Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24194 del 13/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 13/10/2017, (ud. 11/05/2017, dep.13/10/2017),  n. 24194

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24973-2014 proposto da:

C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO

14, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO PERSI, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA

TAMAJO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2594/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 17/04/2014 R.G.N. 1348/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/05/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CERONI FRANCESCA che ha concluso per la trasmissione atti al Primo

Presidente in subordine improcedibilità del ricorso;

udito l’Avvocato PERSI FABRIZIO;

udito l’Avvocato PATERNO’ FEDERICA per delega orale Avvocato DE LUCA

TAMAJO RAFFAELE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda di C.C. intesa all’accertamento della illegittimità del licenziamento irrogato per motivi disciplinari da Poste Italiane s.p.a. con lettera del 29 marzo 2010.

1.1 La Corte territoriale, per quel che ancora rileva, ha respinto la eccezione di tardività della contestazione disciplinare sul rilievo che i fatti addebitati (costituiti dall’avere il C., nel periodo 23/30 settembre 2009, quale addetto allo sportello, effettuato, in violazione delle regole aziendali, somministrazioni di denaro contante per importi di rilevante entità in favore della collega S. e dall’avere, il 21 aprile 2009, effettuato pagamenti, rispettivamente in favore di Ci.Ci. e di D.R.L., di importo superiore a Euro 25.000,00, in violazione della regola sui limiti di incasso del denaro contante) erano emersi solo in seguito a accertamenti scaturiti, come da allegazione della società non contestata dal dipendente, dalle comunicazioni INPS del settembre/ottobre 2009. Con tali comunicazioni l’istituto previdenziale aveva chiesto la revoca immediata di alcuni trattamenti pensionistici, risultati non corrispondenti ad effettive posizioni previdenziali, ed il pagamento dei quali, per importi di rilevante entità, era avvenuto sulla base di titoli rivelatisi falsi. Ha ritenuto il giudice d’appello che la deduzione dell’appellante relativa al fatto che il direttore dell’ufficio postale ben avrebbe potuto accorgersi delle operazioni irregolari dalla disamina del giornale di fondo che quotidianamente riportava le operazioni di cassa poste in essere dal C. risultava smentita dal medesimo lavoratore il quale, nel corso del libero interrogatorio, aveva ammesso che il Direttore, in concreto, non aveva visionato il giornale di fondo sempre ed in ogni caso ma solo se vi erano anomalie; in ogni caso, la tempestività della contestazione andava ancorata al momento della conoscenza da parte degli organi della società investiti del potere disciplinare in quanto solo la tolleranza di chi dovrebbe reagire e non lo fa determina il venir meno della giusta causa di recesso; tenuto conto di tali elementi, il lasso di tempo intercorso tra gli accertamenti della società seguiti alle comunicazioni dell’INPS del settembre/ottobre 2009 e la lettera di addebito al C. del 10 marzo 2010 appariva senz’altro giustificato.

1.2. Quanto alla fondatezza degli addebiti, il giudice di appello, premesso che il C. non aveva negato le condotte contestate, ha rilevato che, anche a prescindere dalla inverosimile ignoranza di questi delle disposizioni impartite con le comunicazioni scritte del maggio 2003 e 2004 e del marzo 2008, il lavoratore aveva dichiarato di avere, in data 16 luglio 2009, preso visione del Manuale della sicurezza dell’ufficio postale, che ribadiva i limiti di operabilità in contante fissati nell’importo di Euro 25.000,00, il divieto di sovvenzioni e la necessità di autorizzazione del Direttore dell’ufficio in caso di necessità di sovvenzionamento di altro sportello; nè poteva avere valenza scriminante la ignoranza delle regole disattese o la dedotta esistenza di prassi generalizzate, “addirittura eversive del regolamento”, conseguendone la ininfluenza dell’ammissione dei mezzi istruttori articolati a riguardo.

