Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24219 del 02/11/2020

Cassazione civile sez. II, 02/11/2020, (ud. 11/09/2020, dep. 02/11/2020), n.24219

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19420/2019 proposto da:

A.M.S., elettivamente domiciliato in Lecce via Manzoni

n. 1, presso lo studio dell’avv.to MARCO D’ANTONIO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

COMMISSIONE TERRITORIALE LECCE RICONOSCIMENTO PROTEZIONE

INTERNAZIONALE;

– intimata –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE, depositato il 17/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11/09/2020 dal Consigliere Dott. LUCA MARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Lecce, con decreto pubblicato il 19 giugno 2019, respingeva il ricorso proposto da A.M.S., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. Il Tribunale riteneva non necessario procedere all’audizione del richiedente formulata in modo solo generico e senza l’indicazione di specifiche circostanze di fatto modificative o aggiuntive rispetto a quanto rappresentato dinanzi alla commissione territoriale.

Il Tribunale rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato in quanto i fatti narrati dal richiedente, oltre a non essere credibili, non attenevano a persecuzioni per motivi di razza, nazionalità, religione, opinioni politiche o appartenenza ad un gruppo sociale in quanto il conflitto narrato dal ricorrente aveva una connotazione meramente familiare.

Il Tribunale rigettava anche la domanda di protezione sussidiaria atteso che il racconto del richiedente non era credibile. In particolare, la vicenda presentava elementi di forte contraddittorietà ed era scarsamente circostanziati in particolare con riferimento al numero di testimoni del (OMISSIS) e alle circostanze dell’arresto del ricorrente nel quale sarebbe stata implicata anche la ragazza, nonchè la data di ricezione del presunto messaggio intimidatorio e, infine, l’assoluta carenza riguardo i debiti contratti.

L’inattendibilità del racconto effettuato dal richiedente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in assenza di ulteriori riscontri probatori, rendeva non accoglibile l’istanza di protezione non sussistendo elementi sui quali concretamente basare una decisione in senso positivo.

Quanto alla protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), doveva evidenziarsi che mancavano i presupposti connessi alla situazione di conflitto o instabilità interna e in ogni caso la situazione generale del paese non presentava una situazione generalizzata di violenza indiscriminata come risultante dalle fonti internazionali.

Con riferimento alla protezione umanitaria il Tribunale evidenziava che doveva confermarsi l’insussistenza di una condizione di vulnerabilità essendogli riconosciute le condizioni minime di sostentamento per un’esistenza dignitosa, pertanto, con riferimento al paese d’origine in comparazione con le condizioni di vita in Italia, non caratterizzate neppure da idonei e stabili mezzi di sussistenza, non sussisteva il pericolo, in caso di rimpatrio, della privazione dell’esercizio di un nucleo di diritti umani costitutivo dello statuto della dignità personale.

3. A.M.S. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di quattro motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno si è costituito con controricorso.

5. Il ricorrente in prossimità dell’udienza ha depositato memoria illustrativa con la quale ha insistito nelle proprie richieste.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza.e del procedimento per omesso esame circa un fatto decisivo.

Il richiedente aveva riferito di aver lasciato il primo paese per il rischio di essere ucciso dai genitori della ragazza che aveva tentato di sposare nonostante la loro opposizione. La censura attiene al rigetto della domanda per ottenere lo status di rifugiato perchè i fatti avevano una connotazione meramente familiare, mentre il tribunale di Lecce avrebbe dovuto accertare la possibilità di ottenere protezione da parte dello Stato in quanto in Pakistan le autorità non riescono a contrastare il fenomeno degli omicidi nei casi di matrimonio contratto contro il volere delle famiglie.

1.1 Il primo motivo è inammissibile.

Il ricorrente non censura il fatto che il Tribunale, oltre a rigettare la domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato sulla base del fatto che il racconto non riportava situazioni riconducibili al pericolo di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale, ha comunque ritenuto non credibile la vicenda narrata perchè scarsamente circostanziata, contraddittoria e generica. Tale giudizio di non credibilità seppure espresso con riferimento alla protezione sussidiaria, attinge anche alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato sicchè era onere del ricorrente censurare anche questa autonoma ratio decidendi.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza o del procedimento per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili.

