Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24215 del 02/11/2020

Cassazione civile sez. II, 02/11/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 02/11/2020), n.24215

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – rel. Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21125/2019 proposto da:

A.S., elettivamente domiciliato in VIA MALTA N. 4 –

AVELLINO, presso l’avv. VINCENZINA SALVATORE, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, IN PERSONA DEL MINISTRO PRO TEMPORE

(OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata il 05/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/06/2020 dal Consigliere e Presidente Dott. FELICE MANNA.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

A.S., cittadino (OMISSIS), proponeva ricorso innanzi al Tribunale di Napoli avverso la decisione della Commissione territoriale di Caserta, che aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale o umanitaria. A sostegno della domanda deduceva di essere nato nel Delta State, di essere andato a vivere a 15 anni a (OMISSIS) e di essersi dovuto allontanare dalla Nigeria nel (OMISSIS), a causa dei (OMISSIS), che uccidevano le persone e bruciavano le abitazioni.

La Commissione prima, e il Tribunale di Napoli, con Decreto n. 4866 del 2019, poi, rigettavano la domanda.

Osservava il Tribunale che era poco credibile che il richiedente si fosse trasferito a (OMISSIS) nei cinque anni precedenti l’espatrio, atteso che egli aveva ammesso di non saper parlare la lingua del posto e, a richiesta di chiarimenti, di esserci stato poco, rendendo così evidente che di non avervi mai abitato o di esservi stato solo per un brevissimo tempo. Inoltre, il richiedente non era stato in grado di riferire alcuno specifico episodio di violenza commesso dai (OMISSIS) e di non essere mai stato coinvolto in alcun incidente con costoro. Il narrato, pertanto, era da ritenersi inattendibile e basato su poche e generiche notizie facilmente attingibili da chiunque tramite internet, per cui doveva ritenersi frutto di invenzione.

Il Tribunale escludeva, altresì, la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, non versando il Delta State, zona d’origine del ricorrente, in una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato.

Quanto alla protezione umanitaria, il Tribunale escludeva la situazione di vulnerabilità del richiedente per un episodio di peritonite acuta, avvenuto nel (OMISSIS) e non necessitante di ulteriori terapie o indagini strumentali; ed osservava che la sola partecipazione di lui alle attività della parrocchia e un contratto di lavoro di soli due mesi, cessato già dall'(OMISSIS), valessero a dimostrare un raggiunto livello d’integrazione sociale in Italia.

La cassazione di detto decreto è chiesta dal richiedente sulla base di tre motivi.

Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Il primo motivo denuncia, in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e) e art. 3, comma 3, lett. a), D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. d) e art. 8, perchè il Tribunale non avrebbe approfondito la posizione del richiedente, valorizzando, alla luce di informazioni precise ed aggiornate, la complessiva situazione del Paese di provenienza. Ciò avrebbe senz’altro determinato – si sostiene – il riconoscimento della protezione invocata, anche in considerazione del fatto che le dichiarazioni, seppure non provate, non erano tali da giustificare il giudizio d’inattendibilità superficialmente espresso dal Tribunale.

1.1. – Il motivo è manifestamente infondato.

In tema di riconoscimento della protezione internazionale, l’intrinseca inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, attiene al giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità, ed osta al compimento di approfondimenti istruttori officiosi, cui il giudice di merito sarebbe tenuto in forza del dovere di cooperazione istruttoria, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori; ne consegue che, in caso di racconto inattendibile e contraddittorio e per di più variato nel tempo, non è nulla la sentenza di merito che – come del resto affermato da Corte di Giustizia U.E, 26 luglio 2017, in causa C-348/16, Moussa Sacko, e da Corte EDU, 12 novembre 2002, Dory c. Svezia – rigetti la domanda senza che il giudice abbia proceduto a nuova audizione del richiedente per colmare le lacune della narrazione e chiarire la sua posizione (v.n. 33858/19 e 16925/18).

