Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24215 del 18/11/2011

Cassazione civile sez. un., 18/11/2011, (ud. 04/10/2011, dep. 18/11/2011), n.24215

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente f.f. –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Presidente Sez. –

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente Sez. –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.L., elettivamente domiciliato in Roma, via G.G. Belli 36,

presso l’avv. MANFREDINI ORNELLA, che con l’avv. Augusto Federici lo

rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Intesa Sanpaolo s.p.a. in persona del legale rappresentante,

elettivamente domiciliata in Roma, via G. Antonelli 50, presso l’avv.

POZZI MASSIMO, che con l’avv. Antonino Longhitano la rappresenta e

difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

INPS in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, rappresentato e difeso dagli avv.

Antonino Sgroi, Luigi Caliulo, Lelio Maritato, per delega in calce

alla copia notificata del ricorso;

– resistente con procura –

avverso il decreto della Corte d’appello di Firenze emesso nel

procedimento n. 11/09 VG in data 15.4.2009;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

4.10.2011 dal Relatore Cons. Carlo Piccininni;

Uditi gli avv. D’Aloisio con delega per INPS e Pozzi per Intesa

Sanpaolo;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IANNELLI Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con sentenza del 26.10.1994 il Tribunale di Firenze dichiarava il fallimento della Valerio Valentini s.n.c. di Gniuli Gino s.n.c. e dei due soci illimitatamente responsabili G.V. e L..

Successivamente con decreto del 12.12.2008 lo stesso tribunale, accogliendo istanza in tal senso di quest’ultimo, dichiarava l’inesigibilità dei crediti concorsuali da lui non integralmente soddisfatti, ai sensi della L. Fall., art. 143.

2. – Il provvedimento, reclamato da Banca Intesa e dall’Inps (che non avevano proposto opposizione alla domanda, così come d’altro canto anche gli altri creditori interessati), veniva riformato dalla Corte di Appello di Firenze, che rigettava pertanto la domanda dello G..

In particolare la Corte territoriale respingeva l’eccezione di inammissibilità dei reclami per tardività, sulla base del rilievo che gli stessi sarebbero stati proposti nel rispetto del termine lungo di novanta giorni dal deposito dei decreti impugnati, ed affermava nel merito la fondatezza di quello di Intesa Sanpaolo, in ragione del fatto che la concessione del beneficio in questione avrebbe presupposto il soddisfacimento parziale di tutti i creditori concorsuali, ipotesi non verificatasi nella specie, in cui nessun pagamento era stato effettuato in favore dei creditori chirografari.

In particolare la Corte di appello riteneva che nel senso indicato deponesse il dato letterale della normativa, che avrebbe fatto riferimento “ai creditori concorsuali senza alcuna aggettivazione”, nonchè l’interpretazione sistematica del complesso delle disposizioni in tema di esdebitazione.

Sotto quest’ultimo profilo sarebbero stati infatti rilevanti la L. Fall., art. 143, comma 1, che avrebbe fatto riferimento ai debiti concorsuali “non soddisfatti integralmente”; la L. Fall., art. 144, che, per i creditori concorsuali non insinuati, dispone l’operatività dell’esdebitazione nei limiti della “percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado”, così indirettamente confermando la necessità di una attribuzione parziale in favore di tutti i creditori concorrenti; i lavori preparatori, che avrebbero indicato quale requisito necessario per il debitore fallito il pagamento di almeno il 25% dei crediti chirografari; la relazione illustrativa della legge di riforma del 2006, dalla quale si sarebbe dedotto che sia la condizione preclusiva dell’esdebitazione, che l’avverbio “integralmente”, sarebbero stati “utilizzati in funzione limitativa della concessione del beneficio”; la circostanza che, risolvendosi l’esdebitazione in una sostanziale espropriazione del diritto dei creditori, andrebbe privilegiata un’interpretazione restrittiva dell’istituto.

3. – Avverso la decisione G. proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi, poi illustrati da memoria, cui resisteva con controricorso l’Intesa Sanpaolo s.p.a..

Il ricorso è stato poi rimesso all’esame delle Sezioni Unite, avendo fatto seguito ad altro ricorso di analogo contenuto già trasmesso al medesimo Collegio, essendo stato ritenuto trattarsi di questione di massima importanza.

