Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24216 del 02/11/2020

Cassazione civile sez. II, 02/11/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 02/11/2020), n.24216

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 21581/2019 R.G. proposto da:

M.A., c.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato, con

indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Roma, alla viale Angelico, n.

38, presso lo studio dell’avvocato Marco Lanzilao, che lo

rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, c.f. (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 379/2019 della Corte d’Appello di Trieste;

udita la relazione nella Camera di consiglio del 3 luglio 2020 del

consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. M.A., cittadino del (OMISSIS), formulava istanza di protezione internazionale.

Esponeva che aveva lasciato il suo paese d’origine a seguito delle violenze e delle minacce rivoltegli dal gruppo talebano “(OMISSIS)” nonchè del rapimento di cui, ad opera dello stesso gruppo, era stato vittima.

2. La Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Gorizia in data 11.5.2017 rigettava l’istanza.

3. Con ordinanza in data 14.11.2017 il Tribunale di Trieste respingeva il ricorso con cui M.A., avverso il provvedimento della commissione territoriale, aveva chiesto il riconoscimento dello status di rifugiato, in subordine il riconoscimento della protezione sussidiaria, in ulteriore subordine il riconoscimento della protezione umanitaria (cfr. sentenza d’appello, pag. 3).

4. Avverso tale ordinanza M.A. proponeva appello.

Resistevano il Ministero dell’Interno e la commissione territoriale.

5. Con sentenza n. 379/2019 la Corte di Trieste rigettava il gravame.

Evidenziava la corte che condivisibilmente il tribunale aveva reputato inverosimile la vicenda narrata dall’appellante, siccome per nulla circostanziata e per nulla corroborata da oggettivi elementi di riscontro.

Evidenziava segnatamente che l’appellante non aveva riferito alcun particolare, tra l’altro, circa le modalità del rapimento di cui era stato vittima, circa le modalità della sua liberazione, circa le cure ricevute nella struttura ospedaliera ove era stato ricoverato per un mese e mezzo; che inoltre nessun elemento consentiva la riferibilità all’appellante della documentazione allegata.

Evidenziava quindi che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato.

Evidenziava altresì che non sussistevano i presupposti nè per il riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2014, art. 14, ex lett. c), nè per il riconoscimento della protezione umanitaria.

6. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso M.A.; ne ha chiesto sulla scorta di sei motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.

Il Ministero dell’Interno ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

7. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la nullità della sentenza d’appello per omessa motivazione sulla richiesta di protezione umanitaria; il vizio di motivazione “apparente”.

Deduce che la Corte di Trieste ha completamente omesso qualsivoglia motivazione in ordine al motivo di appello afferente alla formulata richiesta – denegata dal primo giudice – di protezione umanitaria ovvero non ha per nulla esplicitato l’iter logico – giuridico alla cui stregua ha escluso la sussistenza dei presupposti ai fini del rilascio del permesso di soggiorno.

Deduce che in tal guisa la corte di merito ha violato l’art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) e l’art. 118 disp. att. c.p.c..

8. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il vizio di omessa pronuncia, error in procedendo, la nullità dell’impugnata sentenza.

Deduce che la Corte di Trieste ha completamente omesso di pronunciarsi in ordine al motivo di appello afferente alla formulata richiesta – denegata dal primo giudice – di protezione umanitaria.

Deduce che in tal guisa la corte di merito ha violato l’art. 112 c.p.c..

9. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’omesso errato esame delle dichiarazioni rese e delle allegazioni documentali; l’omesso esercizio dei poteri di cooperazione istruttoria; l’omessa valutazione delle prove.

Deduce che ben avrebbe dovuto la corte distrettuale, reputate inattendibili le sue dichiarazioni, ai fini del riscontro dell’addotta situazione, nel suo paese d’origine, di generalizzata violenza ed insicurezza, far luogo, in esplicazione dei suoi doveri di cooperazione istruttoria, alla rinnovazione della sua audizione nonchè all’acquisizione delle necessarie informazioni circa la situazione generale del Pakistan.

10. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost.; la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; la contraddittorietà e l’apparenza della motivazione.

Deduce che ha errato la corte territoriale a disconoscere la protezione sussidiaria di cui dell’art. 14 cit., lett. c).

