Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24201 del 30/09/2019

Cassazione civile sez. III, 30/09/2019, (ud. 08/11/2018, dep. 30/09/2019), n.24201

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi A. – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

L.T.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE REGINA

MARGHERITA 157, presso lo studio dell’avvocato GIULIO MURANO,

rappresentato e difeso dall’avvocato NICOLA GULFO giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

L.N., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE G. MAZZINI 112,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MASSIMO CANDREVA,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE RAGO giusta procura in

calce al controricorso;

ISMEA ISTITUTO DI SERVIZI PER IL MERCATO AGRICOLOALIMENTARE, in

persona del Commissario straordinario, Prof. C.E.,

Commissario elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE PARIOLI 79H,

presso lo studio dell’avvocato MICHELE LOBIANCO, rappresentata e

difesa dall’avvocato UMBERTO PISTONE giusta procura in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1059/2014 del TRIBUNALE di MATERA, depositata

il 25/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/11/2018 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ordinanza ex art. 348 ter c.p.c. del 15/6/2016 la Corte d’Appello di Potenza ha dichiarato inammissibile il gravame interposto dal sig. L.T.D. in relazione alla pronunzia Trib. Matera 25/11/2014, di rigetto della domanda proposta nei confronti dell’Ismea e del sig. L.N. di accertamento del vantato diritto di prelazione agraria e declaratoria di inefficacia dell’atto a rogito notaio M.M. di vendita a quest’ultimo di cespiti fondiari descritti nel suindicato atto pubblico dell’11/5/2009, nonchè di risarcimento del conseguentemente lamentato danno.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il L.T. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 8 motivi.

Resistono con separati controricorsi l’Ismea e il L..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” della L. n. 590 del 1965, artt. 8, 12 e 14, L. n. 2362 del 1952, art. 12, L. n. 817 del 1971, art. 7, L. n. 99 del 2004, art. 8 e L. n. 265 del 1976, art. unico in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4.

Con il 2 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” della L. n. 590 del 1965, artt. 8, 12 e 14, L. n. 817 del 1971, art. 7, L. n. 99 del 2004, art. 8 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Con il 5 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” degli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.

Con il 6 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” degli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., L. n. 265 del 1976, art. 1, L. n. 590 del 1965, artt. 8, 12 e 14, L. n. 817 del 1971, art. 7, L. n. 99 del 2004, art. 8, D.Lgs. n. 114 del 1948, art. 1 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.

Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che con “la L. n. 265 del 1976, art. unico rubricato “modifiche ed integrazioni alla L. n. 590 del 1965″… il legislatore… ha voluto incidere semplicemente sul diritto di prelazione” di cui alla L. n. 590 del 1965, art. 8 laddove resta ferma “l’applicazione, alla fattispecie, di tutte le ulteriori disposizioni in materia, tra cui la L. n. 817 del 1971, art. 7, comma 2, n. 2 e la L. n. 99 del 2004, art. 8 (tra l’altro successivo alla L. n. 265 del 1976)… giammai abrogati”.

Lamenta non essersi dai giudici di merito considerato che “la legge del 1976 deve considerarsi come avente carattere eccezionale”, sicchè “tutta la disciplina previgente in materia può considerarsi applicabile anche nelle fattispecie previste dalle nuove norme, se non esplicitamente derogate o inequivocamente non compatibile con esse”, incompatibilità nella specie invero insussistente.

Si duole che “nella fattispecie in esame il Giudice di prime cure ha escluso il diritto di prelazione del proprietario dei terreni confinanti, ovvero dell’odierno ricorrente, con una erronea interpretazione e palese violazione e falsa applicazione della L. n. 265 del 1976, art. unico e dell’intero quadro normativo di riferimento, ritenendo applicabili la L. n. 590 del 1965, artt. 12 e 14 che richiama il diritto di prelazione previsto dal precedente art. 8, senza motivare circa l’avvenuto assolvimento degli adempimenti incombenti sulla Cassa, relativi alla riorganizzazione del fondo sul piano produttivo e alle condizioni e/o modalità che devono precedere la rivendita, nonostante l’Ismea abbia operato al di fuori della ricomposizione fondiaria di cui alla L. n. 590 del 1965, art. 12 rivendendo il fondo in oggetto al sig. L.N., nello stesso giorno ed allo stesso prezzo in cui lo aveva acquistato, senza un lasso temporale”.