La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 4.10.2011.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4.a) – Con i tre motivi di impugnazione G.L. ha rispettivamente denunciato: 1) violazione della L. Fall., art. 26, per il fatto che i reclami contro il decreto di esdebitazione sarebbero stati depositati ben oltre il termine di dieci giorni previsto dalla L. Fall., art. 26, comma 4, e la Corte di appello non avrebbe tenuto conto della duplice circostanza che il tribunale avrebbe disposto la pubblicazione del detto decreto ai sensi della L. Fall., art. 17, e che la disposizione in questione sarebbe stata puntualmente eseguita;

2) violazione della L. Fall., artt. 26, 142 e 143, e vizio di motivazione sotto i seguenti aspetti: i creditori reclamanti non avevano partecipato al primo giudizio, e quindi avrebbero assunto non il ruolo di parti, ma quello di semplici interessati al provvedimento; attesa la detta qualità, il termine iniziale per la proposizione del reclamo sarebbe stato individuabile, nella specie, nella data della effettuazione della pubblicità; il termine di dieci giorni stabilito a tal fine dalla legge sarebbe decorso, e ciò avrebbe dunque reso tardivi i reclami;

3) violazione dell’art. 12 preleggi, L. Fall., artt. 142, 143 e 144, con riferimento all’affermata insussistenza del presupposto richiesto dalla legge ai fini del riconoscimento del beneficio dell’esdebitazione.

4.b – L’interpretazione data dalla Corte di appello, infatti, non sarebbe confortata dal dato testuale, atteso che la norma in questione non disporrebbe il pagamento di tutti i creditori concorsuali, nè specificherebbe alcunchè relativamente alla posizione dei chirografari.

Inoltre l’istituto dell’esdebitazione risulterebbe finalizzato a creare le condizioni per la reintroduzione dell’imprenditore nel mondo del lavoro, sicchè il parametro relativo alla tutela della posizione dei creditori apparirebbe non correttamente individuato.

Per di più la relativa applicazione comporterebbe non marginali distorsioni nel funzionamento del sistema nel suo complesso, venendosi a creare una irragionevole distinzione fra fallimenti con creditori privilegiati di modesta consistenza e gli altri, essendo per questi ultimi più difficoltoso il soddisfacimento della detta condizione. Infine, ove condivisa l’interpretazione restrittiva della normativa adottata dalla Corte territoriale, secondo la quale la concessione dell’esdebitazione dovrebbe essere subordinata all’avvenuto soddisfacimento parziale di tutti i creditori, la stessa risulterebbe viziata sul piano della costituzionalità, e la relativa questione dovrebbe essere dunque rimessa al giudice delle leggi, per la conseguente delibazione sul punto.

5. – Osserva il Collegio che i primi due motivi di impugnazione devono essere esaminati congiuntamente perchè fra loro connessi, essendo entrambi attinenti alla pretesa inammissibilità del ricorso per tardività, e sono infondati.

Al riguardo va premesso in fatto che è incontestata la circostanza che i ricorsi siano stati depositati entro novanta giorni dal deposito del provvedimento impugnato, e quindi nel rispetto del termine indicato dalla L. Fall., art. 26 (richiamato dalla L. Fall., art. 143), comma 4.

La contestazione del ricorrente, infatti, è incentrata sul fatto che a torto sarebbe stato evocato il quarto comma del citato art. 26, essendo a suo dire viceversa applicabile nella specie il comma 3, del detto articolo, che indica per la proposizione dell’impugnazione il termine di dieci giorni stabilendone la decorrenza: a) dalla data della notificazione o della comunicazione per il curatore, il fallito, il comitato dei creditori, il richiedente, il soggetto nei cui confronti il provvedimento è stato chiesto; b) dalla data di esecuzione delle formalità pubblicitarie disposte dal giudice delegato per tutti gli altri interessati.

La Corte di appello, cui era stata già proposta la medesima eccezione di inammissibilità dei reclami per la loro tardività, l’aveva disattesa ritenendo:

a) che il termine per il reclamo avverso il provvedimento impugnato sarebbe stato di dieci giorni, con decorrenza dalla data della relativa notificazione, trattandosi di impugnazione proposta da creditori non soddisfatti; b) che identica sarebbe stata la conclusione ove stabilita la decorrenza a far tempo dalla comunicazione, essendo il detto adempimento mai intervenuto; c) che per i semplici interessati il termine iniziale di decorrenza per la proposizione del reclamo sarebbe individuabile nella data di esecuzione delle forme pubblicitarie disposte dal giudice delegato o dal tribunale, termine tuttavia di cui non sarebbe neppure iniziato il decorso perchè: 1) l’art. 143 non prevede specifiche forme di pubblicità per il provvedimento di esdebitazione; 2) nessuna pubblicità sarebbe stata disposta dal tribunale; 3) nessuna pubblicità sarebbe stata infine eseguita. Secondo il ricorrente, tuttavia, la detta conclusione sarebbe errata, perchè il tribunale nel dispositivo del decreto avrebbe precisato “Si pubblichi ai sensi della L. Fall., art. 17”, il che escluderebbe l’omessa statuizione in tema di effettuazione della pubblicità.

