Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2420 del 04/02/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 2420 Anno 2014
Presidente: MASSERA MAURIZIO
Relatore: STALLA GIACOMO MARIA

SENTENZA

sul ricorso 9481-2008 proposto da:
A & G DI COMELLI & C. S.A.S. IN LIQUIDAZIONE
00931320428 in persona del socio accomandatario e
liquidatore GIANFRANCESCO COMELLI, elettivamente
domiciliata in ROMA, P.ZZA GIUNONE REGINA l, presso lo
studio dell’avvocato CARLEVARO ANSELMO, rappresentata
2t13
2224

e difesa dall’avvocato PAOLI GIAMPIERO giusta delega
in atti;
– ricorrente contro

JOHNSON DIVERSEY S.P.A. 02200000343 già JOHNSON WAX

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Data pubblicazione: 04/02/2014

PROFESSIONAL S.P.A. in persona del proprio Direttore
Finanziario ed Amministrativo Dott. CIRO AFFINITO,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO
VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato CAPRINO
DANIELE, che la rappresenta e difende unitamente

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2681/2007 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 11/10/2007, R.G.N. 3463/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/11/2013 dal Consigliere Dott. GIACOMO
MARIA STALLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

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all’avvocato MIRAGLIA FRANCESCO giusta delega in atti;

Svolgimento del processo e motivi della decisione.
1. Con decreto 10 maggio 94 del Tribunale di Milano, la A & G di Comelli & c. sas
veniva ingiunta di pagare alla Johnson Wax spa la somma di lire 64.755.14, oltre
accessori, a fronte di fatture impagate di fornitura merci dal febbraio al maggio 93.
Avverso tale decreto, la A & G di Comelli & c. sas proponeva opposizione eccependo

danni – pari ad almeno 700 milioni di lire – da essa vantato nei confronti della Johnson
Wax a seguito dell’illegittimo recesso di quest’ultima dal contratto di concessione di
vendita in esclusiva per la Regione Marche, in essere tra le parti dal ’90. Nella
costituzione della Johnson Wax, il Tribunale di Milano – con sentenza non definitiva
11194/03 e sentenza definitiva 13656/04 – revocava il decreto ingiuntivo e, dichiarata
la risoluzione del contratto per inadempimento grave della Johnson Wax medesima
(violazione della clausola di esclusiva), condannava quest’ultima al risarcimento dei
danni che quantificava, previa ctu, in euro 80.018,35 oltre accessori e spese.
Interposto appello dalla Johnson Diversey spa (nuova denominazione di Johnson
Wax spa) avverso le due sentenze (appelli riuniti) interveniva la sentenza n. 2681/07
con la quale la Corte di Appello di Milano, ribaltando integralmente la decisione di
prime cure: – respingeva l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla A & G di
Comelli & c. sas nonché ogni altra domanda da quest’ultima introdotta; – condannava
la medesima alla rifusione delle spese di lite e di ctu.
La A & G di Comelli & c. sas proponeva ricorso per cassazione avverso tale
sentenza, articolato su sette motivi. La Johnson Diversey spa resisteva con
controricorso. Entrambe le parti depositavano memorie ex art.378 cpc.

2.1 Con il primo motivo, la A & G di Comelli & c. sas lamenta violazione e/o falsa
applicazione di norme di diritto ex art. 360 1^ co. n.3 cpc con riferimento all’articolo
1456 cc (clausola risolutiva espressa), non avendo il giudice di appello considerato che
il piano di pagamento proposto dalla Johnson il 5 febbraio 93 aveva implicato la
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l’estinzione del debito per avvenuta compensazione con un maggior controcredito per

rinuncia da parte della stessa a far valere la clausola risolutiva espressa contenuta nel
contratto di concessione di vendita; il motivo è corredato – ex art.366 bis cpc, qui
applicabile ratione temporis – dal seguente quesito di diritto: “si chiede alla Suprema

Corte di Cassazione di stabilire se la concessione di una dilazione di pagamento
impedisce al creditore di far valere la clausola risolutiva espressa adducendo quei

