Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24211 del 04/10/2018

Cassazione civile sez. II, 04/10/2018, (ud. 26/04/2018, dep. 04/10/2018), n.24211

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27379-2015 proposto da:

A.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE

49, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO GIUFFRIDA, rappresentato

e difeso dagli avvocati ANDREA BARTOLOMEI, JACOPO SEVERO BARTOLOMEI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1089/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 26/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/04/2018 dal Consigliere RAFFAELE SABATO.

Fatto

RILEVATO

che:

1. A.E. ha impugnato a sentenza n. 792 emessa in data 23.4.2014 con la quale il tribunale di Como aveva respinto l’opposizione da lui proposta avverso l’ordinanza n. 407805 del 30.9.2013, con la quale il ministero delle finanze gli aveva ingiunto il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 17.820 per l’omessa dichiarazione di contanti (Euro 69.400) trasferiti al seguito all’ingresso dalla Svizzera nel territorio italiano in data 21,2.2013, in violazione del D.Lgs. 19 novembre 2008, n. 195 e successive modificazioni, art. 3.

2. La corte d’appello di Milano, con sentenza del 26.3.2015, ha rigettato l’appello sulla base, per quanto nella presente sede ancora rileva, delle seguenti considerazioni:

1) nel caso di specie, per inficiare la ricostruzione del fatto offerta dagli esponenti della guardia di finanza operanti, sarebbe stato necessario proporre una querela di falso, atteso che non si era in presenza, come sostenuto dall’appellante, di fatti legati a “percezioni sensoriali”, ad “apprezzamenti personali” e “tali da risolversi in “giudizi valutativi”, ma dei fatto – attestato in verbale dal finanziere in servizio – che l’ A., alla guida di un’auto, insieme al figlio G., aveva superato il “tratto autostradale recante l’indicazione del cartello con la scritta “Alt”” e si era fermato, per la dichiarazione di rito circa l’eventuale detenzione di denaro contante, non spontaneamente, ma soltanto dopo che il menzionato operante, “bussando sul finestrino posteriore lato guida del… veicolo, intimava alla parte di fermarsi, avendo la medesima … già oltrepassato il posto di controllo della guardia di finanza”;

2) in ogni caso, non poteva comunque farsi luogo all’apertura di una fase istruttoria, in difetto dell’articolazione di qualsiasi capitolo di prova da parte dell’ A., che si era limitato a chiedere “l’interrogatorio dell’opponente e audizione/confronto di agenti accertatoli e A.G., salvo altri, da indicarsi nel prosieguo, anche a titolo di cd. prova contraria”;

3) all’integrazione della violazione contestata (omessa dichiarazione di contante al seguito per somma superiore a Euro 10.000 all’ingresso o all’uscita dal territorio nazionale, richiesta ai soli fini di monitoraggio valutario) risultava del tutto indifferente la questione della liceità/illiceità della provenienza (da evasione fiscale o altro) del denaro contante trasportato;

4) la determinazione della sanzione non appariva suscettibile di alcuna riduzione, in quanto già applicata nel minimo di legge (ossia nel 30% di Euro 59.400) D.Lgs. n. 195 del 2008, ex art. 9.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso A.E., sulla base di cinque motivi. Il ministero dell’economia e delle finanze ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATA

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia a violazione e/b fatsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e la omessa e/o apparente motivazione su fatto decisivo della lite oggetto di discussione tra le parti (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per aver la corte d’appello recepito acriticamente in motivazione la ricostruzione dello svolgimento dei fatti contenuta nel – verbale di accertamento, senza considerare che era contraria a ogni logica e a ogni legge cinetica la possibilità di bussare ad un finestrino posteriore di un veicolo ancora in movimento e, quindi, prima ancora che lo stesso si sia fermato, laddove la circostanza che egli, mentre stava passando il confine con il proprio veicolo, si fosse fermato spontaneamente al posto di controllo transfrontallero era comprovata, oltre che dalla dichiarazione resa dal Figlio (a bordo della stessa autovettura in transito), dalla sua immediata dichiarazione di trasportare “una ben determinata somma di denaro in contanti” (corrispondente a quella poi più esattamente quantificata nel verbale).

