla società contribuente avverso detto atto impositivo veniva parzialmente accolto dalla Commissione Tributaria Provinciale di Ancona, mentre la Commissione Tributaria Regionale delle Marche con sentenza n. 235 del 18 novembre 2010 annullava integralmente l’avviso di accertamento rigettando l’appello principale proposto dall’Agenzia delle entrate ma accogliendo quello incidentale della società.

2.1. Sostenevano i giudici di appello, per quanto ancora di interesse nel presente giudizio, che, in relazione alla ripresa a tassazione dell’importo di Euro 101.224,50, pari al valore dei beni ceduti dalla società ai propri rappresentanti in conto campionario ed utilizzati a fini pubblicitari, la contribuente aveva correttamente inserito nel conto economico il valore iniziale e quello finale dei predetti beni (quest’ultimo quantificato nel conto economico dell’anno 2003, in Euro 38.136,00) in ragione del deprezzamento subito dai medesimi, e che per di più non era comprensibile la ragione per la quale l’Ufficio finanziario aveva effettuato la rilevazione alla data del 7 luglio 2004 anzichè al 31 dicembre.

3. Avverso tale statuizione ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate sulla base di due motivi cui resiste l’intimata con controricorso.

4. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente del 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata per avere la CTR omesso di motivare sull’avvenuto assolvimento, da parte della contribuente, dell’onere di provare l’avvenuta distruzione della merce asseritamente deteriorata e, specificamente, del valore probatorio delle bolle di smaltimento dei beni che componevano il campionario consegnato ai rappresentanti.

1.1. Il motivo è inammissibile.

1.2. Il giudice di appello ha annullato la ripresa a tassazione dell’importo di Euro 101.224,50, parametrato al valore dei beni ceduti dalla società contribuente ai propri rappresentanti in conto campionario e da questi utilizzati a fini pubblicitari, sul presupposto che tali beni, proprio per tale funzione dimostrativa, avevano subito un inevitabile deterioramento che ne aveva determinato il considerevole deprezzamento attestato dal valore (di Euro 28.040,00 appena) indicato nel conto economico dell’esercizio quale valore finale.

Pertanto, la censura in esame, con cui la ricorrente lamenta l’omessa motivazione sul mancato assolvimento da parte della società contribuente dell’onere di provare l’avvenuta distruzione dei capi deteriorati e, comunque, che gli stessi erano ricompresi tra la merce genericamente descritta nelle bolle di smaltimento dei rifiuti come fallata o macchiata non adatta alla vendita, non coglie nel segno, atteso che la Commissione regionale ha ritenuto i beni consegnati in conto campionario deprezzati e non distrutti, di guisa che la contribuente non avrebbe dovuto provare tale ultima circostanza.

2. Deve ritenersi assorbito il secondo motivo di ricorso con cui l’Agenzia ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata laddove la CTR ritiene inspiegabile il motivo per cui l’Ufficio finanziario aveva effettuato la rilevazione delle rimanenze finali dei beni costituenti il campionario alla data del 7 luglio 2004 anzichè a quella del successivo 31 dicembre, non essendosi la Commissione di appello avveduta, a detta della ricorrente, del fatto che il rilievo dell’Ufficio si fondava su una verifica della G.d.F. iniziata proprio il 7 luglio 2004.

3. Conclusivamente il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali liquidate come in dispositivo, nonchè al rimborso in favore della controricorrente delle spese forfettarie nella misura che si ritiene congruo indicare nel 15% del compenso, oltre accessori come per legge.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del primo motivo, assorbito il secondo, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 7.000,00, oltre spese forfettarie nella misura del 15% del compenso ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 21 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2016

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