Il motivo è inammissibile per almeno due ragioni.
Sotto un primo profilo, costituisce orientamento condiviso che: “in tema di ricorso

per cassazione, secondo la nuova disciplina introdotta dall’art. 366 bis cod.proc. civ., il
quesito di diritto con il quale deve concludersi a pena di inammissibilità ciascuno dei
motivi con i quali il ricorrente denunzia alla Corte un vizio riconducibile ad una n più
fattispecie regolate nei primi quattro numeri deirdrt. 360, cumulo primo, cocl_ priciv. deve essere risolutivo del punto della controversia e non può definirsi nella

richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di
legittimità”

(Sez. 5, Sentenza n. 17108 del 03/08/2007, Rv. 600540); e che: “A

norma dell’art. 366 bis cod. proc. civ., è inammissibile il motivo di ricorso per
cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e
astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua
riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a
definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal /
contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale!
abrogazione del suddetto articolo”.

(Sez. U, Sentenza n. 6420 del 11/03/2008, Rv.

602276). Più recentemente, si è osservato (Cass. 25903/13) in tema di dedotta
violazione ex art.360 1^ co.n.3) cpc, che: “Alla luce del ‘diritto vivente’ (tra le tante:

Cass. , sez. un., 5 febbraio 2008, n. 2658; Cass., 17 luglio 2008, n. 19769; Cass., 30
settembre 2008, n. 24339; Cass., 25 marzo 2009, n. 7197; Cass., 8 novembre 2010,
n. 22704), il quesito di diritto imposto dal citato art. 366 bis va formulato in modo tale
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medesimi pagamenti tardivi oggetto della dilazione concessa”.

da esplicitare una sintesi logico-giuridica della questione, cosi da consentire al giudice
di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in
casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata; in altri termini, esso
deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al
giudice di merito (siccome da questi ritenuti per veri, altrimenti mancando la critica di

della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad
avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. Sicchè, il quesito
non deve risolversi in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di
qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla
fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa
nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi altresi desumere il quesito stesso dal
contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale
abrogazione del suddetto articolo (Cass., sez. un., 11 marzo 2008, n. 6420). Ciò in
quanto il quesito di diritto, congegnato in una prospettiva volta a riaffermare la
cultura del processo di legittimità, risponde, al tempo stesso, all’esigenza dello ius
litigatoris – e cioè di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite
diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata – e della funzione
nomofilattica assegnata alla Corte di Cassazione, cosi da rappresentare, quindi, il
punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio
giuridico generale, risultando altrimenti inadeguata, e quindi non ammissibile,
l’investitura stessa del giudice di legittimità (così Cass., 9 maggio 2008, n. 11535)”.
Orbene, applicando tali principi al caso in esame, è evidente che il presente quesito di
i
diritto è stato dalla A & G di Comelli & c. sas formulato in maniera del tutto teorica e
priva di qualsivoglia collegamento (necessariamente intrinseco, come detto, al quesito
stesso) con la fattispecie concreta, di cui non fa minimamente menzione.

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pertinenza alla ratio decidendi della sentenza impugnata); b) la sintetica indicazione

Sotto un secondo e correlato profilo, il quesito è inammissibile anche perché la corte
di appello ha escluso – non in via generale, ma nella specificità del caso sottoposto
alla sua attenzione – che il piano di rientro potesse implicare rinuncia, nel protrarsi
degli inadempimenti, a far valere la clausola risolutiva espressa. Sul punto, la corte
territoriale ha così motivato (sent.pag.8): “il piano di pagamento 5 febbraio 93 non

