Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24198 del 02/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 02/11/2020, (ud. 13/07/2020, dep. 02/11/2020), n.24198

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9091/2017 proposto da:

EDISUD S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 91, presso lo

studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati ELIO VULPIS, ANTONIO DE FEO;

– ricorrente –

contro

A.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA PRATI

DEGLI STROZZI N. 22, presso lo studio dell’avvocato GAETANO VENETO,

che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2781/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 22/11/2016 r.g.n. 2394/2011.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Il Tribunale di Bari rigettava le domande proposte da A.S. nei confronti della Edisud s.p.a. volte a conseguire il pagamento della somma di Euro 119.893,26 a titolo di differenze retributive, mensilità aggiuntive, indennità redazionale, di ferie, di prepensionamento, differenze tfr, risarcimento danni da demansionamento, connesse alle mansioni di giornalista professionista di primo livello espletate alle dipendenze della società dal 1978 al 2002.

Detta pronunzia veniva parzialmente riformata dalla Corte distrettuale che, con sentenza resa pubblica in data 22/11/2016, condannava la Edisud s.p.a. al pagamento della somma di Euro 11.067,00 a titolo di indennità di prepensionamento.

La Corte perveniva a tale convincimento sull’essenziale rilievo che la società non aveva tempestivamente eccepito in prime cure il fatto impeditivo della insorgenza del diritto ex adverso azionato, costituito dalla mancata sottoscrizione della liberatoria prevista dall’accordo sindacale 30/7/2002.

Avverso tale decisione la s.p.a. Edilsud interpone ricorso per cassazione affidato a due motivi ai quali resiste con controricorso la parte intimata.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si deduce che nel ricorso introduttivo del giudizio, l’ A. non avesse formulato alcuna deduzione in ordine alla integrazione della indennità di prepensionamento, non individuando la disposizione normativa o contrattuale da cui il diritto azionato traeva fondamento.

Si assume che, diversamente da quanto argomentato dalla Corte di merito, in primo grado era stata specificamente eccepita la inammissibilità delle avverse domande, connotate da evidente genericità nella allegazione oltre che da carenza di supporto probatorio, elementi tutti bene evidenziati dal giudice di prima istanza nel proprio dictum.

2. Il secondo motivo prospetta omesso esame dell’accordo 30/7/2002.

Si deduce che il riconoscimento della indennità di prepensionamento, in base alla precitata scrittura, subordinava l’erogazione della indennità che aveva la finalità di incentivazione all’esodo – entro trenta giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro per dimissioni, alla sottoscrizione di una liberatoria da realizzarsi secondo le modalità che avrebbe individuato l’azienda.

Si stigmatizzano, quindi, gli approdi ai quali è pervenuto il giudice del gravame, il quale avrebbe omesso di scrutinare proprio il tenore dell’Accordo 30/7/2002 che radicava la causa petendi del diritto azionato.

3. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi siccome connessi, sono fondati e meritevoli di accoglimento per le ragioni di seguito esposte.

E’ bene rimarcare, in via di premessa, che l’errore prospettico in cui sono incorsi i giudici del gravame consiste nell’aver ritenuto che punctum dolens della difesa articolata da parte appellata, fosse quello della mancata allegazione di un impedimento alla erogazione dell’indennità rivendicata dal lavoratore.

Di contro, opina questa Corte che nello specifico sia riscontrabile una obiettiva carenza di allegazione da parte del ricorrente – su cui gravava il relativo onere – con riferimento alla causa petendi che qualificava il diritto azionato.

Dallo stralcio del ricorso introduttivo del giudizio riprodotto in ricorso, non si evince alcuna specifica enunciazione delle ragioni di fatto e di diritto sottese alla domanda concernente la rivendicata indennità di prepensionamento, nè l’indicazione degli elementi di prova sui quali si fondava e dei documenti che si offrivano in comunicazione; è infatti emerso che il ricorrente aveva chiesto tout court il pagamento della “integrazione indennità di prepensionamento” quantificandola in Euro 9.500,00.

Al riguardo è opportuno rammentare quanto affermato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui gli elementi di fatto e di diritto posti a base delle rispettive domande e richieste (anche probatorie) delle parti devono essere specificati nei rispettivi atti iniziali della controversia (cfr. Cass. Sez. Un., 17/6/20Q4 n. 11353); costituisce ormai ius receptum che nel rito del lavoro si riscontra una circolarità tra oneri di allegazione, di contestazione e di prova, che richiede la necessità che ai sensi degli artt. – 414 e 416 c.p.c., gli elementi di fatto e di diritto posti a base delle diverse domande e/o istanze dell’attore e del convenuto siano compiutamente contenuti nei rispettivi primi atti processuali (ricorso e memoria difensiva) e richiede altresì che risulti individuato in modo chiaro nel ricorso introduttivo quanto richiesto al giudice (petitum), con conseguente impossibilità di dimostrare circostanze non ritualmente e tempestivamente allegate nel ricorso (cfr. al riguardo Cass. Sez. Un. n. 11353/2004 cit., cui adde, ex plurimis, Cass. Sez. Un., 20/4/2005 n. 8202).

