Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24222 del 02/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 02/11/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 02/11/2020), n.24222

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18014/2013 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore Generale pro tempore,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

con domicilio in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

Arcadia Gruppo Edile S.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa in appello dal Dott. Gabriele Zolfo;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Toscana, n. 62/5/12, depositata il 29 maggio 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 giugno

2020 dal Consigliere Michele Cataldi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. L’Agenzia delle Entrate ha eseguito, nei confronti della Arcadia Gruppo Edile S.r.l., una verifica fiscale relativa all’anno d’imposta 2005, confluita nel processo verbale di constatazione del 14 febbraio 2008, dalla quale sono emersi:

a) costi non di competenza ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109 per un ammontare complessivo di Euro 49.698,03;

b) costi non inerenti ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109 per un ammontare complessivo di Euro 8.538,87;

c) costi non deducibili in applicazione delle disposizioni di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 102 relativi a:

i) Indebite deduzioni di canoni di leasing;

ii) Indebite imputazioni di importi per macro-canoni;

d) ricavi non dichiarati, verificati con metodo analitico sulla base delle risultanze contabili della società, con recupero a tassazione dell’importo di Euro 350.000,00.

Sulla base del processo verbale di constatazione l’Ufficio ha quindi notificato alla società verificata un avviso di accertamento, in materia di Ires, Iva ed Irap, con il quale ha recuperato le maggiori imposte dovute, oltre agli interessi ed alle sanzioni.

3. La contribuente ha impugnato l’avviso d’accertamento dinnanzi alla Commissione tributaria provinciale di Pistoia, che ha integralmente accolto il ricorso.

6. L’ufficio ha allora impugnato la sentenza di primo grado dinnanzi alta Commissione tributaria regionale della Toscana che, con la sentenza n. 62/5/12, depositata il 29 maggio 2012, ha respinto l’appello erariale.

9. L’ufficio ha infine proposto ricorso per la cassazione della sentenza d’appello, affidandolo a cinque motivi.

10. La contribuente è restata intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo l’Ufficio lamenta, con riguardo ai rilievi fiscali concernenti costi non di competenza per l’anno d’imposta 2005, ma del 2004 o di anni d’imposta ancora precedenti, la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109 e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 14 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il giudice a quo ritenuto che, differendo il criterio della competenza civilistica da quello della competenza fiscale, l’osservanza della prima avrebbe comportato l’iscrizione, nella contabilità sociale e nel bilancio di esercizio del 2004 della contribuente, di accantonamenti che tuttavia, non presentando al momento della redazione del bilancio l’attributo della certezza, costituivano componenti negativi di reddito privi di rilevanza fiscale nello stesso anno d’imposta, ed erano invece divenuti rilevanti nell’anno d’imposta 2005, oggetto dell’accertamento.

Rileva infatti l’Ufficio che è vero che, in ambito civilistico, il requisito della certezza ai fini della determinazione del principio di competenza è temporalmente riferito al momento dell’approvazione del bilancio, che interviene di regola entro il 30 aprile dell’anno successivo all’esercizio di riferimento; mentre, dal punto di vista fiscale, il termine della valutazione della competenza è quello collegato alla presentazione della dichiarazione fiscale, che avviene in data successiva all’approvazione del bilancio. Tuttavia, tale scollamento cronologico deve essere ricondotto ad unità sulla base al disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14 che consente alle società e agli enti, il cui bilancio o rendiconto è soggetto per legge o per statuto all’approvazione dell’assemblea o di altri organi, di effettuare nelle scritture contabili gli aggiornamenti consequenziali alla approvazione stessa fino al termine per la presentazione delle dichiarazioni.

2. Con il secondo motivo, sempre in riferimento ai rilievi fiscali concernenti costi non di competenza per l’anno 2005, l’Ufficio lamenta l’insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis, non avendo il giudice a quo – pur a fronte di plurimi e differenziati rilievi relativi ai singoli costi ritenuti dall’Amministrazione non di competenza fiscale dell’anno accertato-argomentato altro che “l’operato della società contribuente appare legittimo”.