di rientro cui legittimamente la creditrice poteva aderire per recuperare almeno parte
del proprio credito, e che quindi non vale rinuncia a trarre le conseguenze della
condotta inadempiente della concessionaria”. Ci si trova pertanto di fronte ad una
affermazione strettamente delibativa della situazione di fatto, e conseguente ad una
determinata ricostruzione del compendio probatorio; tale – a giudizio della corte di
appello – da escludere che l’accettazione del piano di rientro potesse valere, nel caso
di specie, quale rinuncia della Johnson a far valere la clausola risolutiva espressa. Si
verte dunque di una tipica materia sottratta al vaglio di legittimità, se non sotto
l’aspetto – qui non dedotto – del vizio motivazionale ex art.360 1^co.n.5) cc. Va
d’altra parte considerato che lo stesso motivo in oggetto si basa su una critica alla
valutazione probatoria della corte di appello, là dove quest’ultima non ha ravvisato,
nell’adozione del piano di rientro del 5 febbraio 93, una vera e propria rinuncia a far
valere, anche ai fini risolutori, il ritardo della A & G di Comelli & c. sas nel pagamento
delle fatture; il che vuol dire che, quand’anche si volesse superare l’ostacolo
rappresentato dalla su ravvisata astrattezza di formulazione del quesito di diritto, la
censura sarebbe purtuttavia inammissibile perché nella sostanza finalizzata a
suscitare, in sede di legittimità, una nuova valutazione di merito ed una diversa
ricostruzione della volontà delle parti.
2.2 Nel secondo e terzo motivo, A & G di Comelli & c. sas lamenta omessa e/o
insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio ex art. 360, 1^ co., n.5 cpc, non avendo il giudice di appello considerato, ad
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contiene espressioni abdicative o rinuncia torie, sicché costituisce semplice programma

esclusione della risoluzione, che: – la Johnson aveva continuato la fornitura a suo
favore anche dopo la lettera di ‘disdetta’ del 22 marzo 93, e ciò aveva fatto pur in
assenza di prestazione da parte di A & G di Comelli & c. sas delle” valide ed affidabili
garanzie sui pagamenti” alle quali la Johnson, nella medesima lettera 22 marzo 93,
aveva subordinato la protrazione delle forniture; – alla data della intimata risoluzione

gli unici mancati pagamenti erano, a quella data, quelli elencati nel piano di
pagamento del 5 febbraio 93, sicché “la Johnson ha dapprima concesso una dilazione
di pagamento accettando l’adempimento tardivo delle obbligazioni elencate nel piano
del 5 febbraio 93 e poi ha fondato la risoluzione del contratto sull’inadempimento di
quelle medesime obbligazioni dalla stessa accettate in precedenza”.
I due motivi sono suscettibili di trattazione unitaria perché entrambi destinati a far
constare una lacuna di tipo motivazionale in ordine alla idoneità/inidoneità del
comportamento di A & G di Comelli & c. sas a fondare la risoluzione del contratto, così
come invocata da Johnson e stabilita dalla corte di appello.
Anche tali motivi debbono ritenersi inammissibili per almeno due ragioni.
In primo luogo, l’articolo 366 bis cit. richiede, a pena di inammissibilità, che il
motivo di cui all’articolo 360, 1^ co.n.5) cpc contenga la chiara indicazione del fatto
controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria,
ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende
inidonea a giustificare la decisione. Soccorre in proposito l’orientamento consolidato
secondo cui: “Nella norma dell’art. 366-bis cod. proc. civ, nonostante la mancanza di
riferimento alla conclusività (presente, invece, per il quesito di diritto), il requisito
concernente il motivo di cui al n. 5 del precedente art. 360 – cioè la “chiara indicazione
del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della
motivazione [della sentenza impugnata] la rende inidonea a giustificare la decisione” 7

contrattuale (22 marzo 93) le fatture ingiunte non erano ancora venute a scadenza, e

deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e
riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato
allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli,
all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da
parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366-bis, che il

omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le
ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione”
(Cass.Sez. 3, Ordinanza n. 16002 del 18/07/2007, Rv. 598712); ed ancora: “In tema

