Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24220 del 02/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 02/11/2020, (ud. 11/04/2019, dep. 02/11/2020), n.24220

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

Fondazione E.N. P.A.M., Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza

dei Medici e degli Odontoiatri, in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale stesa

in calce al ricorso, dall’Avv. Claudio di Pietropaolo del Foro di

Roma, il quale ha indicato recapito PEC, ed elettivamente

domiciliata presso il suo studio, alla piazza Adriana n. 15 in Roma;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– resistente –

Avverso la sentenza n. 7474, pronunciata dalla Commissione Tributaria

Regionale di Roma il 2.12.2014 e pubblicata il 10.12.2014;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal

Consigliere Paolo Di Marzio.

La Corte osserva.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

l’Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza dei Medici e degli Odontoiatri, Fondazione Enpam, impugnava innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma il silenzio-rifiuto opposto dall’Agenzia delle Entrate relativamente all’istanza di rimborso dei crediti Irpeg ed Ilor, maturati rispettivamente con riferimento agli anni d’imposta 1986, 1996 e 1997.

In particolare, l’istante specificava di essere creditrice d’imposta Irpeg per Lire 214.117.000 (pari ad Euro 110.582,20), oltre interessi, come esposto nella dichiarazione dei redditi per l’anno 1986 con Modello Unico n. 760/87, nonchè di vantare un credito Ilor pari a Lire 9.092.219.000 (corrispondenti ad Euro 4.695.739,23), oltre interessi, come risultante nella dichiarazione dei redditi del 1997 e nel Modello Unico n. 760 bis/98.

L’istanza di rimborso veniva presentata, per la prima volta, con missiva inviata a mezzo telefax il giorno 14.11.2006. Successivamente veniva riproposta con raccomandata A/R del 14.04.2010, ed infine veniva reiterata, mediante posta elettronica non certificata, al competente centro operativo dell’Agenzia delle Entrate di Pescara in data 17.11.2010, senza tuttavia ottenere alcun riscontro.

Formatosi il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione finanziaria, la Fondazione proponeva ricorso innanzi alla CTP di Roma, domandando che fosse accertato e dichiarato il proprio diritto al rimborso e, conseguentemente, l’Ente impositore fosse condannato al pagamento degli importi richiesti.

Si costituiva nell’incardinato giudizio l’Agenzia delle Entrate, la quale eccepiva che i crediti vantati non trovavano riscontro nell’anagrafe tributaria;

inoltre, l’Enpam non aveva fornito la prova atta a dimostrare il fondamento della propria pretesa.

L’adito Collegio di primo grado riteneva che “a prescindere dalla idoneità di tali domande ai fini interruttivi della prescrizione (comunque non eccepita per tempo dall’Amministrazione finanziaria), la giurisprudenza della Corte di Cassazione (s. 633 del 18 gennaio, 2012, ma anche n. 2687/2007) ha stabilito che ai fini del recupero del credito di imposta non trovano applicazione i termini di decadenza di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, poichè il diritto al recupero del credito d’imposta è sottoposto all’ordinario termine di prescrizione decennale (che in questa sede, si ripete, non è stata eccepita tempestivamente), mentre dell’ammontare della pretesa restitutoria del contribuente l’Amministrazione è resa edotta mediante la dichiarazione dei conteggi effettuati dal contribuente nella dichiarazione” (ric. p. 6). Pertanto, con sentenza n. 367 del 19.09.2013, la CTP accoglieva il ricorso della contribuente, annullando il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione Tributaria, e dichiarava il diritto della istante al rimborso del credito d’imposta, così come quantificato nelle dichiarazioni allegate, con decorrenza degli interessi dalla data di presentazione della relativa domanda sino all’effettivo saldo. L’Ufficio interponeva appello parziale, censurando il non corretto operato dei giudici di primo grado per due ordini di motivi. Rilevava, in primo luogo, che ai fini della formazione del silenzio-rifiuto, non si poteva prescindere dalla proposizione di una formale istanza di rimborso, sebbene il preteso credito risultasse esposto nella dichiarazione annuale dei redditi. In secondo luogo, non poteva prescindersi neppure dalla idoneità della domanda di rimborso a comportare la formazione del silenzio rifiuto da parte dell’Amministrazione finanziaria. In particolare, l’appellante asseriva che nel caso di specie, poichè delle tre domande di rimborso dell’imposta Ilor solo quella del 14.04.2010, spedita con raccomandata A/R, sarebbe stata idonea a far maturare il silenzio rifiuto, l’istanza doveva ritenersi intempestiva per decorrenza del termine di prescrizione decennale, e il ricorso introduttivo della contribuente doveva essere dichiarato inammissibile, perchè instaurato oltre il termine di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21. Con riguardo al credito Irpeg, poi, riteneva che detto importo, pur se dovuto in forza della L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 58, andasse comunque compensato con i carichi erariali dell’Enpam, ammontati a 45 milioni di Euro.

