Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24195 del 02/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 02/11/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 02/11/2020), n.24195

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8811/2017 proposto da:

KURSAAL S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

SEBASTIANO ROMANO;

– ricorrente –

e contro

D.R., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato PAOLO SEMINARA;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 20436/2016 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 11/10/2016 R.G.N. 6976/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/03/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per accoglimento del ricorso

principale e rigetto del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato SEBASTIANO ROMANO;

udito l’Avvocato GIOVANNA LO COCO, per delega verbale Avvocato PAOLO

SEMINARA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Questo Collegio è chiamato a pronunciare in fase rescissoria a seguito della sentenza rescindente di questa Corte n. 16030/2018 con cui è stato accolto il ricorso per revocazione proposto dalla soc. Kursaal ed è stato accertato che la sentenza n. 20436/2016, quanto alla valutazione preliminare della instaurazione del contraddittorio in cassazione, era incorsa nell’errore di fatto di supporre l’avvenuta corretta notificazione dell’originario ricorso per cassazione alla società.

1.1. La sentenza n. 16030/2018, revocata la sentenza di questa Corte n. 20436/2016; decideva sulla prosecuzione della causa con ordinanza in pari data con cui disponeva il rinnovo della notifica dell’originario ricorso per cassazione, mandando alla Cancelleria per la comunicazione dell’ordinanza alle parti.

2. Seguiva un’istanza di rimessione in termini del difensore del D..

3. All’udienza fissata per la trattazione dell’istanza, questa Corte, pregiudizialmente rispetto all’istanza di rimessione in termini, rilevava d’ufficio che non risultava data comunicazione della predetta ordinanza collegiale a tutte le parti, così come in essa disposto, ma solo al difensore della soc. Kursaal. Il difetto di comunicazione, riscontrabile ex officio, aveva comportato che la parte cui era destinata tale ordinanza e che avrebbe dovuto provvedere alla rinnovazione della notifica del ricorso per cassazione ex art. 291 c.p.c., entro il termine di 60 giorni dalla comunicazione non aveva avuto conoscenza dell’ordinanza a lei diretta e, per tale motivo, doveva essere rimessa in termini per i medesimi adempimenti.

4. L’ordinanza ex art. 291 c.p.c., di rinnovo della notifica del ricorso per cassazione è stata poi eseguita dal D..

Il difensore della controparte Kursaal ha depositato controricorso con ricorso incidentale, affidato ad un motivo, chiedendo preliminarmente rispetto al giudizio sulla fase rescissoria che sia disposta la revoca sia dell’ordinanza originaria del 18.6.2018 che accedeva alla sentenza rescindente, sia dell’ordinanza del 7.3.2019 con cui il Collegio, a causa del difetto di comunicazione della precedente ordinanza, aveva dato nuovo termine ex art. 291 c.p.c., per il rinnovo della notifica del ricorso per cassazione. La parte assume che, essendo il D. rimasto contumace nel giudizio di revocazione, allo stesso nessuna comunicazione di cancelleria sarebbe a lui dovuta, ai sensi dell’art. 292 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, è infondata l’istanza di revoca sollevata da Kursaal s.r.l. ex art. 292 c.p.c., riguardo alle ordinanze del 18.6.2018 e del 7.3.2019.

2. L’elencazione degli atti per i quali l’art. 292 c.p.c., prescrive la notifica personalmente al contumace non comporta che da ciò derivi la mancata possibilità di ricondurre nella corrispondente previsione ogni fattispecie non espressamente contemplata. Ed infatti, la Corte costituzionale con vari interventi additivi ha ampliato il novero degli atti da comunicare al contumace per tutelare i diritti di difesa ex art. 24 Cost. (cfr. C.Cost. nn. 250 del 1986, n. 317 del 1989, n. 214 del 1991, n. 110 del 1997). D’altra parte, è proprio per garantire i diritti di difesa – della parte che aveva diritto ad un nuovo termine per il rinnovo della notifica nulla dell’originario ricorso per cassazione – che l’ordinanza originaria del 18 giugno 2018 aveva fissato un termine perentorio per tale rinnovo, indicando come dies a quo del termine ex art. 291 c.p.c., comma 1, la data di comunicazione dell’ordinanza da parte della Cancelleria. Il mero deposito dell’ordinanza in cancelleria non avrebbe garantito l’effettività del diritto di difesa del contumace ai fini del rispetto del termine perentorio fissato ex art. 291 c.p.c..

