Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24225 del 30/09/2019

Cassazione civile sez. III, 30/09/2019, (ud. 25/06/2019, dep. 30/09/2019), n.24225

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7981-2017 proposto da:

I.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI TORRE

SPACCATA 161, presso lo studio dell’avvocato ANNA CLAUDIA SALLUZZO,

rappresentato e difeso dagli avvocati DANIELE GUZZETTA, TOMMASO

VESPO;

– ricorrente –

contro

T.A., ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 393/2016 del TRIBUNALE di GELA, depositata il

11/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/06/2019 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI ANNA MARIA, che ha concluso per l’accoglimento del motivo 2 o

assorbimento del resto e cessazione della materia del contendere per

il resto;

udito l’Avvocato TOMMASO VESPO;

Fatto

RILEVATO

che:

I.G. pignorava la pensione erogata dall’INPS in favore di T.A.;

il terzo pignorato dichiarava che la pensione era già gravata da un precedente pignoramento e il giudice dell’esecuzione, ravvisando una dichiarazione negativa, dichiarava nullo il pignoramento;

contro questa ordinanza proponeva opposizione formale il creditore procedente e il tribunale, all’esito della riassunzione del giudizio per la fase di merito, accoglieva la domanda dichiarando la nullità della statuizione opposta, affermando il diritto dell’ I. a procedere esecutivamente in ordine alle somme spettanti per il trattamento pensionistico, e disponendo l’assegnazione di un quinto del rateo mensile netto dovuto dal terzo pignorato al debitore esecutato, fino alla concorrenza del credito precettato, subordinatamente, però, all’integrale soddisfazione del credito correlato al precedente pignoramento;

avverso questa decisione ha proposto ricorso per cassazione I.G. articolando quattro motivi;

resiste con controricorso l’INPS;

per parte ricorrente vi è stata costituzione di nuovo difensore senza revoca del precedente;

i difensori di parte ricorrente hanno depositato memoria dichiarando di rinunciare a tre dei quattro motivi articolati con l’originario ricorso.

Diritto

RILEVATO

che:

con il primo motivo si prospetta la violazione dell’art. 112 c.p.c., poichè il tribunale avrebbe pronunciato oltre la domanda statuendo sull’assegnazione delle somme e tenendo conto, al riguardo, del concorso dei pignoramenti così come della cessione risultata, senza che questi temi fossero stati sollevati e resi oggetto dell’opposizione;

con il secondo motivo si prospetta la violazione dell’art. 553 c.p.c., comma 1, poichè il tribunale avrebbe errato, nel disporre l’assegnazione nei limiti statuiti, sostituendosi alla competenza funzionale del giudice dell’esecuzione;

con il terzo motivo si prospetta la violazione del D.P.R. n. 180 del 1950, art. 2, comma 2, poichè il tribunale avrebbe errato nel disporre l’assegnazione all’esito dei pagamenti relativi al precedente pignoramento, poichè dovendosi leggere la suddetta norma in uno al disposto dell’art. 545 c.p.c., comma 4, in chiave costituzionalmente orientata, i vincoli per i due pignoramenti e le conseguenti assegnazioni, avrebbero dovuto concorrere nel limite della metà della pensione netta;

con il quarto motivo si prospetta la violazione del D.P.R. n. 180 del 1950, art. 68, comma 2, poichè il tribunale avrebbe errato omettendo di considerare che la suddetta norma indicava nella metà della pensione il limite pignorabile in caso di cessioni e, letteralmente, pluralità di pignoramenti;

parte ricorrente, subordinatamente al terzo e quarto motivo di ricorso, prospetta questioni di costituzionalità delle norme oggetto delle censure, con riferimento agli artt. 2,3,24,35,36,38 Cost., qualora interpretate nel senso di escludere il limite di pignorabilità sino alla metà della pensione ritenendolo operante solo relativamente alle cause di credito di cui al D.P.R. n. 180 del 1950, art. 2, comma 1.

