Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24199 del 02/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 02/11/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 02/11/2020), n.24199

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11785/2016 proposto da:

COMPAGNIA TRASPORTI LAZIALI SOCIETA’ PER AZIONI (CO.TRA.L. S.P.A), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO n. 23/A, presso lo studio

dell’avvocato GIAMPIERO PROIA, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE n. 14, presso lo studio dell’avvocato ALDO SIPALA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALDO SCHIAVI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5378/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/11/2015 R.G.N. 428/2012.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Premesso:

che P.G. ha agito in giudizio avanti al Tribunale di Latina, nei confronti della Compagnia Trasporti Laziali (COTRAL) S.p.A., assumendo di avere svolto dal gennaio 2000 al dicembre 2006 attività di movimentazione esterna degli automezzi della società, pur essendo dipendente delle imprese appaltatrici dei servizi di pulizia, e di conseguenza chiedendo accertarsi la sussistenza, a decorrere dall’1 gennaio 2000, di un rapporto di lavoro subordinato con la stessa, ai sensi della L. n. 1369 del 1960 e del D.Lgs. n. 276 del 2003;

– che il giudice di primo grado ha accolto la domanda, ritenendo accertata una fattispecie di interposizione illecita di manodopera e, pertanto, dichiarando costituito tra le parti un rapporto di lavoro subordinato con decorrenza 1/1/2000 e inquadramento del ricorrente nella 3a area professionale – profilo di operatore di esercizio;

– che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, nel resto confermata, la Corte di appello di Roma, con sent. n. 5378/2015, depositata il 3 novembre 2015, ha dichiarato il diritto del lavoratore all’inquadramento corrispondente alle mansioni di addetto alla movimentazione esterna degli automezzi aziendali;

– che la Corte ha rilevato come il P. avesse svolto in prevalenza un’attività che non era stata oggetto di appalto e cioè quella di movimentazione dei mezzi adibiti al trasporto pubblico non solo all’interno degli impianti della società ma anche all’esterno (soccorso dei mezzi in avaria e loro conduzione presso le officine per riparazioni);

– che, in particolare, la Corte territoriale ha accertato come il primo contratto di appalto prevedesse unicamente attività di pulizia da parte dell’impresa appaltatrice mentre quello successivo, in data 23/1/2006 (con decorrenza 1/1/2006), prevedeva “l’espletamento dei servizi di assistenza all’uscita, manovre tecniche e conduzione dei mezzi presso gli impianti della Cotral S.p.A. specificati nelle allegate tabelle”; con la conseguenza che fino al 31/12/2005 l’attività di movimentazione esulava dall’oggetto del contratto e, quanto al periodo successivo, era limitata alla movimentazione interna agli impianti, rimanendo la movimentazione esterna (soccorso per avarie; destinazione officine esterne per revisioni e riparazioni) sempre estranea ai servizi oggetto di appalto;

– che la Corte ha inoltre accertato come per l’attività di movimentazione i dipendenti della impresa appaltatrice fossero diretti dal responsabile della società, come era dimostrato anche dalla compilazione, da parte del lavoratore, della relativa modulistica aziendale (con indicazione dei dati relativi alla destinazione raggiunta, al guasto da riparare, al tipo di riparazione eseguita, ai chilometri percorsi);

– che la Corte di appello ha ritenuto infine che la norma di cui al D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 18, comma 2 bis, convertito in L. n. 133 del 2008, come successivamente modificata, non richiamando più i limiti e i divieti alle assunzioni di personale in vigore nel settore del pubblico impiego ma limitandosi a prevedere l’obbligo per la società a totale partecipazione pubblica di attenersi “al principio di riduzione dei costi del personale, attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale”, non potesse in alcun modo ritenersi ostativa all’accertamento dell’avvenuta instaurazione di un rapporto di lavoro alle dipendenze della società a seguito di violazione della normativa sul divieto di interposizione fittizia di manodopera;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Compagnia Trasporti Laziali S.p.A., affidandosi a tre motivi, cui ha resistito il lavoratore con controricorso;

– che entrambe le parti hanno depositato memoria;

rilevato:

che con il primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e segg. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., la società censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di appello ha ritenuto che la prestazione lavorativa del P. esulasse dall’oggetto degli appalti, posto che il contratto stipulato in data 23/1/2006 non limitava le attività di “movimentazione mezzi” alle sole attività da svolgere all’interno degli impianti della COTRAL: come poteva desumersi dal fatto che l’attività di manovre tecniche – consistente sia nell’espletamento dei servizi di assistenza all’uscita, sia nella conduzione dei mezzi – era affidata all’appaltatrice per le connesse necessità solo in relazione (presso) agli specifici impianti indicati nel contratto, tra cui rientrava anche l’impianto cui era adibito il lavoratore;