2.1. A ciò aggiungasi che la norma dell’art. 292 c.p.c., elenca gli atti che devono essere notificati al contumace nel suo esclusivo interesse, con la conseguenza che violazioni di tale norma potrebbero essere fatte valere solo da quest’ultimo e non anche dalle altre parti (cfr. Cass. n. 1737 del 1986).

2.2. Quanto all’assunto per cui la notifica doveva essere fatta alla parte personalmente, vale osservare che, nel caso in esame, l’ordinanza di rinnovo della notifica dell’originario ricorso per cassazione costituisce il primo atto della fase rescissoria del giudizio di revocazione, laddove la fase rescindente si era chiusa con la pubblicazione della sentenza di accoglimento della revocazione. L’adempimento in questione “regredisce” ad una fase anteriore, quella introduttiva dell’originario ricorso per cassazione, per cui correttamente tale fase doveva interessare il D’Addario costituito con il suo difensore munito di procura speciale per il ricorso per cassazione.

2. Quanto alla seconda eccezione che riguarda il difetto di procura del difensore D. a proporre istanze nel giudizio di revocazione, in quanto non munito di procura speciale per il giudizio di revocazione, l’eccezione è palesemente inammissibile, atteso che il Collegio non ha pronunciato sull’istanza di rimessione in termini, nè tanto meno l’ha accolta, ma ha rilevato d’ufficio in limine che l’ordinanza precedente non era stata comunicata dalla Cancelleria per cui ha disposto che si desse seguito integralmente agli originari adempimenti; eventuali riferimenti giurisprudenziali contenuti nella seconda ordinanza, di cui si assume la non pertinenza alla fattispecie, sarebbero comunque irrilevanti rispetto al dictum dell’ordinanza stessa.

3. Preso atto quindi che il ricorso per cassazione è stato regolarmente notificato in esecuzione dell’ordinanza della Corte e che la società Kursaal si è costituita e ha proposto ricorso incidentale, vanno esaminate le censure svolte in sede di legittimità avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo n. 1516/2013.

4. Con tale sentenza veniva confermava la decisione del Tribunale di Palermo che aveva rigettato la domanda proposta da D.R. nei confronti della soc. Kursaal, avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento intimato dalla società al ricorrente in data 15 maggio 2008 per giustificato motivo oggettivo.

4.1. Preliminarmente, la Corte d’appello rigettava l’eccezione di decadenza sollevata dalla società appellata, la quale aveva dedotto che non era stato prodotto nel giudizio di primo grado l’atto di impugnazione stragiudiziale. Osservava la Corte di appello che risultavano prodotti in giudizio “(allegato n. 5, retro, fascicolo di primo grado del ricorrente)” la lettera di impugnazione stragiudiziale datata 7.6.2008 e la cartolina attestante il suo ricevimento mediante raccomandata in data 11 giugno 2008.

4.2. Nel merito, osservava che le funzioni di vigilanza armata, già disimpegnate dal ricorrente, erano state esternalizzate e attribuite in via esclusiva al personale della Civis-pol, la quale in precedenza si occupava soltanto del servizio di ritiro del denaro contante dalla cassa della sala giochi e del successivo deposito presso la cassa continua di un istituto bancario, mentre soltanto da metà del 2008 aveva acquisito anche l’intero servizio di vigilanza continua. Quanto al c.d. repechage, la Corte di appello aderiva all’orientamento (Cass. n. 3040 del 2011) secondo cui il datore di lavoro ha l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi e indiziari, l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte; tale prova tuttavia non deve essere intesa in modo rigido dovendosi esigere dallo stesso lavoratore destinatario del licenziamento una collaborazione nell’accertamento di un possibile reimpiego, mediante allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro nei quali poter essere utilmente ricollocato e conseguendo a tale allegazione l’onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità dei posti predetti. Nel caso di specie, il ricorrente non aveva assolto l’onere di allegazione su di lui gravante. Quanto poi alla circostanza emersa in istruttoria, secondo cui dopo il licenziamento erano stati assunti altri lavoratori con mansioni di venditori, non era stato chiarito da quanto tempo tali assunzioni fossero state effettuate e peraltro si trattava di mansioni diverse da quelle disimpegnate dall’appellante, richiedenti una professionalità specifica.