Rilevato che:

preliminarmente deve rilevarsi – anche alla luce della proposta precedente alla camera di consiglio non partecipata da cui risulta esitata la ricordata ordinanza interlocutoria – che il ricorso è ammissibile;

come anche osservato nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, dal complessivo tenore del gravame possono enuclearsi, per quanto di utilità, i contenuti degli atti processuali rilevanti;

il secondo motivo di ricorso è fondato, mentre gli altri motivi sono stati oggetto di rinuncia ma sarebbero rimasti logicamente assorbiti;

questa Corte ha affermato, nel lontano precedente richiamato nella ricordata ordinanza interlocutoria, che nel processo esecutivo, il giudice delle opposizioni, proposte ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c., è chiamato a stabilire la sussistenza del diritto della parte istante a procedere all’esecuzione forzata in forza di un titolo idoneo ovvero la regolarità formale del titolo stesso, del precetto e dei singoli atti di esecuzione, sicchè egli deve limitarsi ad emettere una decisione che accolga o rigetti l’opposizione, senza poter sostituire con un proprio provvedimento l’atto opposto (Cass., 09/03/1967, n. 565);

l’arresto si occupò, in realtà, di escludere l’applicabilità, a; giudizi in parola, della disciplina afferente alle notificazioni dei mezzi di gravame, affermando che le opposizioni esecutive ex artt. 615 e 617 c.p.c., “non tendono, come le impugnazioni, alla sostituzione di una pronuncia che si assume non conforme a diritto, da emettersi dal giudice dell’impugnazione, bensì all’esame da compiersi nell’ambito particolare del processo che s’inserisce con carattere incidentale nelle varie fasi dell’esecuzione…; per cui il giudice di tali opposizioni deve limitarsi ad emettere una decisione che, puramente e semplicemente, accolga o rigetti l’opposizione, ma non ha il potere di sostituire con un proprio provvedimento l’atto contro il quale è diretta l’opposizione”;

la decisione del 1967 si allineava al previo e primo precedente di Cass., 20/09/1961, n. 2040, che, affrontando, appunto, il tema dei poteri decisori del giudice dell’opposizione agli atti esecutivi, li risolse nel quadro dei principi e delle elaborazioni afferenti alla contrapposizione tra mezzi di gravame e rimedi oppositivi in esame, a sua volta già rimarcata da questa Corte in plurimi precedenti: Cass., 14/04/1969, n. 891, Cass., 22/02/1969, n. 659, Cass., 06/10/1958, n. 3113 e Cass., 23/04/1957, n. 1373;

in questa cornice, si è condivisibilmente affermato che mentre il grado di giudizio costituito dall’impugnazione di merito tende alla rinnovazione della fase processuale conclusa con il provvedimento impugnato, che pertanto viene sostituito da una nuova pronuncia, le opposizioni esecutive tendono a ovviare al carattere unilaterale del processo esecutivo dando luogo, in questo senso, a una fase incidentale in cui la paritaria bilateralità viene ripristinata per le verifiche oggetto dei motivi;

sistematicamente, quindi, il processo esecutivo non può registrare un momento ulteriore nella differente sede di cognizione e non coattiva;

questo risponde alla logica per cui, emendato, se del caso, il vizio, il procedimento di esecuzione deve riprendere le modalità tipizzate dall’ordinamento davanti al giudice dell’esecuzione, che deve poter valutare, con tutto quanto risulta in quella sede fino a quel nuovo momento, la prosecuzione del processo a lui devoluto;

al contempo, se in sede oppositiva si potesse disporre quanto è rimesso perciò alla competenza funzionale del giudice dell’esecuzione, si finirebbe per sovrapporre il mezzo di contestazione afferente al momento propriamente cognitivo, con quello oppositivo rispetto al segmento – nel caso all’ordinanza del procedimento coattivo;