– che con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1655,1660,1661 e 1662 c.c., la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte ha ritenuto che il P. avesse svolto la sua attività lavorativa “in base alle direttive e sotto il controllo del personale della committente”, a diversa conclusione dovendo pervenirsi sulla scorta della deposizione del teste O. e del riferimento in essa contenuto a “indicazioni” date al personale dell’appaltatrice per la movimentazione degli automezzi e cioè ad un’attività di coordinamento non solo consentita ma anche necessaria per una proficua realizzazione del servizio;

– che con il terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 18, comma 2 bis, convertito nella L. n. 133 del 2008, la ricorrente censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che la formulazione “attuale” della norma, non richiamando più i limiti e i divieti alle assunzioni di personale in vigore nel settore del pubblico impiego, non fosse ostativa alla costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze della società, dovendosi invece avere riguardo alla formulazione della norma ratione temporis applicabile al caso di specie e cioè alla formulazione di quella vigente al tempo della pronuncia di primo grado (resa il 20/1/2011, con la quale era stata dichiarata la sussistenza di un rapporto di lavoro tra le parti), norma che aveva chiaramente esteso i divieti e le limitazioni alle assunzioni di personale a quelle società che, pur non essendo pubbliche amministrazioni in senso stretto, risultavano (come pacificamente COTRAL) a partecipazione pubblica locale totale o di controllo; e dovendosi comunque ritenere che le modifiche intervenute, sebbene avessero eliminato l’inciso relativo all’estensione dei divieti alle assunzioni in vigore per le pubbliche amministrazioni anche alle società a partecipazione pubblica locale, non avessero in realtà in alcun modo intaccato la ratio sottesa a tale disciplina;

osservato:

preliminarmente che è prioritario l’esame del secondo motivo, poichè con esso è posta la questione della sottoposizione o meno del lavoratore, per l’attività di movimentazione degli automezzi, alle direttive e al controllo del personale della società committente, con riferimento all’intero periodo dedotto in giudizio;

– che il motivo è inammissibile, tendendo palesemente ad una rilettura del materiale di prova e segnatamente della deposizione O., della quale la Corte ha valorizzato la proposizione “i dipendenti della ditta venivano comandati dal responsabile Cotral”, mentre la ricorrente si duole dell’omessa considerazione del peso probatorio, con le relative implicazioni, da assegnarsi alla parola “indicazioni” che compare subito dopo nel testo della medesima deposizione, quale oggetto dell’attività di direzione;

– che invero, con la censura così svolta, al di là del formale richiamo alla violazione e falsa applicazione di varie norme in tema di appalto, il ricorrente esprime un dissenso “di merito” rispetto alle valutazioni espresse dalla Corte territoriale, proponendo una rilettura del materiale probatorio e un diverso apprezzamento dei fatti e cioè sollecitando a questa Corte di legittimità una pronuncia che non appartiene alle funzioni e al ruolo alla stessa assegnati dall’ordinamento;

– che è del tutto consolidato il principio, secondo il quale i vizi posti a base del ricorso per cassazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o consistere in censure che investano la ricostruzione della fattispecie concreta, o che siano attinenti al difforme apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvi i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. n. 2991/2009, fra le numerose conformi);

– che, in ogni caso, il primo motivo, concernente la definizione dell’oggetto del contratto di appalto in data 23 gennaio 2006 (con decorrenza 1/1/2006), che per la Corte era da intendersi limitato alla movimentazione dei mezzi “presso gli impianti” della COTRAL, vale a dire esclusivamente all’interno di essi, risulta anch’esso inammissibile;

– che parimenti consolidato è infatti il principio, per il quale “La parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (Cass. n. 28319/2017, fra le numerose conformi);

– che il terzo motivo è infondato, dovendo trovare applicazione, alla stregua del principio tempus regit actum, non la disciplina vigente al momento della pronuncia della sentenza di primo grado ma quella vigente al tempo dell’esecuzione del rapporto di lavoro dedotto in giudizio, nella specie svoltosi, con le caratteristiche accertate, in epoca anteriore alla introduzione della norma limitativa;

ritenuto:

conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2020

 

 

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