Lamenta non essersi dalla corte di merito tenuto nemmeno conto della circostanza che egli incontestatamente “gode di tutti i requisiti di legge sia per l’esercizio del diritto di prelazione e riscatto… che per l’accesso all’acquisto di fondi Ismea”, essendo “in possesso della qualifica di coltivatore diretto”, nonchè “proprietario confinante”, e sussistendo nella specie l'”ulteriore condizione negativa, costituita dall’assenza di insediamenti qualificati sul fondo oggetto di retratto (L. n. 817 del 1971, art. 7)”.

Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che la L. n. 590 del 1965, art. 14 “sacrifica… il diritto di prelazione del proprietario di terreni confinanti con quelli posti in vendita dagli enti di sviluppo, allorchè si debba procedere alla ricomposizione fondiaria, mediante la trasformazione e la formazione di efficienti unità produttive”, laddove nella specie tale norma risulta inapplicabile “poichè la vendita avvenuta in favore del L.N. non ha avuto, quale finalità, la ricomposizione fondiaria, in quanto la stessa era già avvenuta ed era insita nella natura e dimensione del compendio fondiario trasferito. Tanto è comprovato dalla contestualità temporale delle operazioni di acquisto (dai precedenti proprietari) e di vendita (a favore dell’attuale assegnatario sig. L.N.) avvenute in pari data (11/05/2009)”, sicchè l'”istituto… non ha effettuato alcuna trasformazione e/o attività specifica diretta a promuovere la trasformazione fondiaria, operando al di fuori della ricomposizione fondiaria di cui alla L. n. 590 del 1965, art. 12 sì da comportarsi alla pari di un privato venditore, effettuando una intermediazione/interposizione immobiliare tra gli originari proprietari e l’assegnatario finale, al fine di eludere il diritto di prelazione riconosciuto ex lege al ricorrente che, in fase d’istruzione della domanda di acquisto, doveva risultare “preferito” a qualsiasi altro soggetto richiedente”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono infondati.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la natura pubblicistica degli enti di sviluppo agrario e la finalità dagli stessi perseguita (consistente nella formazione e nello sviluppo di imprese agrarie a carattere familiare, efficienti e razionalmente organizzate) sono presenti sia nel momento in cui essi procedono all’acquisto delle aziende destinate alla trasformazione sia successivamente, allorchè, attuando la legge, cedono in proprietà le aziende trasformate; con la conseguenza che la deroga disposta alla L. n. 590 del 1965, art. 14 al diritto di prelazione in favore dei proprietari di terreni confinanti con quelli “trasformati” (diritto sancito dalla L. n. 590 del 1965, art. 8) trova applicazione sia nel momento dell’acquisizione dei fondi da parte di detti enti, sia in quello successivo della cessione (v. Cass., 18/11/1994, n. 9761. V. altresì Cass., 31/3/2008, n. 8290).

Orbene di tale principio i giudici di merito hanno nel caso fatto invero piena e corretta applicazione.