La CTR accoglieva in parte la tesi dell’appellante e riformava l’impugnata sentenza, dichiarando dovuto il solo rimborso del credito Irpeg. Avverso la decisione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio ha proposto ricorso per cassazione la Fondazione Enpam, affidandosi a cinque motivi di impugnazione. L’Agenzia delle Entrate ha depositato atto di costituzione tardiva, invocando il disposto di cui all’art. 370 c.p.c., comma 1, al solo fine di poter partecipare all’eventuale udienza di discussione della causa. La ricorrente ha pure depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – La contribuente contesta mediante il suo primo motivo di impugnazione, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, nonchè degli artt. 112 e 113 c.p.c., per avere l’impugnata CTR erroneamente applicato alla fattispecie in esame le decadenze previste dal citato art. 38.

1.2. – Con il secondo motivo d’impugnazione, che indica di proporre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la ricorrente censura la violazione o falsa applicazione dell’art. 2938 c.c., nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23 e art. 57, comma 2, e dell’art. 345 c.p.c., comma 2, per avere il giudice dell’appello accolto l’eccezione di prescrizione “che non poteva essere più sollevata dall’Agenzia delle Entrate nel giudizio di secondo grado” (ric. p. 16).

1.3. – Mediante il terzo motivo di ricorso la Fondazione si duole, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, della violazione o falsa applicazione dell’art. 2943 e ss c.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, nonchè dell’art. 345 c.p.c., comma 2, e dell’art. 115 c.p.c., in quanto il Collegio di secondo grado “da una parte non ha respinto la tardiva eccezione dell’Agenzia delle Entrate che aveva ritenuto fax del 14 novembre 2006 atto inidoneo ad interrompere la prescrizione e, dall’altra, conseguentemente, ha riformato la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma ritenendo prescritto il credito Ilor legittimamente richiesto a rimborso dalla Fondazione sull’errato presupposto che detto fax non fosse mai stato ricevuto dall’Ufficio” (ric. p. 19), invece di considerarlo come una prova ormai acquisita al giudizio perchè non contestata dall’Ufficio nei modi previsti dalla legge e, dunque, dovendo ritenersi accertata e provata anche la ricezione da parte dell’Agenzia del documento, e la sua idoneità ad interrompere la prescrizione, non competendo alla impugnata CTR alcun controllo sul fatto non contestato.

1.4. – L’Enpam, con il quarto motivo d’impugnazione, lamenta poi la violazione o falsa applicazione dell’art. 111 Cost., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art.36, dell’art. 118 disp. att. c.p.c., degli artt. 329 e 132c.p.c., dell’art. 113 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per non avere il giudice di secondo grado “esaminato l’eccezione di giudicato sollevata dalla Fondazione Enpam mentre avrebbe dovuto rilevare, anche d’ufficio, che l’Agenzia delle Entrate non aveva specificamente impugnato la pronuncia sulla eccezione di prescrizione e, quindi, che su tale pronuncia si era formato il giudicato interno” (ric. p. 20).

1.5. – Con il suo quinto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, l’impugnante domanda la cassazione della sentenza d’appello per violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 345 c.p.c., comma 2, nonchè degli artt. 1242 e 1243 c.c., atteso che la CTR ha “illegittimamente compensato d’ufficio il certo credito Irpeg della Fondazione con i presunti debiti erariali dell’istante, senza che fosse stata proposta alcuna eccezione dell’Ufficio, eccezione che, se proposta, doveva considerarsi in ogni caso non solo tardiva ed irrituale ma anche contestata, in quanto il credito vantato dalla amministrazione finanziaria non aveva alcun requisito di certezza e di liquidità”.