La doglianza è infondata.

Ed invero al riguardo va premesso che appare generico il richiamo all’art. 17 effettuato dal tribunale, non risultando con chiarezza se il detto richiamo fosse finalizzato all’individuazione della fonte normativa della disposta pubblicazione, ovvero se con esso si intendesse piuttosto fare concreto riferimento agli adempimenti ivi previsti. In entrambi i casi, tuttavia, il detto richiamo non varrebbe a determinare gli effetti auspicati, quanto al primo, poichè lo stesso sarebbe privo di contenuto, e pertanto inidoneo a determinare l’individuazione del termine iniziale di decorrenza per la proposizione del reclamo, quanto al secondo, perchè anche ove si ritenesse che con il richiamo all’art. 17 il tribunale avesse inteso fare concreto riferimento agli adempimenti ivi previsti, la mancata allegazione degli atti di pubblicità posti in essere (al cui compimento il legislatore ha ancorato la decorrenza del termine iniziale di dieci giorni previsto dall’art. 26, comma 3, per la proposizione del reclamo) renderebbe comunque inconsistente la censura.

In ogni modo, oltre che per il vizio di difetto di autosufficienza, la deduzione è infondata anche per altra ed assorbente ragione, e cioè per il fatto che nella specie i soggetti “esdebitati” costituiscono quelli nei cui confronti è stato chiesto il provvedimento (la L. Fall., art. 143, u.c., distingue formalmente la loro posizione da quella degli altri interessati, e la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 181 del 30.5.2008, ha affermato la necessità della loro partecipazione al giudizio), sicchè per essi il termine impugnatorio decorre dalla comunicazione o dalla notificazione dell’atto contestato. Deve dunque desumersi che l’espressione “altri interessati” contenuta nell’art. 26 sta semplicemente ad indicare la posizione di soggetti terzi che assumono di subire effetti pregiudizievoli indirettamente derivanti da provvedimenti di natura decisoria destinati ad incidere sulla situazione soggettiva di diritto di cui sono titolari, e quindi in un ambito del tutto diverso dalla posizione dei creditori che subiscono, quale effetto diretto del provvedimento, gli esiti del decreto di esdebitazione.

6.a) – Venendo quindi al terzo motivo, con il quale G. ha censurato il merito del decreto emesso dalla Corte di Appello di Firenze, osserva il Collegio che, come ha puntualmente rilevato questa Corte con l’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, la questione oggetto di esame “consiste nello stabilire se il dettato normativo debba essere inteso nel senso che tutti i creditori siano soddisfatti almeno parzialmente oppure nel senso che sia necessario che almeno una parte dei creditori sia stata soddisfatta”, questione sulla quale sia la dottrina che la giurisprudenza di merito hanno rappresentato soluzioni non coincidenti.

Al riguardo osserva il Collegio che l’istituto dell’esdebitazione nell’ambito della procedura fallimentare è stato introdotto nel nostro sistema con il D.Lgs. n. 5 del 2006 (l’introduzione, per vero, non rappresenta una novità in assoluto, atteso che il legislatore aveva già previsto l’esdebitazione come conseguenza ex lege nei concordati), avendo avuto piena attuazione in altri ordinamenti, quali quelli di Stati Uniti, Germania, Inghilterra, Francia, con modalità applicative fra loro non coincidenti. Ed infatti, per quel che interessa in questa sede, diverse sono state le soluzioni adottate, segnatamente, per quanto concerne il verificarsi dell’effetto liberatorio (automatico o a seguito di procedimento), il tempo delle relative determinazioni (istantaneo ovvero dopo la conclusione della procedura), i termini del potere di opposizione dei creditori, l’individuazione dei comportamenti del debitore ostativi al riconoscimento, le eccezioni per alcuni debiti insoddisfatti, l’estensione o meno della disciplina al debitore civile, la direzione dell’attenzione prevalente, talvolta orientata a favore delle ragioni dell’impresa e talvolta, viceversa, indirizzata alla maggior tutela della posizione dei creditori.