Deduce segnatamente che il rapporto “E.A.S.O.”, aggiornato al 2018, “mette in luce, al contrario, una lunga serie di problematiche completamente omesse, non comprese dal Giudicante” (così ricorso, pag. 12); che al contempo l’incongruenza della valutazione della corte territoriale emerge dal resoconto del sito “(OMISSIS)” nonchè dal rapporto di “Amnesty International”, che, viceversa, danno conto della sussistenza, in Pakistan ed, in particolare, nella regione di sua provenienza, di una grave situazione di pericolo per la sicurezza individuale, di una situazione di violenza diffusa non controllata dallo Stato.

Deduce dunque che al riguardo la motivazione dell’impugnata sentenza è meramente “apparente” e segnata dal travisamento delle fonti citate.

11. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione o falsa applicazione D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; il difetto di motivazione ed il travisamento dei fatti.

Deduce che la corte giuliana non ha fatto luogo ad alcuna attività istruttoria nè in ordine alle condizioni del suo paese d’origine, ai fini dell’invocato riconoscimento della protezione sussidiaria dell’art. 14 cit., ex lett. c), nè in ordine alle condizioni personali in cui si ritroverebbe in caso di rimpatrio, ai fini dell’invocato riconoscimento della protezione umanitaria.

12. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’omessa pronuncia, l’omessa motivazione sull’invocato riconoscimento della protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

13. Si impone dapprima la disamina del terzo motivo di ricorso, che ha un rilievo assolutamente preliminare. In ogni caso il terzo mezzo di impugnazione è destituito di fondamento e va respinto.

14. E’ sufficiente il riferimento agli insegnamenti di questa Corte.

15. In primo luogo all’insegnamento a tenor del quale, nel giudizio relativo alla protezione internazionale del cittadino straniero, la valutazione di attendibilità, di coerenza intrinseca e di credibilità della versione dei fatti resa dal richiedente, non può che riguardare tutte le ipotesi di protezione prospettate nella domanda, qualunque ne sia il fondamento; cosicchè, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794, secondo cui, in materia di protezione internazionale, il vaglio di credibilità soggettiva, condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, trova applicazione con riguardo alla domanda volta al riconoscimento dello status di “rifugiato” e con riguardo alla domanda volta al riconoscimento della protezione sussidiaria, in ciascuna delle ipotesi contemplate dall’art. 14 dello stesso D.Lgs., con la conseguenza che, ove detto vaglio abbia esito negativo, l’autorità incaricata di esaminare la domanda non deve procedere ad alcun ulteriore approfondimento istruttorio officioso, neppure concernente la situazione del Paese di origine).

Su tale scorta del tutto legittimo è il mancato esercizio, da parte dei giudici di merito, dei poteri istruttori officiosi.

16. In secondo luogo all’insegnamento a tenor del quale, nel procedimento, in grado d’appello, relativo ad una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale sanzionabile a pena di nullità nell’omessa audizione personale del richiedente, atteso che il rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10, che prevede l’obbligo di sentire le parti, non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice d’appello di valutarne la specifica rilevanza (cfr. Cass. (ord.) 21.11.2011, n. 24544; Cass. (ord.) 7.2.2018, n. 3003; Cass. (ord.) 29.5.2019, n. 14600; Cass. (ord.) 15.4.2020, n. 8931).

Su tale scorta del tutto legittima è l’omessa rinnovazione dell’audizione in grado d’appello del ricorrente.

17. Si impone di seguito la disamina del quarto motivo di ricorso, che del pari ha valenza preliminare. Il quarto mezzo di impugnazione comunque è analogamente destituito di fondamento e va respinto.

18. L’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito; il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. 21.11.2018, n. 30105; Cass. (ord.) 12.12.2018, n. 32064).

19. Su tale scorta il quarto motivo di ricorso si qualifica in via esclusiva in relazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, siccome, appunto, reca censura del giudizio “di fatto” cui, in parte qua, la corte di merito ha atteso.

20. In quest’ottica si rappresenta quanto segue.

Innanzitutto il giudizio di appello ha avuto inizio con citazione notificata il 12.12.2017 (cfr. sentenza d’appello, pag. 1).

Altresì la statuizione di seconde cure ha integralmente confermato la statuizione di prime cure.