2.1. – Mediante il primo motivo di ricorso la contribuente contesta la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la Commissione Tributaria Regionale impugnata per aver ritenuto applicabile, al fine di poter far valere il proprio diritto al rimborso da parte della fondazione, il termine decadenziale di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38.

Le valutazioni operate in merito dalla CTR non appaiono invero facilmente intellegibili, perchè non risulta agevole comprendere quando il giudice dell’appello intenda riferire il suo argomentare all’istituto della decadenza e quando invece intenda operare riferimento alla prescrizione del credito. La ricorrente richiama peraltro le espressioni del giudice impugnato che opera riferimento ad una “norma di decadenza”, nonchè alla “decadenza dall’esercizio di un potere”, parole che effettivamente possono indurre in equivoco, anche perchè la CTR prende le mosse dal riassunto delle valutazioni espresse dalla CTP, la quale aveva escluso l’applicazione dei “termini decadenziali di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38” e procede quindi alla critica di quella decisione.

Esigenze di chiarezza impongono pertanto di esaminare il profilo.

La CTR ha ritenuto che “contrariamente a quanto deciso dai primi giudici, l’istanza validamente formulata è stata presentata in data 14/4/2010, a mezzo raccomandata A/R, poi reiterata a mezzo e-mail in data Dicembre dello stesso anno ed in conseguenza l’istanza presentata dalla Fondazione è intempestiva poichè inoltrata oltre il termine decennale formatosi al momento della presentazione del Modello 760/98” e, posta l’inidoneità probatoria del fax del 14.11.2006 ai fini interruttivi della prescrizione e dell’instaurazione di un valido giudizio, “nel caso avendo riportato il credito ILOR nella Dichiarazione Modello Unico 1997/98 ed avendo presentato valida domanda di rimborso in data 14/4/2010, tale domanda è inidonea e non si può, pertanto, procedere al rimborso dell’ILOR” (sent. CTR, p. 3).

Tale assunto non è condivisibile, se riferito alla decadenza dalla facoltà di richiedere il rimborso, e si valuterà in seguito in ordine alla prescrizione. Tanto premesso, il termine per la utile proposizione di un’istanza di rimborso, in relazione ai tributi Irpeg o Ilor, è fissato dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38.

Occorre però ancora osservare che, nel caso di specie, non viene affatto in rilievo un problema di decadenza per il decorso del termine utile ai fini della proposizione dell’istanza di rimborso, perchè la contribuente aveva richiesto il rimborso nelle stesse dichiarazioni annuali dei redditi (v. allegati 2, 3 e 4), un dato che risulta, peraltro, incontestato.

Non si verifica, invero, la decadenza laddove il credito d’imposta sia stato esposto in dichiarazione. In tal senso trovano applicazione i principi indicati da questa Corte, la quale, pronunciandosi a Sezioni Unite, ha affermato che “in tema di imposte sui redditi, qualora il contribuente abbia evidenziato nella dichiarazione un credito d’imposta, non trova applicazione, ai fini del rimborso del relativo importo, il termine di decadenza previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, non occorrendo la presentazione di un’apposita istanza, in quanto l’Amministrazione, resa edotta con la dichiarazione dei conteggi effettuati dal contribuente, è posta in condizione di conoscere la pretesa creditoria. La relativa azione è pertanto sottoposta all’ordinario termine di prescrizione decennale, sulla cuì decorrenza non incide nè il limite temporale stabilito per il controllo c.d. formale o cartolare delle dichiarazioni e la liquidazione delle somme dovute, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, nè il limite alla proponibilità della relativa eccezione, posto dalla L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, comma 58: la prima disposizione è volta infatti ad imporre un obbligo all’Amministrazione finanziaria, senza stabilire un limite all’esercizio dei diritti del contribuente, mentre la seconda contiene un mero “invito” rivolto agli uffici, non suscettibile di applicazione diretta da parte del giudice”, Cass. sez. U, sent. 07.02.2007, n. 2687 (ex multis, cfr. anche Cass. sez. VI – V, ord. 22.01.2018, n. 1543; Cass. sez. V, sent. 15.10.2014, n. 21734; Cass. sez. VI – V, sent. 04.11.2014, n. 23506), occorrendo, invece, un’apposita istanza, D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 38, solo in caso di un importo superiore rispetto a quello già indicato nella dichiarazione dei redditi, da presentare “nel termine perentorio prescritto, decorrente dalla data in cui il versamento o la ritenuta sono stati effettuatì (cfr. Cass. sez. V, sent. 25.10.2017, n. 25256).

