Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24202 del 29/11/2016


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Cassazione civile sez. trib., 29/11/2016, (ud. 12/10/2016, dep. 29/11/2016), n.24202

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2047-2012 proposto da:

SC SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA GIOVANNI BETTOLO 36, presso lo

studio dell’avvocato SANTINA D’ERAMO, rappresentato e difeso

dall’avvocato DOMENICO AFFENITA giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI ROMA (OMISSIS) in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 140/2011 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 07/06/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/10/2016 dal Consigliere Dott. TRICOMI LAURA;

udito per il ricorrente l’Avvocato D’ERAMO per delega orale

dell’Avvocato AFFENITA che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato CASELLI che si riporta agli

atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE SERGIO che ha concluso per l’inammissibilità o rigetto del

ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con la sentenza n. 140/02/11, depositata il 7.6.2011 e non notificata, confermava la decisione di primo grado che aveva respinto l’impugnazione proposta dalla società S.C. SRL (di seguito S.C.), esercente attività compravendita e gestione di immobili, avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), emesso il D.P.R. n. 600 del 1972, ex art. 39, per IVA, IRPEG ed IRAP per l’anno di imposta 2000.

La contestazione seguiva ad una verifica fiscale a carattere generale per l’anno 2003, estesa agli anni 1999/2000 e riguardava l’omessa fatturazione, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, di canoni di locazione con una ripresa ai fini IVA pari a Lire 578.642.015 e l’indebita detrazione di quote di ammortamento per Lire 128.432.051, ai fini IRPEG ed IRAP.

La ripresa IVA aveva riguardato l’attività di gestione, ristrutturazione e locazione dell’immobile sito in Via (OMISSIS), acquistato nel (OMISSIS), mediante scrittura privata. Nell’anno oggetto del controllo la società aveva iniziato i lavori di ristrutturazione dell’immobile al fine di destinarlo alla locazione e per lo svolgimento di tali lavori aveva stipulato in data (OMISSIS) un contratto di appalto con la società Mareco Edilizia SRL (di seguito Mareco) per l’ammontare di Lire 4.380.000.000; il pagamento dei corrispettivi indicati nelle fatture emesse dalla Mareco era stato effettuato dalla società Gruppo Eldo SPA (di seguito Eldo), a seguito di un accordo stipulato dalla società verificata con quest’ultima in data (OMISSIS). L’accordo prevedeva la corresponsione a titolo di anticipazione da parte della Eldo delle somme a copertura delle fatture emesse dalla Mareco, e la S.C. si impegnava a concedere in locazione l’immobile di cui sopra al termine dell’esecuzione dei lavori di ristrutturazione per un periodo di dodici anni.

Sulla base della scrittura privata stipulata dalle parti risultava che i canoni di locazione concordati, dovuti dalla Eldo, sarebbero stati scomputati ai fini del rimborso da parte della S.C. dell’anticipazione concessa dalla società conduttrice a quest’ultima per consentire il completamento dei lavori di ristrutturazione.

Nell’anno di imposta, quindi, l’appaltatrice Mareco fatturava regolarmente lo stato di avanzamento dei lavori effettuati nei confronti della S.C. SRL.

Secondo l’Amministrazione finanziaria, ai fini IVA, le somme anticipate dalla Eldo alla S.C., sulla base dell’accordo stipulato con quest’ultima, erano da ritenersi, a tutti gli effetti, un anticipato pagamento di canoni di locazione futuri dovuti dalla conduttrice alla società verificata, che non erano stati assoggettati ad IVA ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6 e su ciò aveva sviluppato l’accertamento. La società aveva invece sostenuto la autonomia contrattuale delle due pattuizioni.

Inoltre, secondo l’amministrazione, la quota di ammortamento dei costi di ristrutturazione dell’immobile riferibile all’anno 2000 era stata erroneamente detratta nella misura intera, anzichè al 50%, come prescritto dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 2, trattandosi di primo esercizio nel quale veniva impiegato il bene strumentale.