Di riflesso e nella specie, il Tribunale non era tenuto a riscontrare, tramite l’acquisizione delle COI (acronimo di Country of Origin Information), l’esistenza della dedotta persecuzione, avendo esso escluso, con motivazione non suscettiva di sindacato in questa sede di legittimità, che il richiedente fosse credibile.

Del tutto generica ed apodittica, poi, è l’asserita superficialità dell’accertamento di merito compiuto al riguardo, certamente non indiziato dalla (del tutto legittima) comunanza rispetto ad altri provvedimenti emessi dal medesimo Tribunale, di parti invariabili delle premesse in diritto o degli accertamenti relativi al Paese o alla regione di provenienza dal richiedente. Nè tanto meno la motivazione in fatto del provvedimento impugnato è censurabile in sede di legittimità, essendo il relativo sindacato limitato al “minimo costituzionale”, secondo i casi esemplificati dalla nota pronuncia n. 8053/14 delle S.U. di questa Corte Suprema.

2. – Col secondo mezzo è dedotta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 4 e 14, in relazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, poichè la Nigeria, in generale, e l’Edo State, in particolare, sono luoghi gravemente insicuri, vuoi a causa dell’attività del gruppo terroristico di (OMISSIS), vuoi per le attività criminali comuni e non segnalate dal rapporto della (OMISSIS).

2.1.- Il motivo è infondato.

In disparte la circostanza che a pag. 2 del ricorso si affermi che il ricorrente sia nato nel Delta State e pag. 6 si indichi quale luogo di provenienza l’Edo State; ciò a parte, va osservato che ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa, ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (nn. 18306/19, 9090/19 e 13858/18).

Non basta, pertanto, la generica pericolosità del Paese o della regione di provenienza nè la possibilità che la relativa situazione possa degenerare dando vita ad una violenza indiscriminata di grado severo nel senso appena detto.

Nello specifico, il Tribunale ha escluso una siffatta situazione sulla base di informazioni qualificate e aggiornate al 2018, che non segnalano il Delta State come una regione insicura.

3. – Il terzo motivo espone, in rapporto dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (testo previgente), nonchè la nullità del decreto impugnato, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per omessa motivazione del diniego di protezione umanitaria, di cui ricorrono le condizioni in virtù del concreto inserimento del richiedente nella realtà del Paese d’accoglienza.

3.1.- Il motivo è infondato.

La natura residuale ed atipica della protezione umanitaria se da un lato implica che il suo riconoscimento debba essere frutto di vantazione autonoma, caso per caso, e che il suo rigetto non possa conseguire automaticamente al rigetto delle altre forme tipiche di protezione, dall’altro comporta che chi invochi tale forma di tutela debba allegare in giudizio fatti ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento delle altre due domande di protezione c.d. “maggiore” (n. 21123/19).

Va da sè, nella specie, che in difetto di un’autonoma allegazione di fatti diversi da quelli posti a base della domanda di protezione sussidiaria, il Tribunale non dovesse valutare sub specie di protezione umanitaria quegli stessi fatti che aveva appena giudicato non plausibili nella loro allegazione, così restando correttamente assorbito ogni loro esame ulteriore.

Nel resto il motivo si limita a dedurre fatti o inidonei (la costante presenza del richiedente presso il centro di accoglienza e i progressi nell’apprendimento della lingua italiana tramite la frequentazione di appositi corsi) o del tutto generici (“la presenza attiva nel substrato sociale e la volontà di inserirsi nel mondo del lavoro”), gli uni come gli altri inidonei a fondare da soli la protezione umanitaria.

4. – In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, come (re)interpretato da S.U. n. 7155/17.

5. – Nulla per le spese, non avendo il Ministero dell’Interno svolto attività difensiva.

6. – Ricorrono i presupposti processuali per il raddoppio, a carico del ricorrente, del contributo unificato, se dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile. Il ricorso. Sussistono a carico del ricorrente i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2020

 

 

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