2.1. I primi due motivi, strettamente connessi, devono essere

trattati congiuntamente e sono fondati.

Infatti, come già enunciato da questa Corte, “in tema di determinazione del reddito d’impresa, la regola, dettata dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora art. 109), comma 1, e prima ancora dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 74, comma 1, – secondo cui i costi e gli altri oneri concorrono a formare il reddito dell’esercizio di competenza a meno che la loro esistenza o il loro ammontare non sia ancora determinabile in modo oggettivo, nel qual caso vanno calcolati nel periodo d’imposta in cui si verificano tali condizioni -, mira contemporaneamente a salvaguardare tanto la necessità di computare tutte le componenti nell’esercizio di competenza che l’esigenza di non addossare ai contribuenti un onere troppo difficile da rispettare e va interpretata nel senso che il dovere di conteggiarle nell’anno di riferimento si arresta soltanto di fronte a quei ricavi e a quei costi che non siano ancora noti all’atto della determinazione del reddito, e cioè al momento della redazione e presentazione della dichiarazione. In tal senso depone anche la correlativa disposizione di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 14, comma 3, – che consente alle società ed agli enti il cui bilancio dev’essere approvato, per legge o per statuto, da un’assemblea o da altri organi, di inserire nelle scritture contabili tutti gli aggiornamenti consequenziali all’approvazione fino al termine per la presentazione della dichiarazione -, altamente significativa anche perchè poi estesa ad ogni soggetto in regime di contabilità semplificata (D.L. 2 marzo 1989, n. 69, art. 9, comma 1, lett. b, convertito dalla L. 27 aprile 1989, n. 154), e, soprattutto, in linea con la direttiva CEE 18/7/1978, secondo la quale occorre tener conto di tutte le perdite e i rischi, anche se conosciuti soltanto fra la data di chiusura del bilancio ed il giorno della sua compilazione (v. Cass. 27/02/2002, n. 2892)” (Cass., 13/09/2017, n. 21239, in motivazione, ex plurimis).

Non ha fatto buon governo dei principi espressi da tale orientamento giurisprudenziale, cui si intende dare continuità, la sentenza impugnata, nella parte in cui, arrestandosi alla constatazione della non coincidente scadenza temporale tra i termini per l’approvazione del bilancio d’esercizio e la presentazione della dichiarazione dei redditi, ha ritenuto sostanzialmente, ai fini fiscali, irrilevante la seconda scadenza e (nonostante l’allegazione ed il supporto istruttorio proveniente dall’Ufficio, risultante dal ricorso, autosufficiente, per il quale si procede) non ha accertato se, nel caso di specie, le spese da cui derivano i costi imputati all’anno d’imposta 2005 fossero in realtà già certe e precise, quanto meno al momento al momento della redazione e presentazione della relativa dichiarazione fiscale, con riguardo all’anno d’imposta 2004 o ad anni precedenti.

Inoltre, sotto il profilo della censurata carenza motivazionale, la sentenza impugnata, con l’apodittica attribuzione della patente di legittimità all’operato fiscale della contribuente, si è di fatto totalmente sottratta al dovere di esplicitare, con riferimento a ciascuno dei singoli dettagliati rilievi in tema di competenza, le circostanze fattuali ed i criteri della contestata imputazione cronologica dei costi in questione all’anno d’imposta sub iudice, dati che sotto il profilo tributario era invece indispensabile accertare, finanche a prescindere dalla questione della discrasia tra competenza civilistica e fiscale.

3. Con il terzo motivo l’Ufficio lamenta, con riguardo ai rilievi fiscali concernenti costi non inerenti, l’insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione applicabile ratione temporis, per non avere il giudice a quo considerato che, contrariamente a quanto esposto in motivazione, l’Amministrazione avesse puntualmente, tanto nel processo verbale di constatazione, quanto nel ricorso in appello, contestato specificatamente quanto dichiarato dal contribuente in sede di dichiarazione dei redditi, e per avere, comunque, la CTR, sulla medesima questione, reso una motivazione criptica.