2. Il giudice di appello, nel confermare la legittimità dell’operato dell’Amministrazione, osservava che la ricostruzione dei rapporti intercorsi tra la contribuente e la Eldo erano pacifici e che, quindi, la materia del contendere atteneva solo all’interpretazione dei due contratti stipulati tra le parti il (OMISSIS).

Affermava, quindi, che l’esame delle scritture poneva il luce che la comune volontà delle parti era quella di disciplinare la locazione dell’immobile, consentendo l’immediata esecuzione dei lavori e che il regolamento negoziale era costruito in funzione della sola locazione; inoltre il contratto di locazione precisava solo il canone annuo, mentre le modalità di esecuzione del pagamento erano riportate in una scrittura privata in pari data ove erano stabilite le modalità di compensazione tra rimborso è canoni di locazione, secondo un prospetto che, contrariamente a quanto sostenuto dalla contribuente, non era un piano di ammortamento. Escludeva quindi che dai contratti potesse desumersi che le parti avevano voluto dar vita ad un mero finanziamento. Ugualmente escludeva rilevanza alle vicende successive intercorse tra le parti, che avevano visto concludersi la locazione con uno sfratto per morosità, seguito dalla stipula di un contratto di locazione con un terzo e la cessione del credito al rimborso dell’anticipazione ad altro terzo, eventi compatibili con il venir meno della locazione.

Con riferimento al mancato riconoscimento dell’ammortamento anticipato, osservava che la parte non aveva provato di avere soddisfatto le condizioni di legge, nè che l’importo portato in deduzione era effettivamente pari al 50% dei coefficienti massimi stabiliti.

3. La società propone ricorso per cassazione su quattro motivi, corredato da memoria ex art. 378 c.p.c.; l’Agenzia replica con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Primo motivo – Applicabilità al caso di specie della normativa sul mutuo di scopo, ricorribilità avverso la sentenza per violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

La ricorrente, dopo essersi dilungata sulle caratteristiche del mutuo di scopo, sostiene che non vi era stata alcuna mancata fatturazione, poichè il denaro ricevuto dalla Eldo sarebbe stato oggetto di compensazione solo al momento successivo in cui il contratto di locazione avrebbe avuto decorrenza ed insiste nel definire l’operazione come un finanziamento individuabile nella figura del contratto di mutuo di scopo. A sua iniziativa così sintetizza il motivo: “Dica la Corte che nel caso di specie, essendo la volontà delle parti consensualmente trasfusa in un contratto di mutuo, oneroso ed atipico per sua natura, con funzione creditizia per la società S.C. la sentenza… debba essere riformata per violazione e falsa applicazione della norma stessa e conseguentemente dichiarare che per gli anni di accertamento non poteva essere emesso alcun documento fiscale dalla ricorrente. Ciò in quanto l’importo ricevuto in prestito non può essere inquadrato nella cd. anticipazione del canone di locazione bensì nella fattispecie tipica del contratto di mutuo scopo.”.

1.2. Secondo motivo – Violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 3, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

La ricorrente, dopo avere denunciato la nullità assoluta del pvc, sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla CTR, l’ammortamento non era avvenuto oltre il limite consentito dalla norma, in quanto aveva provveduto a soddisfare le condizioni alle quali la facoltà di elevare la misura massima della deducibilità era subordinata, segnatamente ad accantonare l’eccedenza (rispetto alla quota calcolata applicando gli ordinari coefficienti ministeriali) in un’apposita riserva che agli effetti fiscali costituiva parte dell’ammortamento. A sua iniziativa così sintetizza il motivo: “Dica la Corte che la società ricorrente aveva legittimamente, in applicazione della disposizione normativa di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 3, diritto alla deduzione dell’intero costo delle opere di ristrutturazione dell’immobile, e pertanto la somma pari al 50% è stata correttamente individuata ed indicata, avendo la società S.C. correttamente eseguito la deducibilità dell’ammortamento”.

1.3. Terzo motivo – Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in merito al mancato inquadramento della fattispecie nell’istituto giuridico del mutuo di scopo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – omessa pronuncia. A sua iniziativa così sintetizza il motivo: “Dica la Corte che nel caso in esame la società ricorrente aveva rilevato ed individuato la norma di diritto applicabile al caso di specie e tale motivo di doglianza non è stato oggetto di decisione da parte della CTR. Si è verificata da parte della Commissione l’omessa decisione su un fatto decisivo e controverso”.