di ricorso per cassazione, con cui si deduca il vizio di motivazione della sentenza
impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale
fatto, ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art.
366-bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il
relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione
riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto alla illustrazione del
motivo, così da consentire al giudice di valutare immediatamente la ammissibilità del
ricorso stesso. Tale sintesi non si identifica con il requisito di specificità del motivo ex
art. 366 comma 1, n. 4 cod. proc. civ., ma assume l’autonoma funzione volta alla
immediata rilevabilità del nesso eziologico tra la lacuna o incongruenza logica
denunciata ed il fatto ritenuto determinante, ove correttamente valutato, ai fini della
decisione favorevole al ricorrente” (Cass.Sez. 5, Sentenza n. 5858 del 08/03/2013,
Rv. 625952). Si tratta di caratteristiche che fanno qui radicalmente difetto, non
potendo trovare equivalente né nella illustrazione diffusa e discorsiva dei singoli motivi
da parte di A & G sas, né nella parte del ricorso (pag.10 segg.) dedicata alla ‘sintesi
della sentenza appellata’ (che è, all’evidenza, cosa ben diversa dallo sforzo di sintesi
‘sul motivo’, così come normativamente richiesto).

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motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma

In secondo luogo, i motivi in esame appaiono anche estranei ed inconferenti rispetto
alla

ratio decidendi.

Per quanto concerne l’asserita omessa motivazione sulla

protrazione delle forniture Johnson pur in assenza “di valide ed affidabili garanzie sui
pagamenti”, come richiesti dalla medesima nella lettera di risoluzione del 22 marzo
93, basterà osservare che la corte di appello – sulla scorta di una valutazione fattuale

recesso di Johnson, il fatto che questa avesse protratto le forniture, dal momento che
(pag.8):

“nella disdetta si prevede espressamente che, risolto il contratto di

concessione, la Johnson continui a fornire i suoi prodotti alla A & G di Come/li & c. sas
come a qualsiasi altro normale cliente, sia pure a condizioni di favore. Il fatto che ciò
sia avvenuto non contraddice la volontà di recesso e non può costituire quindi
elemento di tacita rinuncia alla relativa facoltà”. Tale affermazione, diversamente da
quanto si vorrebbe nel secondo motivo, non potrebbe essere qui censurata per
l’omesso richiamo da parte del giudice di appello alla mancata prestazione delle
garanzie richieste dalla Johnson, dal momento che questo peculiare aspetto (la
protrazione delle forniture soltanto su garanzia) non venne fatto oggetto di
contraddittorio nei gradi di merito; ed è significativo che non venga indicata la sede
processuale nella quale le parti addussero – quale elemento controverso decisivo – tale
aspetto. Così come non risulta che A & G di Comelli & c. sas abbia mai confutato che il
medesimo regolare pagamento delle forniture successive potesse surrogare le
richieste garanzie, fermo restando l’intento risolutorio di Johnson. Per quanto
concerne la pretesa lacuna motivazionale circa l’inesistenza di ritardi alla data, 22
marzo 93, della risoluzione contrattuale, il motivo non tiene conto del fatto che la
corte di appello ha ritenuto legittimo il recesso per giusta causa da parte della Johnson
in ragione delle contestazioni di cui alla lettera 22 dicembre 92, la quale (ivi) /
“stigmatizzava ritardi e morosità e richiamava espressamente la concessionaria al
rispetto delle disposizioni contrattuali, citando proprio gli articoli relativi al recesso per
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insindacabile in questa sede – ha ritenuto ininfluente, nel!’ escludere la illegittimità del

giusta causa. D’altro lato, non vi è prova documentale che fossero sistematicamente o
anche solo episodicamente concesse dilazioni di pagamento, ed i testi hanno
concordemente escluso l’esistenza di una prassi al riguardo” .

Dunque, il motivo in

questione non censura la ‘ratio decidendr del giudice di merito secondo cui il recesso
doveva ritenersi legittimo, indipendentemente dalla presenza di insoluti successivi, in

volta riferite alla ripetuta inosservanza da parte di A & G di Comelli & c. sas dei
termini di pagamento, considerati essenziali dalla Johnson.
L’inconferenza del motivo si risolve nella sua mancanza.

