Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24213 del 30/09/2019

Cassazione civile sez. III, 30/09/2019, (ud. 06/06/2019, dep. 30/09/2019), n.24213

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23340-2017 proposto da:

R.F.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

GORIZIA 52, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO CESARE JANNONI

SEBASTIANINI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

RI.RO., KOINE’ SRL in persona del suo legale

rappresentante pro tempore RI.MA., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA A. BAIAMONTI 4, presso lo studio

dell’avvocato RENATO AMATO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4618/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/06/2019 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 28 aprile 2007, Ri.Ro. e la srl Koinè deducevano di avere visionato un immobile per la cui vendita era mediatore R.F.M. sottoscrivendo una proposta di acquisto e versando l’assegno di Euro 5000 in favore di C.M., dando atto che era prevista una provvigione per il mediatore pari ad Euro 9600 versata dall’attore. Poichè in un secondo momento si era appreso che l’immobile non poteva essere venduto, l’attore chiedeva la restituzione dell’importo, anche perchè questi non era iscritto all’albo dei mediatori;

nella contumacia del convenuto il Tribunale di Roma, con sentenza del 13 aprile 2010, accoglieva la domanda con condanna alla restituzione dell’importo oltre rivalutazione e interessi;

avverso tale sentenza proponeva appello R.F.M., deducendo la nullità della notifica dell’atto introduttivo, eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c., pur non ricorrendone i presupposti. Nel merito rilevava l’infondatezza delle domande. Si costituivano gli appellati eccependo l’inammissibilità dell’appello, perchè tardivamente proposto oltre i termini di decadenza previsti all’art. 327 c.p.c. e, via subordinata, insistevano per il rigetto del gravame;

con sentenza dell’11 luglio 2017 la Corte d’Appello di Roma dichiarava inammissibile l’appello con condanna dell’appellante al pagamento delle spese di lite;

secondo la Corte territoriale la notifica dell’atto di citazione eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c. era regolare con ciò superando la censura dell’appellante secondo cui l’indirizzo al quale era stata eseguita la notifica non si riferiva, nè all’abitazione, nè all’ufficio, nè all’azienda del mediatore. Secondo la Corte d’Appello l’ufficiale giudiziario e l’agente postale avevano attestato, con dichiarazione che fa fede fino a querela di falso, che il recapito in oggetto era riferibile al R. e ciò troverebbe conferma in due elementi ulteriori: l’appellante aveva indicato tale indirizzo come recapito fiscale agli appellati e aveva ricevuto e riscontrato una precedente raccomandata inviata a tale indirizzo;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione R.F.M. affidandosi ad un articolato motivo che illustra con memoria. Resistono con controricorso Ri.Ro. e la srl Koinè.

Diritto

CONSIDERATO

che:

si lamenta la violazione l’art. 327 c.p.c. con riferimento alla parte della motivazione con la quale la Corte d’Appello sostiene l’inammissibilità della impugnazione perchè proposta oltre il termine previsto da tale norma, oltre alla motivazione insufficiente e apparente e l’errore nella correttezza della valutazione e dell’iter logico seguito;

in particolare, la Corte avrebbe erroneamente applicato il termine lungo previsto dall’art. 327 c.p.c. senza considerare che l’appellante aveva eccepito la nullità della notifica dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, come prevede il comma 2 della norma in esame, in base alla quale il termine lungo non si applica quando la parte contumace dimostri di non avere avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione della citazione;

si deduce, altresì, la violazione della medesima disposizione relativamente alla parte della motivazione con la quale la Corte d’Appello ha ritenuto infondata l’eccezione di nullità della notificazione dell’atto introduttivo, oltre all’omesso esame di un fatto decisivo rappresentato dalle attestazioni prodotte in giudizio e relative alla effettiva residenza, dimora e domicilio del R.. Si lamenta, poi, la motivazione insufficiente e apparente e l’errore nella valutazione e nell’iter logico seguito;

in particolare, non costituirebbe indizio significativo la circostanza che nell’anno precedente la notifica dell’atto di citazione (2006) la corrispondenza delle legale degli attori sarebbe stata validamente inoltrata all’indirizzo di vicolo delle Palle n. 26. Ciò in quanto la validità della notificazione andrebbe valutata al momento in cui è stata effettuata ((OMISSIS));

la censura è inammissibile perchè assolutamente generica e si risolve nella prospettazione di una tesi alternativa più favorevole alla posizione del ricorrente, senza individuare le norme violate e le ragioni giuridiche di tale presunta violazione;