Conseguentemente si applica ratione temporis al caso di specie la previsione di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che esclude che possa essere impugnata con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” (cfr. Cass. 18.12.2014, n. 26860, secondo cui l’art. 348 ter c.p.c., comma 5, non si applica ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all’11.9.2012). Si tenga conto che nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. 22.12.2016, n. 26774).

21. In ogni caso si rappresenta ulteriormente quanto segue.

Per un verso, è da escludere che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui, in punto di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), la corte distrettuale ha ancorato il suo dictum.

Invero la corte giuliana ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato, sulla scorta del rapporto “EASO”, evidentemente risalente al 2018 – siccome tale specifico report il ricorrente ha assunto malamente inteso dalla corte territoriale, che, viceversa, lo ha recepito correttamente – il proprio iter argomentativo.

In particolare, con riferimento all'”anomalia” (dal ricorrente specificamente addotta) della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte giuliana ha evidenziato che il rapporto “EASO” dava conto in relazione al Punjab, ovvero alla regione del Pakistan di provenienza dell’appellante, del significativo miglioramento delle condizioni di sicurezza; che del resto l’appellante non aveva riferito di attacchi terroristici.

Per altro verso, la corte giuliana ha di certo disaminato il fatto decisivo caratterizzante, in parte qua, la res litigiosa, ossia la concreta sussistenza dell’ipotesi astratta di cui dell’art. 14 cit., lett. c).

Per altro verso ancora, il ricorrente, in fondo, non adduce – alla stregua delle risultanze del rapporto di “Amnesty International” e del resoconto del sito “(OMISSIS)” – a supporto delle sue prospettazioni fonti di informazioni più recenti sulla situazione sociopolitica attualmente esistente in Pakistan (cfr. Cass. 18.2.2020, n. 4037, secondo cui, in tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate).

22. Si tenga conto, infine, che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

23. Evidentemente le ragioni della reiezione del quarto motivo di ricorso importano ex se la reiezione del quinto motivo di ricorso limitatamente al profilo con cui si censura il dictum della corte triestina per asserita omessa istruttoria in ordine alle condizioni del Pakistan, ai fini dell’invocato riconoscimento della protezione sussidiaria dell’art. 14 cit., ex lett. c).

24. Fondato e meritevole di accoglimento è il primo motivo di ricorso.

Il suo buon esito assorbe e rende vana la disamina del secondo motivo di ricorso, del quinto motivo di ricorso limitatamente, quest’ultimo, al profilo con cui si censura il dictum della corte triestina per asserita omessa istruttoria in ordine alle condizioni personali del ricorrente, ai fini dell’invocato riconoscimento della protezione umanitaria, e del sesto motivo di ricorso.

25. Sussiste invero il vizio di omessa motivazione in ordine alla denegata protezione umanitaria.

Più esattamente la corte d’appello ha, sì, denegato la protezione umanitaria (sicchè, a rigore, non possono reputarsi integrati gli estremi del vizio di omessa pronuncia, per il quale è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: cfr. Cass. 4.10.2011, n. 20311).

E nondimeno la corte non ha speso a tal proposito alcun argomento.

L’error denunciato con il primo mezzo di impugnazione ricorre dunque non già sub specie di motivazione “apparente” bensì sub specie di difetto assoluto di motivazione (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16762; Cass. 24.2.1995, n. 2114).

26. In accoglimento e nei limiti del primo motivo di ricorso la sentenza n. 379/2019 della Corte d’Appello di Trieste va cassata con rinvio alla stessa corte d’appello in diversa composizione anche ai fini della regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

27. In dipendenza del (parziale) buon esito del ricorso non sussistono i presupposti processuali perchè, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, il ricorrente sia tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit..

P.Q.M.

La Corte così provvede:

accoglie il primo motivo, assorbiti il secondo motivo, il quinto motivo, quest’ultimo nei termini di cui in motivazione, ed il sesto motivo di ricorso;

cassa in relazione e nei limiti del motivo accolto la sentenza n. 379/2019 della Corte d’Appello di Trieste e rinvia alla stessa corte d’appello in diversa composizione anche ai fini della regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità;

rigetta il terzo motivo, il quarto motivo ed il quinto motivo di ricorso, quest’ultimo nei termini di cui in motivazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2020

 

 

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