1.1. Il motivo è inammissibile quanto alla deduzione di vizio di motivazione. Essendo stata la sentenza impugnata depositata il 26.3.2015, il ricorrente avrebbe dovuto far riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., novellato n. 5 applicabile ai ricorsi per cassazione proposti contro sentenze pubblicate a partire dall’11.9.2012 (D.I. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012). In quest’ottica, non si sarebbe potuto limitare a denunciare l’insufficienza, illogicità o contraddittorìetà della motivazione, bensì avrebbe dovuto dolersi dell’omesso esame circa un fatto decisivo che fosse stato oggetto di discussione tra le parti. Invero, nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non è più configurabile il vizio di insufficienza, illogicità o contraddittorietà della motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo, come detto, solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di motivazione nei diversi termini sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) (Cass. n. 13928 del 06/07/2015).

Inoltre, l’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra e parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformato, va inteso, in applicazione dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, tenendo conto della prospettiva della novella, mirata ad evitare l’abuso dei ricorsi basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, supportando la generale funzione nomofilattica della corte di cassazione. Ne consegue che: a) C’omesso esame” non può intendersi che “omessa motivazione”, perchè l’accertamento relativo al se l’esame del fatto è avvenuto o è stato omesso non può che risultare dalla motivazione; b) i fatti decisivi e oggetto di discussione, la cui omessa vantazione è deducibile come vizio della sentenza impugnata, sono non solo quelli principali ma anche quelli secondari; c) è deducibile come vizio della sentenza soltanto l’omissione e non più l’insufficienza o la contraddittorietà della motivazione, salvo che tali aspetti, consistendo nell’estrinsecazione di argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi, si risolvano (ma non è il caso di specie) in una sostanziale mancanza dì motivazione (Cass. n. 7983 del 04/04/2014). Va poi ricordato che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tate fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisìvità11, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato il conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 8053 del 07/04/2014).

In definitiva, è denunciarle in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” o “contraddittorietà” della motivazione.

1.2. Sempre in relazione alla censura mossa ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5) il motivo è anche inammissibile in quanto in contrasto con il disposto di cui all’art. 348-ter c.p.c., comma 5.

In tal senso, si rammenta che, alla luce della giurisprudenza di questa corte, nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, (nel testo riformulato dal D.L. n. 83 cit., art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 22/12/2016, n. 26774), Orbene, nel caso di specie, essendo stato notificato l’atto di citazione in appello in data 06.12.2014, si rientra nell’ipotesi ivi prevista con conseguente inammissibilità del motivo, non avendo il ricorrente fornito alcuna dimostrazione in merito alla distinzione tra le ragioni di fatto poste a fondamento della decisione di primo grado e quelle assunte nel giudizio di gravame.

1.3. Quanto, poi, al presunto vizio di violazione di legge, la censura è infondata. Fermo restando che non può dedursi quale violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), (in sostanza, quale vizio di attività processuale) ciò che propriamente ricade nel vizio di omesso esame anzidetto, la sentenza impugnata è perfettamente aderente ai dettami della norma indicata in quanto, con argomentazioni congrue dal punto di vista logico-formale, la corte territoriale si è attenuta, una volta riconosciuta la valenza fidefacente al verbale redatto dal finanziere in servizio, alla ricostruzione dei fatti contenuta nel medesimo verbale.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2699 e 2700 cod. civ. e il difetto di motivazione su elemento decisivo della vertenza, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), per aver la corte di merito erroneamente, a suo dire, riconosciuto la fede privilegiata ai fatti riportati nel verbale, nonostante si fosse al cospetto di giudizi valutativi ed in apprezzamenti personali aventi ad oggetto elementi dinamici, come tali legati a percezioni sensoriali dell’agente accertatore e, dunque, non necessitanti, per essere contrastate, della proposizione di una querela di falso.

