Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24211 del 30/09/2019

Cassazione civile sez. III, 30/09/2019, (ud. 06/06/2019, dep. 30/09/2019), n.24211

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24492-2017 proposto da:

P.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE 60,

presso lo studio dell’avvocato CARLA PREVITI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FABIO LEPRI;

– ricorrente –

GENERALI ITALIA SPA, in persona del procuratore speciale

P.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GUIDO D’AREZZO, 32,

presso lo studio dell’avvocato ISIDORO CAVALIERE, che la rappresenta

e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1761/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/06/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

che:

1. P.S. ricorre, affidandosi a due motivi illustrati anche con memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Roma che, riformando la pronuncia del Tribunale, che aveva respinto la sua domanda volta ad ottenere dalla Generali Business Solution Spa (da ora GBS) – con la quale aveva stipulato una polizza assicurativa sanitaria, in convenzione con la cassa previdenziale dell’ordine professionale di appartenenza – il rimborso delle spese mediche sostenute per conto della moglie, in occasione del parto del figlio avvenuto in una clinica privata.

1.1. Per ciò che interessa in questa sede, la Corte territoriale, accogliendo l’impugnazione della compagnia di assicurazioni, aveva dichiarato il difetto di legittimazione attiva dell’odierno ricorrente, condannandolo a restituire alla GBS quanto gli era stato corrisposto in esecuzione della sentenza di primo grado.

2. La Compagnia ha resistito, depositando altresì memoria ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1891 c.c., commi 1 e 2: lamenta che la Corte territoriale aveva valutato la sua legittimazione ovvero il suo diritto ad ottenere l’indennizzo, riferendosi al momento della conclusione del contratto di assicurazione, anzichè a quello del sinistro e quindi del verificarsi del danno; e che – nel ritenere che il contraente non potesse agire senza il consenso del soggetto assicurato (nel caso di specie la moglie) – aveva adottato un canone di giudizio contra ius, in quanto non necessariamente la legittimazione doveva considerarsi trasferita in capo al beneficiario dell’indennizzo.

1.1. Assume, inoltre, che i giudici d’appello avevano errato in quanto si erano riferiti esclusivamente agli elementi formalmente emergenti alla data della stipula della polizza, omettendo di valutare “le fattuali e giuridiche evoluzioni del negoziale rapporto assicurativo” che, in tesi, configurava “un concetto diverso dal contratto di assicurazione” (cfr. pag. 15 primo cpv del ricorso).

1.2. Assume, altresì, che la Corte d’appello aveva esaminato le risultanze processuali “leggendole nel prisma deformatore iniziale di una rigida corrispondenza fra la situazione esistente al momento della conclusione del contratto di assicurazione ed il momento, di anni posteriore, dell’insorgere del sinistro.” (cfr. pag. 15 secondo cpv del ricorso); e che, in buona sostanza, essendo stato lui a pagare le spese sanitarie relative al ricovero ed al parto, visto che la moglie assicurata non aveva sostenuto alcun esborso, la ricerca del soggetto legittimato a proporre la domanda di indennizzo doveva essere indirizzata verso la situazione reale e non quella meramente “contrattuale o meglio formale, cristallizzata al momento della conclusione della polizza” (cfr. pag. 17 del ricorso).

1.3. Il motivo è inammissibile per un duplice ordine di ragioni.

In primo luogo la censura manca di autosufficienza.

Si osserva, al riguardo, che questa Corte ha affermato i seguenti principi, pienamente condivisi dal Collegio:

a. il ricorrente che, in sede di legittimità, lamenti l’erronea valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative” (cfr. ex multis Cass. 15751/2003; Cass. 14973/2006; Cass. 17915/2010; Cass. 13677/2012);

b. in tema di ricorso per cassazione, l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto; tale prescrizione va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel relativo fascicolo, mediante la sua produzione, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che esso è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in cassazione o lo faccia senza fascicolo o lo produca senza documento; c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso oppure attinente alla sua fondatezza e formato dopo la fase di merito e, comunque, dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso. (cfr. Cass. 20535/2009; Cass.24475/2017; Cass. 5478/2018).