Nel condividere “le argomentazioni del giudice di prime cure” (il quale ha posto in rilievo: a) che “l’intervento degli enti di sviluppo nella formazione della proprietà coltivatrice ha lo scopo, precipuo, della formazione e dello sviluppo di imprese agricole a carattere familiare efficienti e razionalmente organizzate, come si ricava sia dal contesto della previsione, sia dalla lettera del D.P.R. 23 giugno 1962, n. 948, art. 1 sia dai lavori preparatori della L. n. 590 del 1965” ha “natura pubblicistica”, caratterizzante sia il “momento in cui gli stessi procedono all’acquisto delle aziende agricole destinate alla trasformazione sia, successivamente, allorchè, attuando la legge cedono in proprietà le aziende trasformate o di cui promuovono la trasformazione attraverso lo strumento della vendita con patto di riservato dominio”, pervenendo ad affermare essere nella specie “palese” che “la deroga prevista dall’art. 14 non può non trovare applicazione oltre che nel momento iniziale, anche in quello finale in cui si articola l’intervento degli enti di sviluppo”; b) che allorquando “gli enti o l’Ismea procedono alla cessione delle aziende trasformate” è “nel loro potere discrezionale l’identificazione dei beneficiari delle nuove aziende agrarie”, e, “con riferimento al momento della successiva alienazione da parte dell’Ismea del fondo acquistato”, il retratto agrario trova “la propria autonoma fonte e disciplina normativa nella L. n. 265 del 1976, art. unico che, in presenza di alcuni determinati requisiti di carattere oggettivo e soggettivo, riconosce tale diritto di prelazione all’affittuario del terreno oggetto di cessione a titolo oneroso”, laddove “nessuna equiparazione” può in proposito “predicarsi tra la situazione soggettiva dell’affittuario e quella del proprietario di terreni confinanti, atteso anche il carattere eccezionale dell’istituto della prelazione agraria, non suscettibile come tale di opzioni interpretative estensive o improntate al ricorso all’analogia”, giacchè l'”art. unico citato nulla prevede… con riferimento alla posizione del proprietario di terreni confinanti, e ciò nonostante la L. n. 817 del 1971, art. 7 avesse all’epoca già provveduto a estendere in suo favore il campo di efficacia della prelazione agraria di cui alla L. n. 590 del 1965, art. 8″; c) che “con riguardo ai trasferimenti a titolo oneroso posti in essere da enti pubblici, il silenzio serbato dalla successiva lex specialis (L. n. 265 del 1976, art. unico) appare pertanto eloquente, non consentendo in subiecta materia la medesima equiparazione tra affittuario e confinante che il legislatore ha invece voluto espressamente sancire in tutte le altre ipotesi di alienazioni a titolo oneroso”), e richiamando il precedente di questa Corte costituito da Cass. n. 9761 del 1994, la corte di merito, dopo avere premesso che “la natura pubblicistica degli enti di sviluppo agrario e la finalità dagli stessi perseguita – consistente nella formazione e nello sviluppo di imprese agrarie a carattere familiare, efficienti e razionalmente organizzate – sono presenti sia nel momento in cui gli stessi procedono all’acquisto delle aziende agricole destinate alla trasformazione sia, successivamente, allorchè, attuando la legge cedono in proprietà le aziende trasformate”, sicchè “la deroga disposta dalla L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 14 al diritto di prelazione in favore dei proprietari di terreni confinanti con quelli “trasformati”… trova applicazione sia nel momento dell’acquisizione dei fondi da parte di detti enti, sia in quello successivo della cessione”, è pervenuta ad affermare che nella specie “dalla lettura degli atti di acquisto e successiva vendita con riserva di proprietà risulta che l’Ismea, con determina del 19.02.2007 è stato autorizzato all’acquisto del fondo, in attuazione delle provvidenze a favore della piccola proprietà contadina di cui al D.Lgs. n. 114 del 1948 e succ. modif. e in relazione della (recte, alla) domanda presentata dal L. e alla istruttoria svolta con la predetta determina”, ritenendo che “il predetto L. avesse i requisiti di cui al D.Lgs. n. 114 del 1948 e succ. modif., art. 1”.

Orbene, va al riguardo considerato che la corte di merito ha espressamente avallato e fatto proprie (anche) le affermazioni del giudice di prime cure secondo cui “ove, come si invoca, si dovesse interpretare il più volte citato art. 14 nel senso che gli atti di cessione da parte degli enti di sviluppo in favore “di coltivatori diretti in possesso dei prescritti requisiti” sono soggetti alla prelazione in favore dei proprietari di terreni confinanti con i propri scopi… gli enti in questione sarebbero, inammissibilmente, privati di qualsiasi potere discrezionale, in ordine all’identificazione dei beneficiari delle nuove aziende agrarie, coincidendo questi, in primis con i detti proprietari confinanti”, sottolineando trattarsi di “circostanza… che deve tassativamente escludersi, data la formula della legge ove prevede che gli assegnatari preferiti sono non i coltivatori diretti in possesso dei prescritti requisiti proprietari di fondi confinanti ma quelli già insediati sui fondi in qualità di mezzadri, coloni, compartecipanti o affittuari singoli o associati in cooperative”, nonchè ulteriormente osservando come “il diritto di prelazione e riscatto di cui alla L. n. 590 del 1965, art. 8 pur se generalissimo, non possa operare non solo ove esplicitamente derogato ma anche nelle ipotesi inequivocabilmente incompatibili con esso”.