Il Tribunale, pur dando conto espressamente delle gravi condizioni di pericolo esistenti in Pakistan mediante l’indicazione di una situazione di violenza generalizzata di conflitto armato, ha ritenuto che la zona di provenienza dell’istante sarebbe esclusa dalla zona di pericolo. Tale conclusione si è fondata unicamente sul sito (OMISSIS), omettendo di verificare tutte le variegate fonti indicate nel ricorso introduttivo totalmente ignorate nel provvedimento appellato.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14, mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto per il rischio di subire un danno grave e in ragione delle attuali condizioni socio-politiche del paese di origine.

Il Tribunale avrebbe errato nel ritenere non dimostrato il rischio diretto e personale richiesto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, non potendosi collegare la situazione di violenza all’interno del paese con il racconto dell’istante. Il ricorrente, invece, avrebbe meritato il riconoscimento della protezione sussidiaria, sussistendo gli atti persecutori o il pericolo di subire danni gravi e non offrendo il paese di provenienza alcuna protezione effettiva. Peraltro, anche in questo caso sarebbe contraddittoria l’affermazione circa la sussistenza di un conflitto armato e il diniego della protezione.

3. Il secondo e il terzo motivo di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.

Quanto alla mancata indicazione delle fonti privilegiate se, da un lato, questa Corte ha affermato che il giudice di merito, nel fare riferimento alle cd. fonti privilegiate di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve indicare la fonte in concreto utilizzata nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13449 del 17/05/2019, Rv. 653887) e che la predetta fonte dev’essere aggiornata alla data della decisione (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174), pur tuttavia ciò non può valere ad esonerare il ricorrente dall’onere di allegazione delle specifiche circostanze ritenute decisive ai fini del riconoscimento dell’invocata misura di protezione. Ne discende che il motivo di ricorso che mira a contrastare l’apprezzamento delle fonti condotto dal giudice di merito deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base la Corte territoriale ha deciso siano state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre e più aggiornate decisive fonti qualificate. Solo laddove dalla censura emerga la precisa dimostrazione di quanto precede, infatti, può ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni non veritiere smentite da altre più attuali.

Nella specie il ricorrente si limita a fare riferimento a non meglio specificate fonti indicate nel ricorso introduttivo che omette del tutto di indicare in violazione del canone di specificità, rendendo così inammissibile la censura.

La critica formulata nei motivi costituisce, dunque, una mera contrapposizione alla valutazione che il Tribunale ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito.

Come si è detto il Tribunale ha esaminato, richiamando varie fonti di conoscenza, la situazione generale del paese di origine del ricorrente, precisando che, in base alle fonti, deve escludersi una situazione di violenza indiscriminata in conflitto armato.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali del Pakistan, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito (Cass. n. 14283/2019). Invece l’esercizio di poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva, in relazione alle fattispecie previste dal citato art. 14, lett. a) e b), si impone solo se le allegazioni di costui al riguardo siano specifiche e credibili, il che non è nella specie, per quanto già detto circa la non credibilità del racconto.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, anche in relazione alle previsioni di cui al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1, della L. n. 110 del 2017 e all’art. 3CEDU.

Il Tribunale avrebbe errato nel non applicare al ricorrente la protezione non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero quando ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonchè essendo vietata l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo paese di origine o che ivi possa correre dei gravi rischi.

La censura attiene alla sussistenza di una situazione di vulnerabilità anche in relazione al suo grado d’integrazione, in ogni caso il ricorrente precisa che il D.L. n. 113 del 2018, non trova applicazione e che la abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari è incostituzionale.

4.1 Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, anche alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono l’esistenza di una situazione di sua particolare vulnerabilità. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

Il Tribunale ha applicato il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, sicchè i riferimenti alla riforma introdotta con il D.L. n. 113 del 2018 e alla sua potenziale incostituzionalità sono irrilevanti.

5. In conclusione il ricorso è inammissibile, le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100 più spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 11 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2020

 

 

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