6.b) – A fronte di tali articolate variabili, tuttavia, il legislatore con la modifica normativa oggetto di esame si è limitato a dedicare alla disciplina dell’istituto tre articoli senza indicazioni di carattere generale, articoli aventi rispettivamente ad oggetto i presupposti per il riconoscimento del beneficio (L. Fall., art. 142), il relativo procedimento per ottenerlo (L. Fall., art. 143), gli effetti dell’istituto nei confronti dei creditori concorsuali non concorrenti (L. Fall., art. 144).

Orbene, prendendo dapprima in esame l’art. 142, che come detto indica le condizioni per la liberazione dai debiti residui del fallito persona fisica, si rileva che lo stesso si compone di quattro commi, di cui il primo attiene ai profili soggettivi del fallito, e segnatamente alla condotta tenuta prima (che non deve essere connotata dalla commissione di fatti illeciti) e durante (occorre che sia collaborativa) la procedura fallimentare; il secondo indica i requisiti di natura oggettiva, peraltro richiamati con formulazione negativa (“non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali”); il terzo contiene l’elencazione di debiti che, per la loro natura, restano comunque esclusi dall’esdebitazione (obblighi di mantenimento e alimentari, debiti derivanti da rapporti non compresi nel fallimento, debiti da illecito extracontrattuale, sanzioni penali e amministrative non accessorie a debiti estinti); il quarto, infine, dispone la salvezza dei diritti dei creditori nei confronti di coobbligati e fideiussori del debitore, nonchè degli obbligati in via di regresso.

7.a) – Essendo nella specie oggetto di controversia la sussistenza del presupposto oggettivo per il riconoscimento dell’esdebitazione (la cui configurabilità, come detto, era stata negata dalla Corte di appello per l’omesso soddisfacimento, anche se parziale, di tutti i creditori), la disposizione di cui si contesta la corretta applicazione, e quindi da considerare, è quella contenuta nel secondo comma, la cui formulazione è stata sopra richiamata.

La detta formulazione, tuttavia, presenta evidenti margini di equivocità e non consente quindi di ricostruire con la certezza che viceversa è necessaria, la volontà del legislatore.

Ed infatti l’avvenuta individuazione della condizione per il riconoscimento dell’esdebitazione nella parzialità del soddisfacimento dei creditori concorsuali può essere correttamente interpretata, da un punto di vista prettamente letterale, in un duplice senso, vale a dire: a) nel senso che la parzialità si riferisca al non integrale soddisfacimento di ciascuno dei crediti esistenti, lettura della disposizione che, secondo il ricorrente, sarebbe poi ulteriormente confortata dalla formulazione dello stesso art. 142, comma 1 nella parte in cui recita che “il fallito persona fisica è ammesso al beneficio della liberazione dei debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti”. L’evocata indiretta conferma della interpretazione proposta è tuttavia in realtà insussistente (circostanza da cui si trae “a contrario” la conferma dell’affermata equivocità), atteso che la residualità ivi richiamata ha una funzione prettamente descrittiva e da essa comunque non si evince l’esistenza di un nesso fra permanenza del debito e concorso, ben potendo la residualità essere intervenuta anche in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento; b) nel senso che la detta parzialità sia viceversa rapportata al numero complessivo dei creditori, interpretazione dalla cui condivisione discenderebbe che l’esdebitazione sarebbe concedibile pur a fronte di un soddisfacimento limitato ad una parte soltanto dei creditori ammessi, e che trova conforto nell’avvenuto richiamo, da parte del legislatore, ai creditori anzichè ai crediti, senza alcuna specificazione in ordine alla totalità di essi.

7.b) – Non giova inoltre, ai fini ermeneutici, il dato testuale relativo agli altri due articoli (artt. 143 e 144) che il legislatore ha dedicato alla disciplina dell’istituto dell’esdebitazione, articoli che secondo la Corte di appello di Milano confermerebbero la subordinazione della concessione del detto beneficio alla realizzazione dell’avvenuta condizione del pagamento parziale di tutti i creditori, ma la cui formulazione letterale tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto, non conferisce alcuna certezza sul piano interpretativo.