Nei limiti indicati, pertanto, il motivo di ricorso appare fondato e deve essere accolto.

2.2. – 2.3. – 2.4. Con il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, la fondazione impugnante critica, in ordine ai profili della violazione di legge e della nullità della sentenza, la decisione della CTR per aver ritenuto di accogliere la tardiva eccezione proposta dall’Amministrazione finanziaria in materia di prescrizione del diritto della contribuente di conseguire il domandato rimborso.

In particolare, la contribuente afferma l’illegittimità della impugnata sentenza laddove è stata ritenuta accertata la maturazione della prescrizione del credito d’imposta Ilor vantato dalla Fondazione. Rileva la ricorrente che “il Giudice d’appello ha ritenuto atto non idoneo ad interrompere la prescrizione il fax del 14 novembre 2006 inviato dalla Fondazione Enpam, accogliendo sul punto la tardiva eccezione sollevata nell’atto d’impugnazione dall’Agenzia delle Entrate” (ric. p. 14). Specifica, quindi, che tale eccezione era stata proposta dall’Ufficio, per la prima volta, soltanto nel grado d’appello, essendosi limitata la resistente a contestare, nella comparsa di costituzione depositata innanzi alla Commissione di primo grado, “la sola prova dell’esistenza del credito Ilor richiesto a rimborso ma non anche la relativa prescrizione” (ric. p. 15). Precisa inoltre la contribuente che, con atto di controdeduzioni depositato ai fini della costituzione in appello, la Fondazione Enpam aveva eccepito che l’Agenzia delle Entrate non aveva specificamente impugnato con atto di appello il capo della sentenza emessa dalla CTP in cui veniva accertata la decadenza dell’Ufficio dalla possibilità di sollevare l’eccezione di prescrizione (atto controd. in appello Enpam, allegato 12, p. 10, ultimo paragrafo). In definitiva l’Amministrazione, a dire della contribuente, sarebbe decaduta dalla facoltà di proporre la contestazione, in quanto avrebbe dovuto sollevare l’eccezione di prescrizione nel suo primo atto difensivo, ovvero nella memoria di costituzione in primo grado e nei termini di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23, trattandosi di eccezione in senso stretto non rilevabile d’ufficio a norma dell’art. 2938 c.c.

La questione della prescrizione del credito di rimborso invocato dalla contribuente, nel presente giudizio, appare pacifico che sia stata sollevata dall’Amministrazione finanziaria nel secondo grado del giudizio. Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, detta specifici limiti alla proposizione di domande ed eccezioni nel giudizio tributario di appello, prevedendo che “2. Non possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio”. Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, consente, dunque, di sottoporre alla cognizione del giudice di secondo grado le eccezioni rilevabili d’ufficio, precludendo, invece, la proposizione di eccezioni nuove. Risulta quindi necessario definire quali siano le eccezioni rilevabili d’ufficio, operando una distinzione fra eccezioni processuali o di rito (proponibili in sede di gravame, ancorchè non proposte in primo grado, in quanto eccezioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio) ed eccezioni sostanziali o di merito (non proponibili direttamente in sede di appello, in ragione del fatto che esse comportano un allargamento dell’oggetto del giudizio, thema decidendum), con la conseguente necessità per il giudice di conoscere fatti nuovi rispetto a quelli prospettati in origine.

Nella giurisprudenza di legittimità è principio ormai pacifico che il divieto dello ius novorum si riferisce alle sole eccezioni in senso proprio, non anche alle eccezioni improprie, ovvero alle semplici argomentazioni difensive poste a fondamento della domanda e dirette a sollecitare il rilievo d’ufficio da parte del giudice dell’inesistenza dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio, o alle prospettazioni volte a contestare la fondatezza di una eccezione già formulata (cfr. Cass. sez. V, sent. 23.4.2002, n. 5895; Cass. sez. V, 12.8.2004, n. 15546).