2.3

Nel quarto motivo, la ricorrente denuncia omessa e/o insufficiente e/o

contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art.
360, 1^ co., n.5 cpc , non avendo il giudice di appello adeguatamente considerato che
la risoluzione del contratto di concessione, come intimata dalla Johnson il 22 marzo
93, decorreva dal 31 marzo 93, là dove era emerso dalle risultanze di causa
(dep.Piscella) che la stessa Johnson già a far data dal 28 marzo 93 aveva autorizzato
la vendita da parte della società Ancona srl, con ciò violando il diritto di esclusiva in
quel momento ancora in essere in capo ad A & G di Comelli & c. sas: “la sentenza,
pertanto, ha da un lato omesso di considerare la data del 31 marzo 93 quale data di
cessazione del contratto che emergeva dagli atti di causa (omessa motivazione) e,
dall’altro, ha fornito una motivazione insufficiente perché, piuttosto che esaminare la
data del 28 marzo 93 quale data di risoluzione del contratto effettiva, ha considerato
dei periodi di tempo generici, che peraltro si sovrappongono, cadendo così in
contraddizione”. In particolare, la sentenza avrebbe contraddittoriamente stabilito che
l’obbligo di esclusiva era cessato “fin dagli ultimi giorni di marzo 93” (dunque tra il 25
ed il 31 marzo), riconoscendo però d’altro lato che la Johnson aveva autorizzato la
vendita da parte della società Ancona srl già alla data del 28 marzo 93.

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ragione delle contestazioni comunicate con la suddetta lettera 22 dicembre 92; a loro

Valgono anche per questo motivo le considerazioni svolte sulla necessaria
formulazione di un momento di sintesi che permetta – in analogia a quanto previsto
per il ‘quesito di diritto’ – di cogliere con precisione ed immediatezza l’oggetto della
censura e la sua rilevanza nel supportare una decisione diversa. L’inidoneità del
motivo in esame è tanto più evidente se si consideri la diversa ‘ratio decidendi’ del

esclusiva mediante attribuzione alla Ancona srl della nuova concessione indipendentemente dalla sovrapposizione temporale di alcuni giorni dedotta da A & G
di Comelli & c. sas – in ragione del fatto che la materiale fornitura di prodotti Johnson
alla nuova concessionaria era avvenuta successivamente alla intimata risoluzione
contrattuale. Anzi, secondo la corte di appello (pag.9), il rilascio della nuova
concessione non interferiva con il fondamento della risoluzione intimata alla A & G di
Comelli & c. sas, atteso che: – “solo con comunicazione 23 aprile 93 la Johnson
confermava e ratificava l’accordo con la Ancona srl”; – “le circolari della Johnson
relative alla nuova concessionaria hanno tutte data successiva (maggio 93)”.
Si tratta di aspetti adeguatamente soppesati dal giudice di merito, e qui non più
sindacabili poiché sorretti da una valutazione congruamente motivata. Nel farsi carico
di essi, la corte di appello ha concluso per la loro irrilevanza al fine di sostenere
l’inadempimento della Johnson; teoricamente sostenibile, sulla base del ragionamento
della corte territoriale, solo nell’ipotesi in cui gli accordi per la nuova concessione si
fossero comprovatamente concretizzati ed avessero prodotto effetto (non negoziale,
ma) commerciale in epoca anteriore alla intimata risoluzione nei confronti della A & G
di Comelli & c. sas:

“gli atti preparatori del nuovo rapporto con il diverso

concessionario compiuti prima della operatività della disdetta 23 marzo 93 (contatti/
con agenti alla fine del 92; costituzione della società Ancona srl ai primi di marzo 93)
sono del tutto irrilevanti, in quanto non idonei a violare in concreto ed effettivamente
l’esclusiva concessa alla A & G di Comelli & c. sas” (sent., pag.9).
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giudice di appello, il quale ha negato la violazione da parte di Johnson della clausola di