Ed invero, per quanto riguarda l’art. 143, comma 1, la disposizione prevede la declaratoria di inesigibilità dei “debiti concorsuali non.-soddisfatti integralmente”, previsione che da un punto di vista lessicale appare di per sè imprecisa, atteso che nel rapporto obbligatorio il soddisfacimento è riferibile ai crediti e non ai debiti, come viceversa indicato.

Inoltre occorre considerare che l’articolo in questione disciplina il procedimento di esdebitazione e, per la parte di interesse, stabilisce quale è l’effetto del provvedimento emesso al relativo esito, precisando in particolare, con una connotazione cui è attribuibile una valenza puramente oggettiva, e non soggettiva, che la prescritta liberazione opera per quanto concerne i debiti (che in realtà, come detto, sono i crediti) insoddisfatti integralmente, e ciò quindi indipendentemente da ogni riferimento al numero dei creditori partecipanti al concorso ed alla misura della loro soddisfazione.

7.c) – In ordine poi all’art. 144, che estende gli effetti dell’esdebitazione ai creditori concorsuali non concorrenti nella “percentuale attribuita ai creditori di pari grado”, va evidenziata, da una parte, l’atecnicità (e dunque la scarsa chiarezza) della disposizione, in ragione del fatto che la nozione di grado è riferibile esclusivamente alla collocazione prelatizia e, dall’altra, che se interpretata (come sembrerebbe ragionevole) nel senso che il legislatore abbia inteso assicurare ai creditori concorsuali il medesimo trattamento riconosciuto a creditori concorrenti aventi identica posizione, la stessa non sarebbe comunque significativa nel senso prospettato dalla Corte territoriale. La prevista estensione ai creditori concorsuali del medesimo trattamento attribuito a quelli concorrenti non ha infatti alcuna relazione con il numero dei creditori soddisfatti e con la misura della loro soddisfazione, non potendosi fra l’altro neppure escludere, alla stregua della detta formulazione, che la percentuale di soddisfazione dei creditori concorrenti sia pari a zero. 8. -In assenza di dati letterali sufficientemente chiari ed univoci, ritiene dunque il Collegio di dover fare ricorso al criterio interpretativo logico sistematico (C. 10/24630, C. 04/9700, C. 01/5128, C. 96/3495, C. 93/11359), finalizzato all’individuazione dalla ratio della disposizione che ha introdotto nel nostro ordinamento, anche per la procedura fallimentare, l’istituto dell’esdebitazione.

In proposito occorre preliminarmente rilevare che il detto istituto, come detto già riconosciuto in altri Paesi, risulta essere espressione dell’orientamento di fondo cui si è ispirato il legislatore delegante nel dettare i principi di riforma delle discipline concorsuali, orientamento per il quale, per la parte che interessa in questa sede, l’insolvenza è percepita come uno dei possibili esiti, pur se certamente negativo, riconducibile all’attività imprenditoriale svolta, esito che non può, per ciò solo, determinare la definitiva eliminazione dal mercato dell’imprenditore e l’automatica dispersione della ricchezza costituita dalle esperienze da questi acquisite.

In questo quadro complessivo di riferimento l’estinzione dei propri debiti (sia pur non automatica ma subordinatamente all’esistenza di specifiche condizioni) assume per l’imprenditore una valenza centrale, sia in termini di prospettiva che in relazione all’esito venutosi a determinare. Quanto al primo punto, risulta di assoluta evidenza come la consapevolezza dell’estinzione (sotto il profilo dell’inesigibilità) delle proprie esposizioni debitorie possa favorire la tempestiva apertura di procedure concorsuali ed indurre comunque il debitore fallito a non porre in essere condotte dilatorie ed ostruzionistiche. Quanto al secondo, appare altrettanto evidente che la cancellazione dei debiti pregressi costituisce la premessa in punto di fatto che consente al debitore, che riprende la sua attività senza avere pendenze di sorta, di poter espandere pienamente le proprie potenzialità, senza dover subire limitazioni alle proprie iniziative, per effetto dei debiti precedenti.

Da tali considerazioni discende dunque che l’esdebitazione costituisce un aspetto di significativa rilevanza nell’ambito del disegno delineato dal legislatore e che interpretazioni normative che determinino una più ristretta applicazione dell’istituto non si pongono in sintonia con le opzioni effettuate dal legislatore delegante.

8.a). – D’altro canto tale mancanza di sintonia emerge, sul piano normativo, anche sotto diverso aspetto.