Il motivo è fondato.

Infatti, pur a fronte delle ampie ed analitiche deduzioni dell’Ufficio (in gran parte trascritte nel ricorso, e comunque in esso richiamate), la CTR ha reso una motivazione che, pur concretizzandosi in un segno grafico, risulta meramente apparente e sostanzialmente incomprensibile, nel riferimento astratto ad una “dichiarazione in atti” ed al “contenuto” dei costi, e ad una mancata “confutazione”, da parte dell’Amministrazione, che non è logicamente compatibile con la stessa emissione dell’accertamento controverso.

4. Con il quarto motivo l’Ufficio lamenta, con riguardo ai rilievi fiscali concernenti costi non deducibili per legge, l’omessa motivazione circa i fatti controversi e decisivi per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere il giudice a quo, a fronte di un motivo di gravame indirizzato al capo della pronuncia della CTP che annullava l’avviso di accertamento nella parte relativa ai costi non deducibili, reso alcuna motivazione, pur rigettando integralmente l’appello.

Il motivo è fondato, risultando (come da trascrizione dell’appello, in parte qua, nel ricorso per cui si procede) sia la proposizione del motivo d’appello relativo all’indeducibilità dei costi costituiti dai canoni di leasing controversi; sia (dalla stessa sentenza impugnata), l’integrale rigetto dell’impugnazione di merito erariale, senza tuttavia alcuna motivazione attinente il rilievo in questione.

5. Con il quinto motivo l’Ufficio, con riguardo al rilievo fiscale concernente l’omessa dichiarazione di ricavi, lamenta la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39; del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54; del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62-sexies; nonchè dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il giudice a quo operato un’indebita inversione dell’onere probatorio tra l’Ufficio e la contribuente, in materia di accertamento con il metodo c.d. analitico-induttivo.

Secondo le deduzioni dell’Ufficio, la contribuente aveva infatti omesso di dichiarare consistenti ricavi, come era emerso dalla mancata corrispondenza, tra i materiali acquistati e i prodotti commercializzati dalla stessa, dato che costituiva idoneo elemento presuntivo, tale da giustificare il rilievo controverso.

Il motivo è fondato.

Infatti, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, “deve ritenersi legittima, a mente del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 39, la rettifica induttiva del reddito d’impresa operata in presenza di contabilità formalmente regolare quando, sulla base di presunzioni dotate dei requisiti prescritti dall’art. 2729 c.c., comma 1, possa fondatamente ritenersi che l’entità del reddito dichiarato si ponga in evidente contrasto con il comune buon senso e con le regole basilari della ragionevolezza” (Cass. 1/05/2018, n. 13884).

E’ stato inoltre precisato che “In tema di accertamenti in rettifica ai fini IRPEF, gli uffici competenti sono autorizzati, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 e ss., ad avvalersi della “prova per presunzione”, la quale presuppone la possibilità logica di inferire, in modo non assiomatico, da un fatto noto e non controverso, il fatto da accertare, con conseguente onere della prova contraria a carico del contribuente il quale, ove intenda contestare l’efficacia presuntiva dei fatti addotti dall’ufficio a sostegno della propria pretesa, oppure sostenere l’esistenza di circostanze modificative o estintive dei medesimi, deve a sua volta dimostrare gli elementi sui quali le sue eccezioni si fondano (Cass. 12/10/2018, n. 25521).

Nel caso di specie, l’Ufficio ha rilevato, in sede di processo verbale di constatazione, incongruenze sia sul versante delle uscite degli articoli commercializzati, in quanto le stesse risultavano maggiori di quelle effettivamente fatturate dalla parte; sia sul versante degli acquisti, poichè gli stessi, in alcuni casi, risultavano inferiori rispetto alle quantità vendute.

A fronte di tali elementi indiziari, che legittimavano l’Ufficio alla rettifica del reddito dichiarato, era quindi onere della contribuente fornire la prova contraria relativamente ai ricavi non dichiarati, per cui ha errato il giudice a quo nell’addossare tale onere all’Amministrazione.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2020

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