Il ragionamento seguito dalla corte di appello, in definitiva, deve ritenersi
adeguatamente motivato, avendo il giudice di merito assunto a discrimine temporale
della nuova concessione (successivo agli effetti della risoluzione contrattuale nei
confronti di A & G di Comelli & c. sas) l’effettiva fornitura dei prodotti Johnson ed il
definitivo assetto (anch’esso ritenuto successivo) dell’organizzazione afferente la

in sede di legittimità una differente ricostruzione in fatto della vicenda, a sua volta
derivante da una diversa valutazione degli elementi probatori, è dunque gioco-forza
prendere atto della inammissibilità del motivo anche perché ‘mirato’ su una
circostanza (momento di formale conclusione dell’accordo relativo alla nuova
concessione) diversa da quella ritenuta dirimente dalla corte di appello (momento di
effettiva fornitura dei prodotti Johnson alla nuova concessionaria e di messa in
condizione di quest’ultima di espletare il mandato).

2.4

Nel quinto motivo, A & G di Comelli & c. sas si duole della violazione e/o falsa

applicazione di norme di diritto ex art. 360, 1^ co., n.3 cpc con riferimento agli
articoli 1366, 1374, 1375, 1176, 1218, 1453 e 1455 cc, non avendo il giudice di
appello considerato che la Johnson aveva posto in essere atti preparatori
dell’inadempimento alla clausola di esclusiva ben prima della lettera del 22 marzo 93:
sia contattando a fine ’92 gli agenti della A & G di Comelli & c. sas, sia facendo
costituire ad hoc, nei primi giorni del marzo 93, la Ancona srl, alla quale avrebbe poi
attribuito la nuova concessione (circostanze fattuali entrambe pacifiche in causa).
Quest’ultimo motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto:
“stabilire se l’attività preparatoria dell’inadempimento che manifesti l’intento definitivo /
del contraente di non adempiere alla propria obbligazione principale (attività poi .
sfociata nella violazione vera e propria dell’obbligazione, nella specie violazione
dell’obbligo di esclusiva) sia idonea a risolvere il contratto ancor prima della violazione
dell’obbligo principale e sia quindi di per sé rilevante sotto il profilo della risoluzione
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nuova concessione medesima. Fermo restando che in nessun modo potrebbe ottenersi

del contratto, qualora sia diretta in modo evidente e non equivoco al definitivo
inadempimento”.
Ricorrono nella specie tutte le già svolte ragioni di non rispondenza del quesito di
diritto ai parametri indicati (supra, §.2.1).
Va poi qui aggiunto che con la censura in oggetto si richiede inammissibilmente alla

termini di:

‘definitività’ dell’intento risolutorio di una parte contraente;

‘idoneità’

risolutoria (a favore dell’altro contraente) di tale atteggiamento (dato per pacifico nel
quesito); ‘evidenza ed univocità’ del comportamento di una parte contraente in vista
della sottrazione ai suoi obblighi negoziali; e, in definitiva, anche di

‘gravità’ ex

art.1455 cc dell’affermato inadempimento ‘prodromico’: sia in sé, sia in rapporto
all’inadempimento di A & G, già a quel punto conclamato, secondo la corte di appello,
nell’osservanza dei termini di pagamento (sulla insindacabilità in cassazione della
valutazione di gravità dell’inadempimento assistita da motivazione congrua ed
immune da vizi logici e giuridici: Cass. 28 giugno 2006 n. 14974, ed altre).
2.5 Con il sesto motivo, si lamenta omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360, 1^ co., n.5 cpc nonché violazione
e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, l” co., n.3 cpc con riferimento
agli articoli 1236 ss. e 2697 cc, avendo il giudice di appello erroneamente affermato
che il credito ingiunto era stato riconosciuto dalla A & G di Comelli & c. sas (con
dichiarazioni contenute nell’atto di citazione in opposizione dalla portata
sostanzialmente confessoria), mentre in realtà quest’ultima aveva, fin dall’atto di
opposizione a decreto ingiuntivo, dedotto l’avvenuta remissione del debito da parte di ,
Johnson; sicché, in assenza di riconoscimento, non poteva il giudice di appello ritenere
provato il credito sulla base delle sole fatture allegate dalla Johnson in sede monitoria.
E’ stato dalla ricorrente formulato il seguente quesito di diritto:

“stabilire se la

remissione del debito eccepita dall’opponente nell’ambito del procedimento di
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corte di legittimità di esprimere dei giudizi puramente valutativi di risvolti fattuali, in

ingiunzione valga come contestazione idonea a porre in capo al creditore opposto
l’onere di provare il credito ingiunto”.
Il motivo è formulato in maniera impropria perché, al fine di far emergere la
violazione della regola generale sul riparto dell’onere probatorio ex articolo 2697
cod.civ., dà per scontato un presupposto favorevole alla conchiudente (l’opposizione

di contraddittorio, e dall’essere stato infine escluso in sede di merito.
In ogni caso esso è infondato, atteso che dal tenore dell’atto di citazione in
opposizione a decreto ingiuntivo – assunto a fatto processuale direttamente attingibile
ed interpretabile dalla corte di cassazione – si evince (v.pag.8) come A & G di Comelli
& c. sas abbia contrastato la pretesa ingiunta opponendo un proprio maggior
controcredito nei confronti di Johnson (già fatto oggetto di trattativa tra le parti) a
titolo di risarcimento danni da illegittimo recesso; il che è cosa ben diversa
dall’eccezione di remissione del debito ex artt.1236 segg. cod.civ.. In quella sede,
dunque, la A & G di Comelli & c. oppose una diversa causa di estinzione della propria
obbligazione, rappresentata dalla compensazione per l’asserita venuta a coesistenza di
posizioni creditorie contrapposte. La differenza è di ordine sostanziale, dal momento
che i presupposti dell’effetto estintivo sono diversi nelle due fattispecie e che,
soprattutto, la deduzione in funzione compensativa di un proprio maggior credito
risarcitorio implicava logicamente il riconoscimento del proprio debito per le fatture
ingiunte, il cui mancato pagamento poteva ritenersi giustificato solo in esito al positivo
accertamento giudiziale della illegittimità del recesso da parte della Johnson e dei
danni da quest’ultimo eventualmente derivati ad A & G di Comelli & c.. Ci si trova in
definitiva di fronte ad una situazione tutt’affatto differente dalla volontà abdicativa
insita nella remissione del debito.
Sicchè corretta appare la motivazione della corte di appello (pag.7) nella parte in cui
– pur tenendo esattamente fermo l’onere probatorio del credito in ingiunzione a carico
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dell’eccezione di remissione del debito) che tale non è; tanto dall’essere stato oggetto

della Johnson, attrice in senso sostanziale – ha disatteso il tribunale di Milano
ritenendo raggiunta tale prova, nell’esercizio di un potere valutativo discrezionale, sia
in forza della produzione in giudizio da parte di quest’ultima dell’estratto notarile del
libro giornale contenente regolare annotazione delle fatture; sia in forza proprio nella
linea processuale osservata dalla A & G di Comelli & c., la quale si era “opposta al

di contro credito per danni; tesi che presuppone indefettibilmente l’esistenza del
credito azionato da Johnson”.
Il mancato accoglimento dei motivi fin qui considerati implica l’inammissibilità altresì
del settimo ed ultimo motivo di ricorso – di violazione e/o falsa applicazione di norme
di diritto con riguardo all’articolo 112 cod.proc.civ. – formulato da parte ricorrente “per

mero scrupolo difensivo ed al fine di evitare il rischio del giudicato sul punto”. Si tratta
infatti di domanda sul quantum del risarcimento del danno che in tanto potrebbe
trovare ingresso in quanto fossero emersi i presupposti di accoglimento della domanda
sull’an.
Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna di parte ricorrente alla rifusione delle
spese del presente giudizio liquidate, come in dispositivo, ai sensi del DM Giustizia
20.7.2012 n.140.

Pqm

rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione

che liquida in euro 15.200,00, di cui euro 15.000,00 per compensi; oltre accessori di
legge.
Così deciso nella camera di consiglio della terza sezione civile in data 26.11.13.

decreto sostenendo la tesi della compensazione volontaria e dell’estinzione per effetto

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