Ed infatti la Legge Delega 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 6, lett. a), n. 13, ha conferito all’esecutivo il potere di “introdurre la disciplina dell’esdebitazione e disciplinare il relativo procedimento, prevedendo che esso consista nella liberazione del debitore persona fisica dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti”, con una previsione, dunque, che non prescrive la necessità del pagamento integrale dei creditori privilegiati e del pagamento parziale di tutti quelli chirografari.

Inoltre non appare irrilevante il dato relativo alla modifica apportata alla proposta elaborata dalla commissione nominata con D.M. 27 febbraio 2004, per la predisposizione dell’articolato di modifica della legge fallimentare, proposta che in un primo momento subordinava il riconoscimento dell’esdebitazione all’avvenuto pagamento dei creditori chirografari nella misura non inferiore al 25%, condizione poi eliminata e non sostituita dalla previsione di limitazioni di sorta. Analogamente, non risulta insignificante il dato relativo alla modifica apportata con il D.Lgs. n. 169 del 2007 (c.d. correttivo del D.Lgs. n. 5 del 2006) all’istituto dell’esdebitazione, laddove il legislatore, pur a fronte delle questioni interpretative sollevate sul punto da dottrina e giurisprudenza di merito, si è limitato ad intervenire sulla L. Fall., art. 144, (la cui rubrica recita “Esdebitazione per i crediti concorsuali non concorrenti”), sostituendo semplicemente i termini di operatività dell’esdebitazione, originariamente stabiliti “per la sola eccedenza rispetto a quanto i creditori avrebbero avuto diritto di percepire nel concorso”, con la previsione della “sola eccedenza alla percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado”.

8.b). – La “ratio” dell’istituto ed il dato normativo inducono dunque a privilegiare un’interpretazione che determini una sua più ampia applicazione, conclusione che risulta poi confortata anche per altro verso, vale dire per gli immotivati e irragionevoli effetti che altrimenti si verificherebbero.

Ed infatti, il subordinare il riconoscimento dell’esdebitazione al pagamento parziale di tutti i creditori chirografari significherebbe introdurre una distinzione, sul piano effettuale e sotto il profilo di interesse, fra fallimenti con creditori privilegiati di modesta consistenza ( otto l’aspetto del numero e dell’entità) e gli altri.

Tale distinguo, tuttavia, risulta all’evidenza connotato da una totale assenza di ragionevolezza, essendo basato su dati del tutto casuali, quali la ripartizione dei creditori fra privilegiati e chirografari, ed essendo assolutamente disancorato dagli esiti riconducìbili al comportamento dell’imprenditore dichiarato fallito, e segnatamente dalla considerazione della consistenza dell’attivo acquisito, delle somme complessivamente erogate ai creditori e del grado di soddisfazione di ciascuno di essi.

9. – Non sembrano poi decisivi, in senso contrario, gli elementi valorizzabili a sostegno di interpretazioni di segno opposto.

9.a) – Ed infatti, se è condivisibile il rilievo relativo al carattere eccezionale dell’istituto, in quanto derogante ai principi della responsabilità patrimoniale generale (art. 2740 c.c.) e di sopravvivenza delle obbligazioni insoddisfatte nel fallimento (L. Fall., art. 120), non altrettanto può dirsi per le conseguenze che da tale premessa si ritiene di dover far discendere.

L’eccezionalità dell’istituto è invero riconducibile all’avvertita esigenza (già sopra richiamata) di consentire al debitore imprenditore di ripartire da zero (“fresh start”), dopo aver cancellato i debiti pregressi (“discharge”), ed è il soddisfacimento di tale esigenza, dunque, oggetto della mediazione che il legislatore ha attuato in relazione alla tutela dei principi vigenti nel nostro ordinamento, potenzialmente contrastanti.

Compito dell’interprete, pertanto, è proprio quello di stabilire il punto di equilibrio individuato al riguardo dal legislatore, punto di equilibrio che non appare individuabile in quello idoneo ad evitare uno sbilanciamento del sistema in danno dei creditori, non risultando tale obiettivo nè dal dato testuale della legge delega, nè dalla “ratio” dell’istituto.

9.b) – Peraltro non sembra inutile rilevare come una corretta applicazione del dettato normativo non determini un irragionevole (ed inevitabile) sbilanciamento delle posizioni delle parti in danno del ceto creditorio.