La distinzione tra eccezioni improprie (in senso lato) ed eccezioni in senso proprio (oppure in senso stretto) si fonda, sostanzialmente, sulla rilevabilità d’ufficio o meno delle medesime. La norma processuale fondamentale, cui fare riferimento in materia, è l’art. 112 c.p.c., seconda parte, in virtù del quale il giudice “non può pronunciare d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti”. Dalla medesima norma, si ricava a contrario la regola generale della rilevabilità d’ufficio delle eccezioni per le quali non sia necessaria la proposizione di parte.

A favore di questa interpretazione milita, altresì, la giurisprudenza formatasi in seno a questa Corte, la quale ha già avuto l’occasione di chiarire che “il divieto di nuove eccezioni in appello, introdotto per il giudizio contenzioso ordinario con la L. 26 novembre 1990, n. 353, tramite la riforma dell’art. 345 c.p.c., e successivamente esteso al giudizio tributario dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, si riferisce esclusivamente alle eccezioni in senso stretto o proprio, rappresentate da quelle ragioni delle parti sulle quali il giudice non può esprimersi se manchi l’allegazione ad opera delle stesse, con la richiesta di pronunciarsi al riguardo. Detto divieto non può mai riguardare, pertanto, i fatti e le argomentazioni posti dalle parti medesime a fondamento della domanda, che costituiscono oggetto di accertamento, esame e valutazione da parte del giudice di secondo grado, il quale, per effetto dell’impugnazione, deve a sua volta pronunciarsi sulla domanda accolta dal primo giudice, riesaminando perciò fatti, allegazioni probatorie e argomentazioni giuridiche che rilevino per la decisione”, Cass. sez. VI-V, ord. 13.03.2013, n. 6391.

Tanto premesso, nel codice civile (oltre che in leggi speciali) sono espressamente individuate varie ipotesi di eccezioni proponibili soltanto dalla parte fra cui, stante il disposto di cui all’art. 2938 c.c., l’eccezione di prescrizione e, ai sensi dell’art. 2969 c.c., l’eccezione di decadenza, “salvo che, trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti, il giudice debba rilevare le cause d’improponibilità dell’azione”. L’eccezione di prescrizione non può quindi essere introdotta in grado di appello.

Nel caso di specie, non vi è prova che l’Erario abbia effettivamente sollevato la questione della prescrizione del credito tributario invocato da controparte tempestivamente, nel giudizio di primo grado ed entro i termini di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23, dovendo tenersi conto che “in tema di contenzioso tributario, non è causa di inammissibilità della costituzione in giudizio dell’amministrazione finanziaria, a norma del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 23, la genericità delle difese svolte e il mancato esercizio, nelle controdeduzioni, delle facoltà indicate nella citata disposizione, comma 3 (proposizione di eccezioni non rilevabili d’ufficio ed istanza per la chiamata di terzi in causa), producenti ale circostanza solo la decadenza della parte resistente dalla possibilità di esercitare successivamente le stesse facoltà”, Cass. sez. V, 13.5.2003, n. 7329. Invero, la proposizione dell’eccezione nel corso del primo grado del giudizio da parte dell’Ente impositore è stata specificamente contestata dall’odierna ricorrente, che ha pure segnalato come la tardività della costituzione dell’Amministrazione finanziaria le avrebbe comunque precluso la facoltà di proporre eccezioni non rilevabili d’ufficio. La stessa CTR dà atto in sentenza, nell’esposizione dei fatti rilevanti di causa, che innanzi alla CTP “l’Agenzia delle Entrate si è costituita in giudizio affermando che i crediti vantati non trovano riscontro nell’anagrafe tributaria e che, in ogni caso, il ricorrente non ha fornito prova degli stessi” (sent. CTR, p. 2), e poco dopo nel corpo della motivazione afferma genericamente che “l’Ufficio delle Entrate anche nel primo giudizio aveva eccepito l’intempestività della istanza” (sent. CTR, p. 3), senza chiarire quando l’avesse fatto e riferendosi, a quanto sembra, ad una contestazione relativa alla decadenza.