La corte di merito è pervenuta quindi a rilevare la sussistenza di “una incompatibilità logica tra il procedimento di cui si discute e il diritto di prelazione e riscatto azionato da parte attrice, in quanto “il diritto di prelazione sorge “in caso di trasferimento a titolo oneroso o di concessione in enfiteusi di fondi rustici” allorchè per il cedente è irrilevante la persona del cessionario (a parità di corrispettivo e di condizioni contrattuali)”, laddove “totalmente diversa è la situazione che sussiste nella specie in cui, per un verso, la vendita non è affatto il risultato di una scelta “discrezionale” per l’ente cedente, ma un comportamento dovuto ex lege (“da cedere sollecitamente in proprietà”); d’altro canto, l’individuazione dell’assegnatario è in parte il risultato di una scelta discrezionale dell’ente pubblico (e non sindacabile da parte dell’a.g.o.), in parte deve avvenire secondo criteri prefissati dalla legge (che al riguardo non prevede, tra i beneficiari, i proprietari di fondi confinanti)”.

Orbene, va al riguardo ulteriormente posto in rilievo che l’applicazione nella specie del suindicato principio costituisce invero il corollario del previo accertamento da parte del giudice di merito – in esplicazione dei poteri ad esso riservati – in merito alla ricorrenza nella specie dei relativi presupposti di fatto che tale individuazione legittimano, accertamento invero incensurabile nella presente sede in presenza come nel caso di congrua motivazione.

Nè può d’altro canto sottacersi che la corte di merito ha raggiunto le sopra riportate conclusioni tenendo invero ben presente la censura già in sede di gravame mossa dall’odierno ricorrente e allora appellante, secondo cui “l’Ismea acquistando e contestualmente vendendo i terreni in oggetto non abbia effettuato alcuna trasformazione o attività specifica diretta a promuovere la trasformazione fondiaria”, laddove “la L. n. 590 del 1965, art. 12 … in realtà impone solo di tener conto delle unità lavorative che costituiscono il nucleo dei lavoratori insediati da almeno un biennio sui terreni oggetto dell’intervento e che abbiano formulato richiesta di partecipare alla vendita e null’altro”.

Orbene, essendosi l’odierno ricorrente in realtà limitato a sostanzialmente riproporre la censura già sottoposta al vaglio dei giudici del gravame e dai medesimi non accolta, emerge con tutta evidenza come le suindicate rationes decidendi risultino nella specie dal medesimo (quantomeno) non idoneamente censurate.

Con il 3 e il 7 motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Con l’8 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’art. art. 91 c.p.c., D.M. 10 marzo 2014, art. 4 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

I motivi sono inammissibili.