Ed infatti la L. Fall., art. 142, comma 2, recita: “L’esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali”, nulla stabilendo dunque, in termini quantitativi, in ordine all’entità dei crediti rispetto al totale, il cui soddisfacimento è richiesto come presupposto indispensabile ai fini del riconoscimento del beneficio dell’esdebitazione.

Il legislatore si è invero limitato a stabilire al riguardo che al fine indicato occorre il pagamento di una parte dei debiti esistenti, e sarà dunque compito del giudice del merito, con il suo prudente apprezzamento, accertare quando ciò si sia verificato, quando cioè la consistenza dei riparti realizzati consenta di affermare che l’entità dei versamenti effettuati, valutati comparativamente rispetto a quanto complessivamente dovuto, costituisca quella parzialità dei pagamenti richiesti per il riconoscimento del benefìcio sul quale è controversia.

9.c) – Nè può indurre a difformi conclusioni quanto si legge nella sentenza della Corte Costituzionale n. 181 del 30.5.2008, che nel dichiarare l’illegittimità costituzionale della L. Fall., art. 143, laddove, non prevista la notificazione ai creditori insoddisfatti del ricorso del debitore di ammissione al beneficio con pedissequo decreto di fissazione di udienza, ha fatto espresso riferimento ai creditori concorrenti non integralmente soddisfatti e all’incompleto adempimento delle obbligazioni.

Si tratta infatti di affermazioni non connesse con il tenore della decisione adottata, che pertanto rappresentano un “obiter dictum”, e alle quali non può conseguentemente attribuirsi alcuna specifica valenza in relazione alla determinazione della portata normativa della L. Fall., art. 142 e segg..

9.d) – D’altro canto, da un punto di vista più generale è anche utile rilevare come il meccanismo esdebitatorio, pur essendo certamente eccezionale, non è del tutto nuovo nel nostro ordinamento, trovando espressa applicazione nelle procedure concorsuali dei concordati, preventivo (L. Fall., art. 184) e fallimentare (L. Fall., art. 135), ed avendo nei fatti concreta attuazione nel fallimento, nel caso di imprenditore collettivo.

La L. Fall., art. 118, comma 2, prevede infatti che, nel caso di chiusura di fallimento di società, il curatore ne chiede la cancellazione dal registro delle imprese, vanificando in tal modo ogni possibile pretesa di soddisfacimento da parte dei creditori nei confronti della fallita, mentre l’art. 2495 c.c., in tema di cancellazione di società di capitali, stabilisce che i creditori sociali insoddisfatti possono far valere il proprio credito nei confronti dei soci e dei liquidatori, rispettivamente soltanto nei limiti delle somme da essi riscosse e a condizione che il mancato pagamento sia dipeso da loro colpa.

9.e) Infine, come notazione conclusiva sul punto oggetto di esame, va ricordato che, anche a voler ipoteticamente non condividere l’assunto sopra prospettato, secondo cui la letteralità delle disposizioni in oggetto presenterebbe profili di ambiguità mentre una loro lettura logico sistematica indurrebbe a privilegiare una loro interpretazione estensiva, resta comunque il fatto che sicuramente ciascuna delle due possibili interpretazioni fra loro antagoniste, vale a dire quella restrittiva e quella estensiva, presenterebbe margini di incertezza sicchè, conformemente a principi precedentemente affermati da questa Corte, nel caso in cui una disposizione normativa offra una pluralità di possibili interpretazioni, va privilegiata quella che sia compatibile con il dettato costituzionale, essendo sostanzialmente il dubbio apparente e da superare pertanto nel senso indicato (C. 99/3242, C. 95/4906).

Nella specie, come sopra debitamente evidenziato, il legislatore delegante, che aveva disposto l’introduzione dell’istituto dell’esdebitazione, non aveva posto limiti nella disciplina del relativo procedimento e soprattutto, per la parte di interesse, nella individuazione dei presupposti ai fini del relativo accesso, sicchè ogni eventuale limite al riguardo (e quello affermato dal giudice del merito risulta di significativa incidenza) desunto dal decreto delegato sì porrebbe in contrasto con la legge delega, e quindi con quanto prescritto dalla Costituzione (art. 76 Cost.).

10. – Da ultimo ritiene il Collegio di dover evidenziare un duplice aspetto di positività, ove applicato nel fallimento l’istituto dell’esdebitazione secondo l’interpretazione estensiva considerata preferibile.