L’unico dato certo è quanto risulta dalla sentenza di primo grado della CTP di Roma, non contestata sul punto, la quale più volte ha sottolineato che la prescrizione non è stata eccepita nei termini di legge dall’Amministrazione. Scrive la CTP che “a prescindere dalla idoneità” delle domande di rimborso proposte dalla contribuente “ai fini interruttivi della prescrizione (comunque non eccepita per tempo dall’Amministrazione finanziaria)… il diritto al recupero del credito d’imposta è sottoposto all’ordinario termine di prescrizione decennale (che in questa sede, si ripete, non è stata eccepita tempestivamente” (ric. p. 6; sent. CTP, all. n. 10).

La norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, in definitiva, comporta la preclusione alla proposizione di eccezioni “nuove” e cioè di quelle eccezioni che si risolvano in “mutamento, in secondo grado, degli elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa” con conseguente ampliamento del thema decidendum, e se è vero che l’eccezione di prescrizione deve considerarsi come tale per espressa previsione legislativa, ne segue che, avuto riguardo all’oggetto del contendere, il presupposto indicato dalla CTR, secondo cui “il Fisco, in sede processuale, può eccepire che il contribuente ha presentato la richiesta di rimborso tardivamente nel giudizio di appello” (sent. CTR, p. 3), sul quale la Commissione Tributaria Regionale ha fondato il proprio convincimento, risulta errato, in quanto trascura di considerare che al giudice tributario dell’appello non è dato rilevare d’ufficio la prescrizione non precedentemente opposta, e che diversamente opinando, accogliendo la relativa eccezione, si consentirebbe all’Amministrazione appellante di introdurre, illegittimamente, in secondo grado elementi di indagine nuovi rispetto a quelli già introdotti nel giudizio con il ricorso introduttivo (cfr. Cass. sez. V, sent. 28.6.2016, n. 13331). In senso conforme questa Corte ha pure affermato che presentata tempestivamente l’istanza di rimborso, ovvero indicato il credito d’imposta in dichiarazione “la prescrizione dello stesso, derivante dalle regole generali e non prevista specificamente a favore dell’Amministrazione finanziaria, non è rilevabile d’ufficio, nè, di conseguenza, deducibile per la prima volta nel giudizio di legittimità ovvero in appello, ostandovi il disposto di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57”, Cass. sez. V, ord. 5.10.2018, n. 24478.

A ciò si aggiunga che, pur volendo ipotizzare che l’Agenzia delle Entrate abbia, nel corso di primo grado, sollevato una qualche eccezione di prescrizione, comunque questa sarebbe inammissibile in ragione della tardiva costituzione dell’Ufficio. Difatti, come rilevato da questa Corte – la quale ove sussista il sindacato su di un vizio di inosservanza di norme processuali, è per definizione giudice del fatto processuale, con piena possibilità di riscontrare negli atti rimessi alla Corte con il fascicolo d’ufficio e presenti nei fascicoli di parte, pure con esso rimessi o ritualmente depositati, l’intero ‘fatto processualè, con il solo limite di quanto da tali fascicoli risulti (cfr. Cass. sez. III, 8.6.2007, n. 13514) – nell’atto di controdeduzioni dell’Agenzia delle Entrate, depositato presso la CTP di Roma in data 20.10.2012, è possibile leggere che “la costituzione dell’Ufficio rispetto al termine previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23, comma 1, deve ritenersi con la dottrina dominante che il termine di che trattasi non sia stato stabilito a pena di decadenza, di guisa che è ammissibile la costituzione tardiva della parte resistente, fino alla prima udienza di discussione, ex art. 171 c.p.c., ferme le decadenze già verificatesi, allo scopo di svolgere Improprie difese, tenuto conto che le memorie possono essere depositate anche fino a dieci giorni liberi prima della data dell’udienza di trattazione” (alleg. n. 8 al ric.).

Ribadito, pertanto, che risulta indimostrata la proposizione tempestiva da parte dell’Ufficio dell’eccezione di prescrizione nel giudizio di primo grado, ed essendo previsto il divieto di legge alla proposizione, per la prima volta, della relativa questione in sede d’appello, ed, in ogni caso, in ipotesi di tardiva costituzione, ne discende il fondamento delle contestazioni proposte in questa sede, mediante il secondo motivo di ricorso, dalla contribuente.