4. Orbene, i suddetti principi ai quali va data continuità, non sono stati osservati nella fattispecie scrutinata; nè, per superare la ontologica carenza dell’atto introduttivo del giudizio, può ritenersi che il mero deposito di documenti – quali quello dell’accordo 30/7/2002 da parte della società resistente – anche se avvenuto contestualmente al ricorso introduttivo della lite, possa supplire alla mancata definizione della causa petendi, risultando la loro completa formulazione in ricorso un passaggio obbligato per la definizione del thema decidendum e per l’individuazione dei fatti da accertare ed eventualmente da provare, se non contestati o ammessi da controparte.

In altri termini, l’indicata circolarità degli oneri di allegazione, di contestazione e di prova, per essere espressione di un assetto normativo incentrato sull’oralità, concentrazione ed immediatezza, caratterizzante il rito del lavoro, è funzionalizzata al perseguimento del principio della “ragionevole durata del processo” (art. 111 Cost., comma 2) in quanto la determinazione dell’oggetto della domanda e l’indicazione dei fatti posti a base della domanda stessa ex art. 414 c.p.c., nn. 3 e 4, consentono al convenuto, con il prendere posizione sui fatti di causa, di assolvere agli oneri di contestazione nonchè a quelli probatori aventi ad oggetto i fatti ritualmente e tempestivamente allegati in ricorso.

Ne consegue che in un siffatto contesto non è consentito supplire alle carenze del ricorso riguardanti l’oggetto della domanda ed i suoi elementi costitutivi tramite un giudizio di inammissibilità della eccezione sollevata dalla società appellata, quale quello espresso dai giudici del gravame.

Dai principi innanzi enunciati, si evince infatti che i dati fattuali, interessanti sotto diverso profilo la domanda attrice, devono tutti essere esplicitati in modo esaustivo o in quanto fondativi del diritto fatto valere in giudizio o in quanto volti ad introdurre nel giudizio stesso circostanze di mera rilevanza istruttoria, non potendosi negare la necessaria circolarità, per quanto attiene al rito del lavoro, tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova; circolarità attestata – come è opportuno ribadire ancora una volta – dal combinato disposto dell’art. 414, nn. 4 e 5 e dall’art. 416 c.p.c., comma 3 (cfr. al riguardo Cass. 17/4/2002 n. 5526).

Da qui l’impossibilità di contestare o richiedere prova – oltre i termini preclusivi stabiliti dal codice di rito – su fatti non allegati nonchè su circostanze che, pur configurandosi come presupposti o elementi condizionanti il diritto azionato, non siano stati esplicitati in modo espresso e specifico nel ricorso introduttivo del giudizio (cfr. ex aliis, Cass. 24/2/2003 n. 2802, Cass. S.U. n. 11353/2004 cit., Cass. 24/10/2017 n. 25148)

Nell’ottica descritta, la declaratoria di inammissibilità della eccezione attinente alla erogazione della indennità resa dai giudici del gravame, non risulta conforme a diritto.

5. Va poi, ulteriormente rimarcato che risulta acquisito ritualmente in primo grado anche l’accordo 30/7/2002 – prodotto dalla società Edisud che configurava l’indennità di prepensionamento in termini di incentivo all’esodo, condizionandola alla sottoscrizione di una quietanza liberatoria; e il giudicante avrebbe dovuto comunque prenderne atto, ove si consideri che, anche ove si intendesse ipotizzare la esclusione dal tema d’indagine, del fatto costitutivo della domanda per la sua mancata contestazione, giusta l’art. 416 c.p.c., comma 3, è possibile che il giudice ne accerti, d’ufficio, l’esistenza o l’inesistenza in base alle risultanze ritualmente acquisite (vedi sul punto Cass. 20/12/2016 n. 26395). Tanto in coerenza coi principi radicati in dottrina e nella costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui nel sistema processualcivilistico vigente opera il principio cosiddetto dell’acquisizione della prova, in forza del quale ogni emergenza istruttoria, una volta raccolta, è legittimamente utilizzabile dal giudice indipendentemente dalla sua provenienza (vedi Cass. 25/2/2019 n. 5409); si tratta di principio, applicabile al rito del lavoro, che trova fondamento nella regola del giusto processo di cui all’art. 111 Cost. e comporta l’impossibilità per le parti di disporre degli effetti delle prove ritualmente assunte, le quali possono giovare o nuocere all’una o all’altra parte indipendentemente da chi le abbia dedotte (cfr. Cass. sez. lav. 25/9/2013 n. 21909).

Alla luce delle considerazioni sinora esposte, la sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio alla Corte d’appello designata in dispositivo perchè disponga applicazione degli enunciati principi e provveda anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2020

 

 

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