Ed infatti, da una parte, questa Corte ha già rilevato nell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, “che richiedere la soddisfazione in qualche misura di tutti i creditori concorsuali comporterebbe la necessità del pagamento integrale di quelli muniti di privilegio generale e di quelli muniti di privilegio speciale nei limiti dei beni gravati, non potendosi provvedere al soddisfacimento dei creditori chirografari se non nel rispetto delle cause di prelazione; ne deriverebbe non solo l’ammissibilità dell’esdebitazione solo in presenza di una situazione patrimoniale che avrebbe consentito l’accesso al concordato ma anche, in concreto, un’applicazione dell’istituto del tutto marginale”, marginalità che vanificherebbe sostanzialmente la rilevanza dell’innovazione ed i risultati che da essa il legislatore si proponeva di poter conseguire.

Dall’altra, la nota di discrimine fra imprenditori falliti, ai fini del conseguimento del beneficio dell’esdebitazione, non andrebbe individuata sulla base di un dato legato a contingenze casuali e non riconducibili all’operato dell’imprenditore, quale il numero dei creditori privilegiati e la consistenza dei loro crediti, ma potrebbe essere piuttosto ricercata nella valorizzazione del dato comportamentale del debitore.

Ed invero in proposito occorre rilevare che l’art. 142, comma 1, nn. 1 e 2, nell’individuare le condizioni soggettive legittimanti il riconoscimento del beneficio in questione, indica rispettivamente:

(n. 1) la cooperazione del fallito con gli organi della procedura, da realizzare con la fornitura delle informazioni e della documentazione utili all’accertamento del passivo e con l’attivazione di quanto necessario per il proficuo svolgimento delle operazioni (concetto poi recuperato nell’art. 143, laddove è espressamente precisato che il tribunale, nel decidere sulla richiesta di esdebitazione, deve tener conto dei comportamenti collaborativi del debitore); nonchè (n. 2) una linea di condotta del fallito che “non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura”.

Orbene, l’effetto indicato dal legislatore come ostativo alla concessione del beneficio, consistente nella determinazione del ritardo o nella contribuzione alla sua verificazione, è riconducibile ad una condotta non delineata nella sua specificità, sicchè questa può essere correttamente riscontrata dal giudice del merito, quando sia stata accertata la conseguenza pregiudizievole dell’allungamento dei tempi di definizione della procedura.

La genericità della formulazione normativa sul piano della condotta, essendo viceversa l’attenzione del legislatore incentrata sul profilo effettuale, consente dunque al giudice un accertamento molto ampio, essendo il suo esame fecalizzato sull’esistenza o meno di un ritardo nella definizione della procedura rispetto a quanto possibile e sull’eventuale nesso fra la condotta del fallito e detto ritardo.

Nulla esclude dunque che l’esame possa essere condotto anche con riferimento a comportamenti posti in essere prima dell’apertura del fallimento, avendo certamente incidenza sui tempi di definizione della procedura anche le modalità operative adottate dall’imprenditore nell’esercizio dei suoi poteri gestori nel periodo precedente l’apertura della procedura concorsuale.

Appare infatti di assoluta evidenza, a titolo puramente esemplificativo, come un rilevante numero di negoziazioni sospette a ridosso del fallimento possa dar luogo ad un cospicuo contenzioso giudiziario, con i connessi effetti negativi sui tempi di definizione della procedura.

Il puntuale esercizio del dovere conferito al giudice del merito di verificare l’esistenza delle condizioni necessarie per la declaratoria di inesigibilità dei crediti, se correttamente interpretato nel senso sopra indicato, unitamente al giudizio circa l’avvenuto soddisfacimento parziale dei crediti demandato al giudice del merito nei termini sopra precisati (sub 9.b), può dunque valere a determinare l’auspicato punto di equilibrio fra le contrastanti esigenze di un tempestivo ritorno sul mercato, da parte del debitore, e del soddisfacimento dei crediti, da parte dei creditori, punto di equilibrio che peraltro, per le ragioni precedentemente rappresentate, non pare che possa essere in alcun modo individuato nell’interpretazione restrittiva dell’istituto dell’esdebitazione offerta dalla Corte di appello nel provvedimento impugnato.

Conclusivamente il ricorso deve essere accolto, con cassazione del decreto impugnato e rinvio alla Corte di Appello di Firenze in diversa composizione, per una nuova delibazione in ordine al proposto reclamo alla luce dei criteri sopra delineati.

Il giudice del rinvio provvederà infine anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo ed il secondo, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Firenze in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2011

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