Nel caso in esame, la clausola contrattuale con la quale la polizza assicurativa sanitaria era stata estesa al coniuge non è stata trascritta all’interno dell’atto, nè è stata indicata la sede processuale nella quale tale documento può essere rinvenuto, al fine di consentire alla Corte di apprezzare i vizi denunciati che ridondano sulla interpretazione del contratto.

1.4. E, proprio in relazione a ciò, si osserva ulteriormente che il ricorrente, sintetizzando, in termini critici, alcune parti della sentenza impugnata si limita a rievocare un risalente arresto (Cass. 4208/1989) che si limitava ad affermare che l’assicurato acquista direttamente i diritti derivati dal contratto, pur restando il contraente personalmente obbligato. Ma, in tal modo, in disparte la irrilevanza del principio in relazione al caso in esame, si omette di considerare che:

a. richiedendo una valutazione dello “sviluppo negoziale” del contratto di assicurazione, si prospetta una tesi difensiva che si limita a contrapporre, inammissibilmente, al percorso argomentativo della Corte territoriale, una diversa tesi difensiva;

b. l’approccio critico del ricorrente non tiene conto che la decisione della Corte territoriale si fonda sull’applicazione dei consolidati principi di legittimità secondo cui, da una parte, “nell’assicurazione per conto altrui i diritti derivanti dal rapporto assicurativo spettano al beneficiario del contratto ai sensi dell’art. 1891 c.c., comma 2, sicchè l’assicurato, pur non essendo parte contrattuale, ha azione diretta nei confronti della società assicuratrice.” (cfr. Cass. 30653/2017), e, dall’altra, “il consenso a pretendere l’indennizzo in luogo dell’avente diritto non può essere presunto in base alla mera sottoscrizione di una clausola di assicurazione che attribuisce al contraente detta potestà, occorrendo che la stessa sia confermata da un consenso espresso del terzo beneficiario del contratto, titolare della pretesa ex art. 1891 c.c., comma 2, atteso che tale norma configura un’ipotesi di sostituzione processuale, la quale può trovare titolo in uno specifico mandato dell’avente diritto che, quanto all’incasso, può avere ad oggetto sia crediti già sorti che crediti eventuali e futuri, ma non in una rinuncia per la cui validità ed efficacia sarebbero necessarie l’esistenza del diritto e la consapevolezza di tale esistenza” (cfr. ex multis Cass. 4923/2018; Cass. 9053/2007).

1.5. Anche sotto tale profilo, poichè le valutazioni della Corte territoriale attengono alla interpretazione del contratto, che è questione insindacabile in sede di legittimità ove venga sostenuta, come nel caso in esame, da un percorso argomentativo logico, coerente ed al di sopra della sufficienza costituzionale, la censura non può trovare ingresso in questa sede.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione del principio di non contestazione e degli artt. 115,167,416 e 88 c.p.c. e art. 111 Cost., nonchè la violazione del giudicato interno ex art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c.: lamenta che “il Tribunale” (evidente il lapsus calami) avrebbe preteso la prova di un fatto materiale non contestato, e cioè che il pagamento delle spese sostenute per il parto e per il ricovero fosse stato da lui effettuato. Assume che trattandosi di un fatto pacifico in causa, egli non era tenuto a dare alcuna dimostrazione della circostanza.

2.1. Anche tale censura, in parte assorbita da quanto argomentato in relazione alla consolidata giurisprudenza che sostiene la decisione impugnata, è inammissibile.

La circostanza alla quale si riferisce il motivo, infatti, non risulta decisiva nello sviluppo logico della sentenza e si pone come una mera argomentazione aggiuntiva alla ratio decidendi della pronuncia, fondata sull’assenza di consenso esplicito della moglie del ricorrente alla sua legittimazione quale contraente ex art. 1891 c.c. (Cass. 9053/2007; Cass. 4923/2018).

3. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte,

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione terza civile, il 6 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019

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