5. Avverso tale decisione il D. ha proposto ricorso affidato a due motivi. La società ha proposto ricorso incidentale affidato ad un motivo. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

RICORSO PRINCIPALE.

6. Con il primo motivo il ricorrente D. denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo per il giudizio e violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla L. n. 604 del 1966, artt. 3 e 5, in tema di repechage, per avere la Corte territoriale sostanzialmente invertito l’onere probatorio, invece gravante sul datore di lavoro, circa la non utilizzabilità del lavoratore in altre mansioni diverse da quelle precedentemente svolte. Il datore di lavoro può legittimamente esercitare il potere di recesso, in ipotesi di ristrutturazione aziendale, solo allorchè abbia verificato che la professionalità del lavoratore da licenziare non sia utilizzabile in alcun modo nella sua organizzazione produttiva, come peraltro indicato dalla più recente giurisprudenza di legittimità. D’altro canto, il ricorrente aveva puntualmente indicato nel proprio ricorso l’esistenza di possibilità alternative di impiego (ad esempio nel settore amministrazione e controllo) e dalla stessa audizione dei testi era emersa una circostanza nuova, sconosciuta al ricorrente, ossia la vacanza di posizioni per le mansioni di venditore. Nulla era stato poi argomentato dalla Corte di appello in ordine al fatto che il ricorrente avesse il diritto ad essere interpellato anche per la propria eventuale disponibilità ad essere impiegato in mansioni differenti ed anche inferiori.

7. Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 210 c.p.c., per avere la Corte d’appello respinto l’istanza di esibizione, a carico della società resistente, della pianta organica aziendale a far data dall’assunzione del ricorrente sino a quella del suo licenziamento e della documentazione relativa ai contratti di lavoro dei dipendenti della società risalenti al periodo in contestazione.

RICORSO INCIDENTALE.

8. Con unico articolato motivo la ricorrente incidentale denuncia omessa tempestiva produzione, unitamente al ricorso di primo grado, del documento di impugnativa del licenziamento di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 1, con conseguente decadenza di controparte dall’impugnativa del licenziamento. A sostegno di tale censura, deduce:

1) violazione degli artt. 342,345,346 e 329 c.p.c., in quanto la Corte territoriale ha sostenuto che la società non fosse legittimata a formulare appello incidentale;

2-3) violazione dell’art. 74 disp. att. c.p.c., nella parte in cui la sentenza ha ritenuto correttamente prodotto da parte del ricorrente il documento relativo alla lettera d’impugnazione stragiudiziale datata 7 giugno 2008, atteso che tale documento era da ritenere assente all’atto dell’iscrizione a ruolo della causa, stante l’omessa indicazione del documento nel testo del ricorso, nell’indice in calce al ricorso e nell’indice del fascicolo di parte, di talchè sia il giudice di primo grado che quello di appello hanno in modo generico e con violazione di legge ritenuto legittimamente introdotto in giudizio il predetto documento;

4-5) violazione dell’art. 414 c.p.c., n. 5, art. 416 c.p.c., comma 3, art. 437 c.p.c., comma 2, norme che impongono a pena di decadenza che la produzione dei documenti su cui si fonda il ricorso avvenga contestualmente al deposito del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, nonchè violazione della L. n. 604 del 1966, art. 6, che prevede a pena di decadenza che il licenziamento sia impugnato entro 60 giorni dalla comunicazione, atteso che il giudice ha esaminato e posto a fondamento del rigetto dell’eccezione di decadenza il documento fotocopiato sul retro di quello portante il n. 5 della produzione di parte ricorrente, facendo quindi erroneamente e indebitamente uso del documento nonostante che lo stesso non fosse stato indicato nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado e non fosse stato depositato contestualmente a tale atto.

ESAME DEI RICORSI.

9. Il ricorso incidentale, il cui esame ha carattere di priorità logico-giuridica, è infondato.

10. La prima censura del ricorso incidentale è priva di rilevanza, posto che la Corte di appello non ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale, ma lo ha esaminato nel merito, rigettandolo.

11. Le restanti censure sono inammissibili. L’errore denunciato sarebbe dipeso da una falsa percezione della realtà ovvero da una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile, la quale avrebbe portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo (produzione dell’atto di impugnazione stragiudiziale in unione agli atti allegati al ricorso introduttivo di primo grado), invece incontestabilmente escluso dagli atti e documenti. Si tratterebbe di presunti vizi suscettibili di ricorso per revocazione avverso la sentenza di appello e non di ricorso per cassazione (cfr. ex plurimis, Cass. n. 23173 del 2016).