Il terzo ed il quarto motivo di ricorso rimangono assorbiti.

2.5. – Mediante il quinto motivo di ricorso, la ricorrente Fondazione censura la valutazione operata dall’impugnata CTR, per aver dichiarato la compensazione del credito Irpeg da rimborsare con i carichi erariali pendenti della Fondazione, in assenza di specifica impugnazione sul punto e sulla base di quanto solo tardivamente allegato dall’Amministrazione finanziaria.

Afferma la contribuente che “la Fondazione (nell’atto di controdeduzioni depositato nel giudizio di appello) ha contestato l’esistenza dei presunti carichi erariali pendenti a suo carico ed asseritamente ammontanti, addirittura, ad Euro 45.000.000,00, proprio perchè il credito vantato dall’Agenzia delle Entrate era stato attestato da un ‘riassunto contabilè (vedi allegato 2 appello dell’Ufficio), privo di qualunque valore probatorio. L’elenco depositato dall’Ufficio, infatti, è una lista di cifre non supportate da alcun ruolo e/o altro documento” (ric. p. 22). Inoltre, la ricorrente lamenta che, pur a voler considerare l’espressione “la restituzione della sola imposta credito Irpeg avverrebbe a mezzo di compensazione”, utilizzata dall’Ente impositore nell’atto d’appello, come “formale eccezione di compensazione”, quest’ultima avrebbe dovuto comunque essere disattesa, in quanto introdotta solamente nel secondo grado del giudizio (ric. p. 21).

La doglianza risulta fondata atteso il principio generale, applicabile anche al processo tributario, enunciato dall’art. 1242 c.c., comma 1, il quale recita: “la compensazione estingue i due debiti dal giorno della loro coesistenza. Il giudice non può rilevarla d’ufficio”. Anche in questo caso, pertanto, ricorre l’ipotesi di un’eccezione non rilevabili d’ufficio dal giudice.

L’eccezione di compensazione costituisce, perciò, un’eccezione in senso proprio o stretto, come ripetutamente ribadito dalla ampiamente prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. sez. II, sent. 23.3.2006, n. 6532; Cass. sez. III, sent. 21.6.2002, n. 9059; Cass. sez. L, sent. 11.4.2001, n. 5444, Cass. sez. L, sent. 14.7.1997, n. 6391, Cass. sez. L, sent. 25.5.1995, n. 5757; contra, Cass. sez. VI-V, ord. 21.11.2016, n. 23587) e come tale, per le ragioni già illustrate (cfr. p. 9 s.), non solo non può essere rilevata d’ufficio, ma neppure l’Amministrazione finanziaria può utilmente proporla in grado di appello nel processo tributario, stante il disposto di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, art. 57. La CTR neppure ha tenuto conto, nel disporre la compensazione del credito Irpeg con i carichi erariali pendenti a carico dell’Enpam, del principio secondo cui “in materia tributaria… la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti, non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, di riscossione e di rimborso ed ogni deduzione è regolata da specifiche, inderogabili norme di legge”, Cass. sez. V, sent. 30.06.2006, n. 15123.

Il quinto motivo di lagnanza deve, quindi, essere anch’esso accolto.

In conseguenza, il primo, il secondo ed il quinto motivo di impugnazione devono essere accolti, assorbiti il terzo ed il quarto. L’impugnata sentenza deve essere cassata, con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria del Lazio, che procederà a nuovo giudizio uniformandosi ai principi innanzi esposti. Lo stesso giudice provvederà anche a disciplinare le spese di lite del giudizio di legittimità fra le parti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, il secondo ed il quinto motivo di ricorso proposto dalla Fondazione Enpam, in persona del legale rappresentante pro tempore, assorbiti il terzo ed il quarto motivo e, in relazione ai motivi accolti, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale di Roma che, in diversa composizione, procederà alla rinnovazione del giudizio, nel rispetto dei principi innanzi esposti, e provvederà anche a regolare le spese di lite del giudizio di cassazione fra le parti.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2020

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