Essi risultano formulati in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che il ricorrente fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, all'”atto di citazione notificato in data 17/03/2010″, all'”atto pubblico di vendita dell’11.05.2009 (doc. 4.1. fasc. di parte attorea di prime cure in doc. 4 fasc. di parte appellante in doc. 4)”, al “doc. 2 fasc. di parte attorea di prime cure in doc. 4 fasc. di parte appellante in doc. 4)”, al “doc. 3 fasc. di parte attorea di prime cure in doc. 4 fasc. di parte appellante in doc. 4)”, alla “Racc. a/r del 25/02/2006 – doc. 5 fasc. di parte attorea di prime cure in doc. 4 fasc. di parte appellante in doc. 4″, all'”ulteriore nota diretta sempre all’istituto fondiario contenente domanda di acquisto (Racc. a/r del 29/01/2008 – doc. 6 fasc. di parte attorea di prime cure in doc. 4 fasc. di parte appellante in doc. 4)”, al “mero richiamo alle limitazioni di cui alla L. n. 590 del 1965, art. 14 (doc. 7 fasc. di parte attorea di prime cure in doc. 4 fasc. di parte appellante in doc. 4)”, alle “memorie istruttorie”, all’atto di appello, al non risultare “nel terreno in oggetto… insediarti mezzadri, coloni, affittuari o compartecipanti”, all’avere “l’Ismea rivenduto il fondo in oggetto al L.N. nello stesso giorno ed allo stesso prezzo in cui lo aveva acquistato, senza cioè, lasso temporale (doc. 4 e 4.1 fasc. di parte attorea di prime cure in doc. 4 fasc. di parte appellante in doc. 4)”, alla circostanza che sui “fatti costitutivi” del retratto “le controparti non hanno sollevato alcuna contestazione”, alla “pag. 18 punto 5.2 dell’atto di appello (doc. 1 di parte appellante in doc. 4)”) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente (per la parte strettamente d’interesse in questa sede) riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

A tale stregua, l’accertamento in fatto e la decisione dalla corte di merito adottata e nell’impugnata decisione rimangono invero dall’odierna ricorrente non idoneamente censurati.

E’ al riguardo appena il caso di osservare che (anche) ai fini della censura di error in procedendo ex art. 112 c.p.c. i requisiti di formazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c. vanno indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilità del medesimo.

Essi rilevano infatti ai fini della giuridica esistenza e conseguente ammissibilità del ricorso, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 5 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221).

Nè può assumere in contrario rilievo la circostanza che la S.C. sia in tale ipotesi (anche) “giudice del fatto”.

Giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità il requisito prescritto all’art. 366 c.p.c., n. 6 deve essere infatti dal ricorrente comunque rispettato nella redazione del ricorso per cassazione (come ripetutamente da questa Corte ripetutamente affermato: v., da ultimo, Cass., 9/3/2018, n. 5649, nonchè, con particolare con riferimento all’ipotesi dell’error in procedendo ex art. 112 c.p.c., Cass., Sez. Un., 14/5/2010, n. 11730; Cass., 17/1/2007, n. 978), giacchè pur divenendo la Corte di legittimità giudice anche del fatto (processuale), con potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, preliminare ad ogni altra questione si prospetta invero quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo, sicchè esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte Suprema di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221, e, conformemente, Cass., 13/3/2007, n. 5836; Cass., 17/1/2012, n. 539, Cass., 20/7/2012, n. 12664, nonchè, da ultimo, Cass., 24/3/2016, n. 5934 e Cass., 25/9/2017, n. 22333).

Va per altro verso posto in rilievo come, al di là della formale intestazione dei motivi, il ricorrente deduca in realtà doglianze (anche) di vizio di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), nel caso ratione temporis applicabile, sostanziantesi nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche come nella specie l’omesso e a fortiori l’erronea valutazione di determinate emergenze probatorie (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, conformemente, Cass., 29/9/2016, n. 19312).

Senza infine sottacersi che il ricorrente ripropone la doglianza circa la mancata considerazione del precedente di questa Corte costituito da Cass. n. 8290/2008, senza invero peritarsi di debitamente censurare la ratio decidendi secondo cui “del tutto inconferente è… il richiamo alla sentenza della Cassazione sez. 3 n. 8290/2008 che disciplina il caso della esclusione del diritto di prelazione dell’affittuario coltivatore diretto del fondo acquistato dalla Cassa e rivenduto in pari data), mentre nel caso di specie si discute del diritto di prelazione di un confinante del fondo oggetto di compravendita”.

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni del ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (cfr. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile prospettazione di una rivalutazione del merito della vicenda comportante accertamenti di fatto invero preclusi a questa Corte di legittimità, nonchè una rivalutazione delle emergenze probatorie, laddove solamente al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, non potendo in sede di legittimità riesaminarsi il merito dell’intera vicenda processuale, atteso il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi.

Per tale via in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi all’attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore di ciascuno dei controricorrenti, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 6.400,00, di cui Euro 6.200,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore di ciascuno dei controricorrenti Ismea e L..

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019

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