e, seppure si potessero scindere i profili, la pronuncia esecutiva adottata in sede di opposizione, a sua volta opponibile a norma dell’art. 617 c.p.c., sarebbe soggetta a un regime di legale notizia differente da quello voluto dall’ordinamento che da quella – realizzata attraverso la comunicazione integrale del provvedimento ex art. 45 disp. att. c.p.c. – fa discendere il meccanismo di efficientamento preposto alla stabilizzazione endoprocedimentale (si pensi al caso, diverso da quello in scrutinio ma parimenti frequente, in cui l’opposizione formale sia svolta dall’esecutato e il creditore procedente rimanga contumace: il nuovo provvedimento esecutivo non sarebbe soggetto alla comunicazione di cancelleria a quest’ultimo);

ed è utile, sul punto, ricordare che la nullità della comunicazione del provvedimento del giudice dell’esecuzione – avvenuta senza la trasmissione del testo integrale della decisione comprensivo del dispositivo e della motivazione, in violazione dell’art. 45 disp. att. c.p.c., comma 4, – è suscettibile di sanatoria per raggiungimento dello scopo anche ai fini del decorso del termine per la proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi, qualora l’oggetto della comunicazione sia sufficiente a fondare in capo al destinatario una conoscenza di fatto della circostanza che è venuto a giuridica esistenza un provvedimento del giudice dell’esecuzione potenzialmente pregiudizievole: ciò in coerenza con la differente natura dell’opposizione in parola rispetto a quella propria delle impugnazioni (cfr. Cass., 03/03/2018, n. 5172, specie punto 13, la cui motivazione richiama ampia giurisprudenza e precisa che, in tal caso, è onere del destinatario, nonostante l’incompletezza della comunicazione, attivarsi per prendere utile e piena conoscenza dell’atto per valutare se e per quali ragioni proporre tempestivamente l’opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c., ovvero, alternativamente, incombe all’opponente dimostrare l’inidoneità in concreto della ricevuta comunicazione ai fini dell’estrinsecazione, nei predetti termini, del suo diritto di difesa);

queste distonie inducono a condividere la nomofilachia sinora mai smentita e, anzi, la conclusione è compiutamente rafforzata dall’affermazione legislativa, di recente chiarita nei suoi effetti, dell’inderogabile bifasicità delle opposizioni esecutive (Cass., 11/10/2018, n. 25170), che conferma la netta distinzione tra il ruolo di giudice dell’esecuzione e quello di giudice istruttore del giudizio oppositivo;

così come ulteriore conferma si trae dal disposto dell’art. 186 bis disp. att. c.p.c., finalizzato a escludere la coincidenza fra i magistrati persone fisiche che debbano trattare le due fasi, sommaria e ordinaria, del procedimento di opposizione agli atti esecutivi (su cui, di recente, v. Cass., 22/10/2018, n. 26551);

la conclusione qui raggiunta si trova peraltro ribadita in precedenti anche più recenti di quelli sopra ricordati, nei quali è stata rimarcata la natura esclusivamente rescindente dell’opposizione formale (Cass., 28/09/2018, n. 23482, che in motivazione richiama ulteriori arresti in tal senso tra il 2002 e il 2015);

ne deriva la cassazione senza rinvio della sentenza gravata nella parte in cui non si è limitata a pronunciare la nullità dell’ordinanza esecutiva opposta; spese secondo soccombenza quanto all’INPS;

compensa le spese quanto all’intimato T. in ragione della sua posizione processuale recessiva.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso per quanto di ragione e cassa senza rinvio il capo della decisione impugnata che ha disposto l’assegnazione. Condanna parte controricorrente INPS alla rifusione delle spese processuali di parte ricorrente liquidate in Euro 2.200,00 oltre a Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15 per cento di spese forfettarie oltre accessori legali. Compensa le spese processuali con riguardo alla posizione dell’intimato T..

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019

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