Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2421 del 04/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 04/02/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 04/02/2020), n.2421

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. Consiglie – –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

R.B.M.N., rappr. e dif. dall’avv. G.Ernesto

Gandolfo ed elett. dom. presso lo studio dell’avv. Ignazio

Abrignani, in Roma, piazzale Belle Arti n. 8, come da procura

allegata all’atto;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l., in persona del curatore fallim.

p.t., rappr. e dif. dall’avv. Roberto Costanza ed elett. dom. presso

lo studio dell’avv. Valentino Vulpetti, in Roma, via Sabotino n.

2/a, come da procura in calce all’atto;

– intimato –

per la cassazione della sentenza App. Palermo 21.12.2016, n. 2336,

cron. 6055/16, rep. 2376/16;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 12 dicembre 2019 dal Consigliere relatore Dott. Ferro

Massimo;

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma

semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del

Primo Presidente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. R.B.M.N. impugna la sentenza App. Palermo 21.12.2016, n. 2336, cron. 6055/16, rep. 2376/16, che, rigettando il suo appello (principale) avverso la sentenza Trib. Marsala 7.4.2010 e parimenti l’appello incidentale del fallimento (OMISSIS) s.r.l., ha ritenuto infondata la richiesta di modificare la declaratoria dei primi giudici resa sulla domanda di revocatoria L. Fall., ex art. 67, comma 1, n. 1, avverso la compravendita immobiliare tra la società e il ricorrente, come conclusa il 22.1.2001;

2. per il tribunale, il prezzo pagato dall’acquirente R. era notevolmente sproporzionato rispetto al suo valore (secondo la perizia condivisa, del 48%), lo stato del bene era coerente (secondo l’istruttoria) al suo status di immobile ad uso abitativo e l’appellante non aveva dimostrato la sua inscientia decoctionis; l’appello incidentale della curatela era invece rigettato, sul punto della domanda di condanna al pagamento di un’indennità di occupazione, perchè non provato il danno, insussistente in re ipsa; le spese del grado erano così compensate;

3. con il ricorso, in due motivi, si contesta la decisione denunciando violazione della L. Fall., art. 67, comma 1, per errata individuazione della notevole sproporzione e vizio di motivazione sul medesimo punto, contrassegnato altresì da nullità della sentenza per grave illogicità e contraddittorietà della motivazione stessa, avendo invero il tribunale: a) disconosciuto il calcolo della differenza tra prezzo stimato e prezzo pagato calcolando sul secondo, e non sul primo, l’incidenza della differenza, che sarebbe così risultata non pari al 48% bensì al più modesto 25% circa; b) non commisurato esattamente l’IVA; c) sbagliato il riferimento al valore di stima rispetto alla situazione di bene al rustico dell’immobile; d) omesso il richiamo agli elementi di prova della inscientia decoctionis.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. il ricorso è inammissibile; da una valutazione unitaria dei

motivi, per la loro intima connessione, discende un primo globale giudizio di ostatività al riesame delle valutazioni compiute dal giudice di merito sui requisiti – oggettivo e soggettivo – dell’azione intrapresa dalla curatela, che hanno invece trovato compiuta selezione quanto agli elementi istruttori e puntuale disamina in contraddittorio; così va ribadito che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conti. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunci-abile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. s.u. 8053/2014; Cass.21257/2014); così che “non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata” (Cass. 23940/2017);

2. con maggior riguardo al primo motivo, e comunque al profilo della pretesa erroneità della nozione matematica della sproporzione notevole, basti invero il richiamo a Cass. 13881/2015 che, sulla scia di indirizzo consolidato (cfr. già Cass. 14/1998) e qui condiviso, ha statuito che “in tema di revocatoria fallimentare, la valutazione sulla “notevole sproporzione” tra le prestazioni eseguite e le obbligazioni assunte dal fallito e ciò che a lui è stato dato o promesso, necessaria per la dichiarazione di inefficacia del negozio ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 1) (nella versione anteriore alla modifica di cui al D.L. 14 marzo 2005, n. 35, conv. con modif. dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, applicabile “ratione temporis”), deve essere effettuata “ex ante”, ossia al momento della conclusione del contratto, dovendosi prescindere da una misura fissa o parametro da cui desumere il depauperamento patrimoniale del debitore (analoga alla lesione “ultra dimidium” propria della rescissione), poichè è sufficiente, per la sua configurabilità, che tale depauperamento sia consistente. Il relativo giudizio costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato”; nella specie, invero, la corte non si è limitata a riferirsi al dato di sproporzione, ma ha esteso l’apprezzamento nello specifico anche ai valori, reputandone la discordanza siccome grave;

3. la stessa regola sopra citata concerne inoltre l’incidenza dello stato amministrativo e materiale dell’immobile (la sua destinazione abitativa rispetto alla cd. rusticità, l’importo dei lavori in sanatoria o a ripristino) e il regime fiscale, tutti elementi considerati nella C.T.U., cui motivatamente ed espressamente ha fatto rinvio la corte d’appello anche per i punti non condivisi dall’appellante (Cass. 15147/2018), così refluendo la censura nel mero richiamo di una diversa conclusione a sè favorevole, come tale inammissibile;

4. circa la scientia decoctionis si osserva che l’onere della prova ricadeva sul convenuto, secondo la regola, pienamente rispettata in sentenza, per cui “al fine di vincere la presunzione di conoscenza dello stato d’insolvenza, posta dalla L. Fall., art. 67, comma 1, n. 1 (nel testo “ratione temporis” vigente), grava sul convenuto l’onere della prova contraria, la quale non ha contenuto meramente negativo, e non può quindi essere assolta con la sola dimostrazione dell’assenza di circostanze idonee ad evidenziare lo stato d’insolvenza, occorrendo invece la positiva dimostrazione che, nel momento in cui è stato posto in essere l’atto revocabile, sussistessero circostanze tali da fare ritenere ad una persona di ordinaria prudenza ed avvedutezza che l’imprenditore si trovava in una situazione di normale esercizio dell’impresa.” (Cass. 17998/2009); nella vicenda, al contrario, sono emersi, e hanno trovato compiuta valorizzazione argomentativa, circostanze indizianti proprio della positiva conoscenza in capo all’acquirente dell’insolvenza della società, conclusione incensurabile, per quanto premesso;

5. il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, con ogni statuizione condannatoria avendo riguardo al principio della soccombenza. Si dà atto inoltre – mancando ogni discrezionalità al riguardo (cfr., tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass., Sez., U. 27/11/2015, n. 24245; Cass., Sez., U. 20/06/2017, n. 15279) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, a norma del detto art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in favore del controricorrente in Euro 5.100, per compensi e inclusivi di Euro 100 per esborsi, oltre oneri accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 4 febbraio 2020

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