11.1. In questa sede è sufficiente osservare che la Corte di appello ha dato atto che il documento esisteva, trovandosi sul retro del doc. 5 del fascicolo di primo grado di parte ricorrente.

12. La ricorrente in via incidentale richiama Cass. n. 27033 del 2018, secondo cui, mentre l’errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito – e che investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del fatto che si intende provare – non è mai sindacabile in sede di legittimità, l’errore di percezione, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 115 c.p.c., norma che vieta di fondare la decisione su prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte.

12.1. Tale citazione non appare pertinente. Nel caso di cui al precedente giurisprudenziale, si trattava di una errata ricognizione del contenuto oggettivo di una prova acquisita al giudizio, mentre nel caso in esame si contesta che fosse presente agli atti di primo grado un documento del quale invece la Corte di appello, al pari del primo giudice, ha ritenuto l’esistenza.

13. E’ invece fondato il ricorso principale.

14. Secondo l’orientamento oramai consolidato di questa Corte, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, incombono sul datore di lavoro gli oneri di allegazione e di prova dell’esistenza del giustificato motivo oggettivo, che include anche l’impossibilità del c.d. repechage, ossia dell’inesistenza di altri posti di lavoro in cui utilmente ricollocare il lavoratore. Sul datore di lavoro incombe l’onere di allegare e dimostrare il fatto che rende legittimo l’esercizio del potere di recesso, ossia l’effettiva sussistenza di una ragione inerente l’attività produttiva, l’organizzazione o il funzionamento dell’azienda nonchè l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte (cfr. Cass. n. 5592 del 2016, Cass. n. 12101 del 2016, Cass. n. 20436 del 2016, Cass. n. 160 del 2017, Cass. n. 9869 del 2017, Cass. n. 24882 del 2017, Cass. n. 27792 del 2017).

14.1. L’impossibilità di reimpiego del lavoratore in mansioni diverse costituisce elemento che, inespresso a livello normativo, trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro che nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore (Cass. n. 24882 del 2017).

14.2. In ordine all’onere di allegazione di posti disponibili per una utile ricollocazione, è stato osservato che esigere che sia il lavoratore licenziato a spiegare dove e come potrebbe essere ricollocato all’interno dell’azienda significa, se non invertire sostanzialmente l’onere della prova (che – invece – la L. n. 604 del 1966, art. 5, pone inequivocabilmente a carico del datore di lavoro), quanto meno divaricare fra loro onere di allegazione e onere probatorio, nel senso di addossare il primo ad una delle parti in lite e il secondo all’altra, una scissione che non si rinviene in nessun altro caso nella giurisprudenza di legittimità. Invece, alla luce dei principi di diritto processuale, onere di allegazione e onere probatorio non possono che incombere sulla medesima parte, nel senso che chi ha l’onere di provare un fatto primario (costitutivo del diritto azionato o impeditivo, modificativo od estintivo dello stesso) ha altresì l’onere della relativa compiuta allegazione (sull’impossibilità di disgiungere fra loro onere di allegazione e relativo onere probatorio gravante sulla medesima parte v., ex aliis, Cass. n. 21847 del 2014) (in tali termini, Cass. n. 12101 del 2016 cit.).

15. Poichè la Corte di appello ha deciso sulla base di un diverso orientamento, la sentenza va cassata per un nuovo esame dell’appello alla stregua dei principi sopra richiamati.

16. Conclusivamente, respinta l’istanza di revoca delle ordinanze del 18 giugno 2018 e del 7 marzo 2019, decidendo in sede rescissoria sul ricorso principale e sul ricorso incidentale iscritti al R.G. n. 6976/2014, va accolto il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo, con rigetto del ricorso incidentale.

17. La sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Palermo in diversa composizione.

PQM

La Corte, respinta l’istanza di revoca delle ordinanze del 18 giugno 2018 e del 7 marzo 2019, decidendo in sede rescissoria sul ricorso principale e sul ricorso incidentale iscritti al R.G. n. 6976/2014, così provvede: accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo motivo; rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Palermo in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2020

 

 

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