Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24226 del 08/09/2021

Cassazione civile sez. II, 08/09/2021, (ud. 01/04/2021, dep. 08/09/2021), n.24226

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25116-2019 proposto da:

T.A., rappresentato e difeso dall’avv. ADRIANO DE LUNA, e

domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 17/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/04/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

T.A., cittandino (OMISSIS), aveva presentato una prima domanda di protezione internazionale, respinta con provvedimento amministrativo del 07.08.2017, poi confermato dal Tribunale di Ancona, che rigettava il relativo ricorso.

Successivamente il T. presentava domanda reiterata di protezione internazionale, allegando come nuovi elementi lo svolgimento di un’attività lavorativa sul territorio nazionale ed un certificato medico attestante uno stato depressivo. La Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Ancona dichiarava inammissibile tale domanda reiterata, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 29, comma 1, lett. b).

Avverso questa decisione T.A. proponeva ricorso innanzi al Tribunale di Ancona che, con il decreto oggi impugnato, respingeva la domanda.

Propone ricorso per la cassazione di tale decisione di rigetto T.A., affidandosi a due motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, ha depositato atto di costituzione ai fini della partecipazione all’udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 29 del D.Lgs. n. 25 del 2008 e della Direttiva 2013/32/CE, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché il Tribunale avere erroneamente considerato, quale unico “nuovo elemento” posto a fondamento della domanda reiterata, l’inizio di un’attività lavorativa, non valutando in alcun modo lo stato di depressione, legato alla notizia di nuovi episodi di persecuzione in danno dei suoi familiari, attestato da documentazione medica.

La censura è fondata.

Il Tribunale ha valutato solo la nuova attività lavorativa del ricorrente, ritenendola non sufficiente, ma ha omesso di considerare gli altri nuovi fatti oggettivamente allegati dal ricorrente. In particolare, il giudice di merito ha ritenuto che l’istante, proponendo domanda reiterata, non avesse fornito nuovi elementi, “… rappresentando la medesima storia, senza comunque fornire valide giustificazioni circa la pregressa incolpevole omissione…” (cfr. pag. 5 del decreto impugnato). In tale valutazione, tuttavia, non ha tenuto conto che, ai fini della proposizione di una domanda reiterata ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 29 non è necessario allegare una storia “diversa” da quella oggetto della prima domanda di protezione, rappresentando, anzi, questo un indice di scarsa credibilità generale del richiedente. L’art. 29 richiede, piuttosto, l’allegazione di “nuovi elementi”, potendo essi consistere sia “… in nuove prove dei medesimi fatti costitutivi, purché il richiedente non abbia potuto, senza sua colpa, produrle in precedenza in sede amministrativa o in quella giurisdizionale, mediante l’introduzione del procedimento di cui all’art. 35 D.Lgs. citato…” sia “… in nuovi fatti di persecuzione (o comunque in nuovi fatti costitutivi del diritto) successivi al rigetto della domanda da parte della competente commissione…” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 18440 del 09/07/2019, Rv. 654657; conf. Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 5089 del 28/02/2013, Rv. 625232).

Nel caso di specie, il ricorrente aveva allegato un certificato medico attestante la depressione nella quale egli era caduto a seguito della notizia dei nuovi fatti di persecuzione compiuti in danno dei suoi familiari. Di tale condizione soggettiva, oggettivamente rilevante ai fini della valutazione della condizione di vulnerabilità del richiedente, non vi è alcuna valutazione da parte del Tribunale, il quale ha totalmente omesso, sia di considerare lo stato di salute del richiedente, sia di accertare se nel Paese di origine egli potesse eventualmente beneficiare delle cure adeguate.

Sul punto, merita di essere ribadito il seguente principio: “In materia di concessione della protezione umanitaria, il giudice deve valutare il grave pregiudizio alla salute che può derivare al richiedente in caso di rientro nel Paese di origine, quando egli sia un soggetto vulnerabile, tra questi rientrando, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 2, comma 11, lett. h-bis, anche le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 18541 del 10/07/2019, Rv. 654661; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13088 del 15/05/2019, Rv. 653884).

Dall’accoglimento del primo motivo deriva l’assorbimento del secondo, con il quale il ricorrente aveva lamentato il mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

La decisione impugnata va di conseguenza cassata, in relazione alla censura accolta, e la causa rinviata al Tribunale di Ancona, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il primo motivo ricorso e dichiara assorbito il secondo. Cassa la decisione impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Ancona, in differente composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 1 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2021

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