2.1. Il motivo – inammissibile per quanto innanzi esposto con riferimento a primo motivo circa la denuncia art. 360 c.p.c., comma 1, ex n. 5 – è per il resto infondato. In tema di sanzioni amministrative, il verbale di accertamento dell’infrazione fa piena prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento, oppure da lui compiuti, nonchè riguardo alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti. Non può essere, invece, attribuita la fede privilegiata nè ai giudizi valutativi, nè alla menzione di quelle circostanze relative ai fatti avvenuti in presenza del pubblico ufficiale che possono risolversi in suoi apprezzamenti personali, perchè mediati dall’occasionale percezione sensoriale di accadimenti che si svolgono così repentinamente da non potersi verificare e controllare secondo un metro obiettivo (Cass. n. 25842 del 27/10/2008 e n. 23800 del 07/11/2014). In particolare, con riferimento al verbale di accertamento di infrazioni al codice della strada, l’efficacia di piena prova fino a querela di falso non sussiste nè con riguardo ai giudizi valutativi che, esprima il pubblico ufficiale, nè con riguardo alla menzione di quelle circostanze relative a fatti, i quali, in ragione delle loro modalità di accadimento repentino, non si siano potuti verificare e controllare secondo un metro sufficientemente obbiettivo e, pertanto, abbiano potuto dare luogo ad una percezione sensoriale, implicante margini di apprezzamento, come nell’ipotesi che quanto attestato dal pubblico ufficiale concerna l’indicazione di un’ corpo o di un oggetto in movimento, con riguardo allo spazio che cade sotto la percezione visiva del verbalizzante; il predetto verbale fa, invece, piena prova fino a querela di falso in ordine ai fatti accertati visivamente dai verbalizzanti e relativi alla fase statica dell’incidente, quale risultava al momento del loro intervento (Cass. n. 3282 del 15/02/2006 e n. 16713 del 17/07/2009).

La ratto sottesa all’operata distinzione si fonda sulla circostanza, di notoria conoscenza, che, allorquando i movimenti soggetti alla percezione visiva avvengono con repentinità, il rischio di una percezione sensoriale alterata è elevato. Tanto è vero che il principio in precedenza riportato viene di frequente applicato in caso di verbali di contestazione di infrazioni al codice della strada, avuto particolare riguardo alla violazione dei limiti di velocità.

Nel caso di specie, invece, l’agente accèrtatore ha riportato fatti a lui stesso riconducibili (l’aver intimato al conducente dell’auto di fermarsi, l’aver a tal fine bussato sul finestrino posteriore) e fatti incontestabilmente avvenuti in sua presenza e rilevati nel’contesto di una dinamica non repentina (l’essersi il conducente fermato non spontaneamente al cartello con la scritta “alt” , ma l’averlo fatto solo dopo aver sorpassato il posto di controllo della guardia di finanza e a seguito dell’intimazione a fermarsi indirizzatagli dal finanziere). L’asserita incompatibilità tra una normale velocità di conduzione del veicolo e la possibilità per l’agente di bussare sul finestrino (incompatibilità, peraltro, superabile in presenza di una bassa velocità di avanzamento quale secondo l’id quod plerumque accidit si ha nei casi di specie) avrebbe presupposto la proposizione di una querela di falso accompagnata dalla formulazione di istanze istruttorie.

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, artt. 22 e ss. e il difetto di motivazione su “elemento già eccepito”, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver la corte locale erroneamente, a suo dire, reputato necessaria la previa querela di falso ma non ammesso “alcuna contro-deduttiva forma probatoria”.