1.4. Quarto motivo – Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione con riferimento alla norma di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 3, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). A sua iniziativa così sintetizza il motivo: “Dica la Corte che nel caso in esame la società ricorrente aveva rilevato ed individuato la norma di diritto applicabile al caso di specie ed indicato in modo chiaro e preciso l’importo portato in deduzione e tale motivo di doglianza non è stato oggetto di decisione da parte della CTR. Si è verificata da parte della Commissione l’omessa decisione su un fatto decisivo e controverso”.

2.1. Tutti i motivi sono inammissibili.

2.2. Quanto al primo, l’inammissibilità deriva in primo luogo dal rilievo che la ricorrente ha omesso di indicare le norme di diritto che sarebbero state violate dalla Corte territoriale e su cui si fonda la doglianza. Ed invero, pur aderendo all’orientamento giurisprudenziale (Cass. 26091/05) secondo cui l’indicazione delle norme che si assumono violate non si pone come requisito autonomo ed imprescindibile ai fini dell’ammissibilità del ricorso occorre comunque tener presente che si tratta di un elemento richiesto al fine di chiarire il contenuto delle censure formulate e di identificare i limiti dell’impugnazione, ragion per cui la mancata indicazione delle disposizioni di legge può comportare l’inammissibilità della singola doglianza qualora gli argomenti addotti, come nel caso di specie, non consentano di individuare le norme e i principi di diritto che si assumono violati (cfr. Cass. n. 4233/2012).

Va inoltre considerato che il motivo presuppone come accertata la ricorrenza del contratto di mutuo di scopo, laddove tale circostanza è stata esclusa dalla CTR, sulla scorta di una puntuale analisi ed interpretazione dei contratti e delle scritture intercorse tra le parti; tale attività avrebbe potuto essere censurata con riferimento alle norme civilistiche che disciplinano l’interpretazione dei contratti (artt. 1362 e ss. c.c.), ma ciò non è avvenuto.

2.3. Quanto al secondo motivo, va rilevato che la censura non coglie la ratio decidendi espressa dalla Commissione, ed incentrata sul mancato assolvimento da parte della società dell’onere probatorio, come si rileva dall’affermazione “Non dimostra però l’appellante che l’importo portato in deduzione sia effettivamente pari al 50% dei coefficienti massimi stabiliti”. Invero la censura, carente sul piano dell’autosufficienza perchè non riporta nè l’avviso di accertamento, nè il pvc, quanto meno nei passi salienti, e rinvia ad un bilancio il cui contenuto non è trascritto, si limita a ribadire la tesi della ricorrente, ma non censura questa specifica ratio decidendi, nè offre elementi idonei a consentire la valutazione in concreto di quanto assertivamente sostenuto.

2.4. Quanto al terzo ed al quarto motivo, premesso che il motivo di ricorso con cui, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo (Cass. nn. 17761/2016, 21152/2014), si deve osservare che le doglianze circa la omessa motivazione in ordine al mancato inquadramento della fattispecie nell’istituto giuridico del mutuo di scopo e sulla disposizione di cui all’art. 67, comma 3, cit., non attengono a fatti, ma all’interpretazione giuridica dell’attività negoziale delle parti formulata dalla CTR all’esito dell’attività interpretativa svolta ed all’osservanza delle disposizioni in tema di ammortamento e non rispondono al parametro normativo del vizio dedotto.

2.5. Va inoltre rilevato che tutte le doglianze sono infine inammissibili perchè, per come poste, sollecitano, peraltro in modo meramente assertivo, un riesame delle risultanze processuali e dell’apprezzamento dei fatti, attività precluse in sede di legittimità perchè dirette all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione.

3. In conclusione il ricorso va rigettato per inammissibilità dei motivi. Le spese di giudizio seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

La Corte di cassazione;

– rigetta il ricorso per inammissibilità dei motivi;

– condanna la ricorrente alla refusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida nel compenso di Euro 12.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2016

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