il primo rilievo (omesso esame dell’eccezione di nullità della notificazione) è infondato perchè la Corte d’Appello, come riconosciuto dallo stesso R. in ricorso, prende espressamente in esame il profilo relativo alla nullità della notifica dell’atto di citazione eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c.;

in secondo luogo – continua il ricorrente – la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare la documentazione attestante la effettiva residenza, dimora e domicilio dell’odierno ricorrente in (OMISSIS). Nello stesso modo non avrebbe valutato l’attestazione dell’ufficiale giudiziario resa in occasione della notifica al convenuto in primo grado dell’ordinanza ammissiva dell’interrogatorio formale, dalla quale emergerebbe che R. era sconosciuto all’indirizzo di vicolo delle Palle n. 26;

le due censure sono inammissibili perchè dedotte in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 poichè la parte sostiene, in maniera del tutto generica, l’esistenza di documentazione relativa alla residenza del R. in (OMISSIS) senza trascrivere, allegare o individuare in alcun modo, all’interno del fascicolo di legittimità, i documenti richiamati. Nello stesso modo del tutto generici sono i riferimenti all’esito della notifica dell’ordinanza con la quale è stato disposto l’interrogatorio formale del contumace;

in terzo luogo parte ricorrente rileva che la decisione sarebbe errata con riferimento alla ritenuta attestazione da parte dell’ufficiale notificatore e dell’agente postale, circa la corrispondenza al R. dell’indirizzo di vicolo delle Palle. Contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale tali soggetti non avrebbero attestato alcunchè, circa tale corrispondenza del recapito e non avrebbero svolto alcuna ricerca a riguardo. Conseguentemente non avrebbe pregio l’argomentazione della Corte secondo la quale la presunzione di verità dell’attestazione dell’ufficiale giudiziario avrebbe potuto essere superata solo con querela di falso, ciò in quanto non vi sarebbe alcuna attestazione da contrastare diversa dal modulo prestampato inerente l’ipotesi di notificazione ai sensi dell’art. 140 c.p.c.. In ogni caso sono assistite da fede pubblica privilegiata solo le dichiarazioni relative a fatti avvenuti in presenza dell’ufficiale giudiziario, mentre nel caso di specie gli unici riferimenti fattuali riguardano la circostanza di non avere rinvenuto alcuno all’indicato domicilio, per assenza o rifiuto di persone idonee alla consegna;

la censura è infondata. La motivazione adottata dalla Corte territoriale si fonda su una argomentazione centrale e su alcuni elementi di contorno. La questione centrale riguarda la circostanza che l’ufficiale giudiziario, eseguendo validamente la notifica ai sensi dell’art. 140 c.p.c. ha attestato di avere provveduto a rilasciare l’avviso di ricevimento e di avere dato comunicazione con raccomandata. Tale argomentazione troverebbe conferma in due dati fattuali: R.F.M. aveva riconosciuto di avere indicato il recapito di vicolo delle Palle come proprio indirizzo e aveva ricevuto in precedenza una raccomandata dal legale degli attori a tale indirizzo. Tali circostanze non sono validamente contrastate in sede di legittimità;

riguardo alla seconda, si deduce che non sarebbe rilevante, mentre, riguardo alla prima, si sostiene, senza correttamente allegare la circostanza ed in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, di avere contestato la ritualità del recapito di vicolo delle Palle. Ma tale deduzione è priva della individuazione della sede processuale, della fase del giudizio e della trascrizione dell’eccezione al fine di dimostrare di avere tempestivamente, ritualmente e validamente formulato la contestazione e di averla sottoposta al giudice di appello;

quanto all’argomentazione centrale, non è contestato che l’ufficiale giudiziario abbia provveduto a notificare in data 26 aprile 2007 l’atto di citazione ai sensi dell’art. 140 c.p.c. e di non aver rinvenuto alcuno al domicilio indicato, provvedendo pertanto “al deposito dell’atto in busta sigillata e all’affissione dell’avviso di deposito in data (OMISSIS)”. Ha poi dato avviso dell’avvenuta notificazione con raccomandata in data (OMISSIS), per temporanea assenza del destinatario e per tale motivo ha immesso l’avviso nella cassetta corrispondente dello stabile in indirizzo. Pertanto l’ufficiale giudiziario ha potuto perfezionare la notifica perchè ricorrevano degli elementi di collegamento tra l’indirizzo e il destinatario e, evidentemente, l’avviso della raccomandata è stato immesso nella cassetta corrispondente al nome del destinatario;

ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidandole in Euro 3.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte Suprema di Cassazione, il 6 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019

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