3.1. Il motivo resta assorbito nel rigetto del precedente. In ogni caso, lo stesso si sarebbe rivelato inammissibile, in quanto il ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, ha dei tutto omesso di indicare le istanze istruttorie che i giudici di merito avrebbero disatteso; ciò senza tralasciare che non viene in alcun modo contrastata l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata (cfr. pag. 3), secondo cui non poteva comunque farsi luogo all’apertura di una fase istruttoria, in difetto dell’articolazione di qualsiasi capitolo di prova da parte dell’ A., che si era limitato a chiedere “l’interrogatorio dell’opponente e audizione/confronto di agenti accertatoli e A.G., salvo altri, da indicarsi, nel prosieguo, anche a titolo di cd. prova contraria”.

4. Con il quarto motivo il ricorrente si duole della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. cfv. e dell’abnorme motivazione su “nuovo/diverso elemento della vertenza”, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver la corte d’appello ritenuto irrilevante la questione relativa alla liceità o no della provenienza del denaro contante trasportato.

4.1. Il motivo è inammissibile, in quanto si diffonde su un’affermazione contenuta nella sentenza di primo grado, e non ripresa in quella d’appello, secondo cui le dichiarazioni rese dall’ A. al preposto doganiere al momento del rientro dalla Svizzera in Italia lasciassero presumere che egli avesse portato con sè il danaro in contanti anche al momento (precedente) dell’uscita dal territorio nazionale italiano, omettendo, quindi, anche in quell’occasione di rendere la dichiarazione obbligatoria per legge. Del resto, fermo restando che non si è al cospetto di alcuna violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, è pienamente congrua sul piano logico e corretta dai punto di vista giuridico l’affermazione, questa si contenuta nella sentenza impugnata, a tenore della quale all’integrazione della violazione contestata (omessa dichiarazione di contante al seguito per somma superiore a Euro 10.000 all’ingresso o all’uscita dal territorio nazionale, richiesta ai soli fini di monitoraggio valutario) risultava del tutto indifferente la questione della liceità/illiceità della provenienza (da evasione fiscale o altro) del denaro contante trasportato. Invero, la disposizione normativa contestata intende assoggettare all’obbligo di dichiarazione il passaggio dalla linea doganale di denaro, titoli e valori diversi da quelli espressamente esclusi – con elencazione tassativa – dall’art. 3-bis della citata legge, prescindendo dai rapporti debitori o creditori sottostanti, e al solo scopo di rilevazione globale dei movimenti di capitale alle frontiere (Cass. n, 24315 del 18/11/2009).

5. Con il quinto motivo il ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e il difetto di motivazione sulla domanda subordinata (“riduzione eccessiva sanzione Irrogata”), con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per non aver i giudici di merito ridotto l’entità della sanzione, nonostante egli si fosse fermato al posto di blocco, avesse spontaneamente dichiarato la somma in contanti in suo possesso ed avesse dimostrato che il danaro non rappresentasse provento d’impresa riscosso “in nero”.

5.1. Fermo restando che non si è assolutamente in presenza di un’omissione di pronuncia (avendo la corte d’appello chiarito espressamente che la determinazione della sanzione non appariva suscettibile di alcuna riduzione, in quanto già applicata nel minimo di legge – ossia nel 30% di Euro 59.400 -, D.Lgs. n. 195 del 2008, ex art. 9), il motivo è inammissibile sia per le ragioni già esposte nel paragrafo 1.1. (quanto al profilo nella non denunciabilità della motivazione meramente contraddittoria) sia in quanto presuppone l’avvenuta dimostrazione della non verità di quanto attestato dall’agente nel verbale; ciò senza tralasciare che il ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, omette di trascrivere il passaggio della sentenza di primo grado nel quale il tribunale avrebbe giustificato il rigetto della richiesta di riduzione della sanzione pecuniaria sulla base della provenienza illecita del denaro.

6. In definitiva, il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente alle spese come in dispositivo. A sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.

PQM

la corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione a favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2200 per compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Al sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 26 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2018

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