Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24213 del 02/11/2020

Cassazione civile sez. II, 02/11/2020, (ud. 23/06/2020, dep. 02/11/2020), n.24213

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21787/2019 proposto da:

S.M., rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO

CAVICCHIOLI, e domiciliato presso la cancelleria della Corte di

Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di TORINO depositata il 13/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/03/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il ricorrente, cittadino del (OMISSIS), interponeva ricorso avverso il provvedimento della Questura di Biella con il quale era stata respinta la domanda volta ad ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi umanitari già concesso al richiedente e rinnovato una prima volta. La Questura aveva in particolare motivato il rigetto sulla base del parere negativo espresso dalla Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Crotone, la quale aveva a suo tempo rilasciato l’originario permesso di soggiorno.

Con il decreto impugnato il Tribunale di Torino rigettava il ricorso.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione S.M. affidandosi a due motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va rilevato che per mero errore materiale nel provvedimento impugnato si legge il nome di S.M., in luogo di quello corretto di S.M., risultante dalla comunicazione in formato elettronico allegata alla copia del decreto.

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., perchè il Tribunale non avrebbe pronunciato sullo specifico motivo di censura con il quale il S. aveva dedotto che il provvedimento del Questore non era stato preceduto dal preavviso di rigetto di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 10-bis.

La censura è infondata.

Pur dovendosi dare atto che il decreto impugnato non affronta la questione, che il ricorrente dichiara, nella censura in esame, di aver specificamente dedotto come motivo di ricorso, va ribadito che il ricorso avverso i provvedimenti di diniego del riconoscimento della protezione, internazionale o umanitaria, introduce un giudizio che non verte sulla legittimità dell’atto impugnato, ma piuttosto sulla spettanza del diritto fatto valere dal richiedente la protezione. Ne deriva che – a prescindere dall’applicabilità della L. n. 241 del 1990, alla fase amministrativa del procedimento finalizzato al riconoscimento della protezione internazionale – tutte le eventuali carenze formali afferenti alla fase predetta non hanno rilievo, nella misura in cui, in ogni caso, il richiedente abbia potuto in concreto esercitare pienamente il proprio diritto di difesa in giudizio, appunto mediante la tempestiva proposizione del ricorso avverso il provvedimento di rigetto notificatogli dall’autorità amministrativa.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè il Tribunale avrebbe erroneamente respinto anche la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria.

La censura è inammissibile.

Il giudice di merito esamina, nel decreto impugnato (cfr. pagg. 4 e 5), tanto la situazione esistente in Mali, quanto la condizione personale del richiedente, escludendo la sussistenza, in concreto, di profili di vulnerabilità e dando atto inoltre, da un lato, del fatto che il S. “non ha mostrato alcuna integrazione nè lavorativa, nè sociale, nè familiare nel contesto sociale italiano” e dall’altro lato che a suo carico risultavano “notizie di reato per violenza privata e minaccia (22.12.2014) e per resistenza ed oltraggio a P.U. (1.10.16). Lo stesso inoltre risulta condannato per trasporto illecito di sostanze stupefacenti alla pena di anni 4 di reclusione (fatto commesso il 12.2.2017, quando era regolare sul territorio)”. A fronte di tale apprezzamento del Tribunale, che descrive in sostanza il richiedente come un soggetto non integrato e dedito ad attività illecite, il ricorrente non contrappone alcun elemento specifico idoneo a fornire una lettura differente dei fatti, ma si limita ad un generico richiamo alla condizione esistente in Mali, di per sè non sufficiente, nel difetto di prova di un particolare radicamento in Italia o comunque di un profilo individuale di vulnerabilità del richiedente, a giustificare il riconoscimento della tutela umanitaria. Dal che deriva l’assoluta carenza di specificità della doglianza in esame.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese, in difetto di notificazione di controricorso da parte del Ministero intimato.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 23 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2020

 

 

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