Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24221 del 13/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 13/10/2017, (ud. 27/06/2017, dep.13/10/2017),  n. 24221

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16634-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, Cf. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE dello STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

B.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 493/67/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DI MILANO SEZIONE DISTACCATA di BRESCIA, depositata il

25/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/06/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON.

Disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del

Presidente e del Relatore.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza in data 14 settembre 2015 la Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione distaccata di Brescia, respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 161/2/13 della Commissione tributaria provinciale di Bergamo che aveva accolto il ricorso di B.M. contro il silenzio rifiuto opposto alla sua istanza di rimborso IRPEF 2001. La CtR osservava in particolare che era infondata la ragione del mancato rimborso opposta dall’Agenzia fiscale ossia il decorso del termine decadenziale di 48 mesi previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, dovendosi fissare il dies a quo di decorrenza dello stesso non alla data del versamento della ritenuta fiscale oggetto della lite (derivante dall’applicazione dell’aliquota piena sulla somma ricevuta per l'”incentivo all’esodo”), bensì al 12 aprile 2008, data nella quale era stata depositata l’ordinanza della Corte UE che fondava il credito di rimborso (aliquota dimezzata per parità di trattamento uomo/donna).

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo un motivo unico.

L’intimato non si è difeso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

In via preliminare, officiosamente, va rilevato il rituale perfezionamento della notifica dell’impugnazione per cassazione, essendo la stessa stata effettuata presso la parte personalmente, in quanto non più possibile quella presso il suo difensore domiciliatario di prime cure, poichè lo stesso risulta deceduto ancor prima della pronuncia della sentenza impugnata (v. nota avvocatura generale dello Stato in data 15 settembre 2016).

Con l’unico motivo dedotto – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – l’Agenzia fiscale ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38,commi 1 e 2, poichè la CTR ha ritenuto la tempestività dell’istanza di rimborso oggetto della lite, pur essendo stata la stessa proposta ben oltre i 48 mesi dal versamento della ritenuta fiscale correlativa.

La censura è fondata.

Va infatti ribadito che “Nell’ipotesi in cui un’imposta sia stata pagata sulla base di una norma successivamente dichiarata in contrasto con il diritto dell’Unione europea da una sentenza della Corte di giustizia, il termine di decadenza per l’esercizio del diritto al rimborso delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, decorre dalla data del versamento dell’imposta e non da quella, successiva, in cui è intervenuta la pronuncia, che ha sancito la contrarietà della stessa all’ordinamento comunitario” (Sez. 6 – 5, Sentenza n. 25268 del 27/11/2014, Rv. 633689 – 01).

Pacifico in fatto che l’istanza di rimborso in oggetto è stata proposta ben oltre il termine di 48 mesi dal versamento della ritenuta relativa, la sentenza impugnata è chiaramente difforme da tale principio di diritto. In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va dunque cassata e non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, il ricorso originario del contribuente va respinto.

Stante il recente consolidamento giurisprudenziale sulla questione di diritto trattata, le spese del giudizio di merito possono essere compensate.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta il ricorso originario del contribuente; compensa le spese del giudizio di merito; condanna B.M. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 700 oltre spese prenotate a debito.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2017

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