1.3. La Corte di merito ha, quindi, ritenuto le condotte addebitate, gravemente irregolari ed anomale oltre che inadempienti agli obblighi inerenti all’ufficio e contrarie all’interesse della parte datoriale, tali da determinare la lesione irreparabile del vincolo fiduciario, come confermato dalle previsioni collettive in tema di condotte sanzionabili con il licenziamento senza preavviso – in particolare ipotesi c) e k) art. 56 c.c.n.l. 11 luglio 2007; nel caso di specie era indubbio l’ingente danno economico derivato all’INPS a causa della omessa corretta attivazione delle procedure di prenotazione dei pagamenti in contanti eccedenti l’importo di Euro 25.000,00; nè la circostanza che, in relazione agli episodi dell’aprile 2009, vi era stata vendita di buoni fruttiferi da parte dei C. eliminava la irregolarità delle condotte contestate.

2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso C.C. sulla base di sei motivi;

2.1. La parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.

3. Parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Ha censurato la valutazione di tempestività della contestazione sul rilievo che non vi era prova dell’epoca nella quale sarebbero pervenute le segnalazioni dell’INPS e che vi era stata omessa considerazione da parte del giudice di appello della circostanza che le irregolarità contestate erano comunque conosciute o conoscibili sulla base delle giornaliere registrazioni informatiche e cartacee. Ha, quindi, escluso che tale deduzione, già formulata nei precedenti gradi, si ponesse in contrasto con le dichiarazioni rese nel corso del libero interrogatorio dal C. posto che l’affermazione che il Direttore non controllava il giornale di fondo e quindi non era in grado di riscontrare tempestivamente le irregolarità dallo stesso emergenti non escludeva la possibilità di conoscenza delle medesime; nè, come asserito in sentenza ai fini della valutazione di tempestività, era necessaria la conoscenza degli addebiti da parte del soggetto titolare del potere disciplinare stante l’obbligo per il direttore dell’Ufficio di segnalare l’irregolarità.

2. Con il secondo motivo di ricorso ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., della L. n. 604 del 1966, art. 5 e omesso esame di fatto controverso e decisivo. Ha censurato la decisione sul rilievo che Poste non aveva mai fornito la prova che le irregolarità più gravi, quelle relative alle sovvenzioni in favore della collega S., fossero state mai eseguite dal C.; ha negato di avere mai ammesso l’effettuazione delle sovvenzioni di cassa alla detta collega e sostenuto che non era stato provato il contenuto delle disposizioni aziendali asseritamente violate, precisando che Poste non aveva mai prodotto il Manuale richiamato in sentenza poichè esso non conteneva alcuna norma sul divieto di sovvenzioni fra cassieri. Anzi, la scheda 12.4.1. del detto Manuale deponeva nel senso dell’ incoraggiamento di tali passaggi ai fini di una migliore operatività degli sportelli e riequilibrio delle giacenze di cassa.

3. Con il terzo motivo di ricorso ha dedotto ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., della L. n. 604 del 1966, art. 5 e omesso esame di fatto controverso e decisivo. Con riferimento agli addebiti relativi all’aprile 2009 ha censurato la decisione sul rilievo che Poste non aveva dimostrato il fatto costitutivo del legittimo recesso datoriale rappresentato dalla conoscenza da parte del dipendente delle comunicazioni aziendali del 16.5.2003, del 31.5.2004 e del 17.3.2008.

4. Con il quarto motivo di ricorso ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 414 e 420 cod. proc. civ. e dell’art. 56 ccnl 11.7.2007. Ha sostenuto che, poichè la norma collettiva nell’elencare i casi che giustificano il licenziamento senza preavviso prevede che esso possa essere intimato per violazioni dolose di legge o regolamento o dei doveri di ufficio che possano arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio alla società o a terzi o in genere per fatti o atti dolosi, non vi era prova del pregiudizio arrecato a Poste e che comunque, ove configurabile, detto pregiudizio doveva essere posto in relazione alla condotta della collega S. la quale aveva effettuato i pagamenti relativi alle posizioni previdenziali contestate dall’INPS; le previsioni collettive richiedevano il dolo del dipendente da ritenersi insussistente in difetto di prova della conoscenza da parte del C. della norma sul divieto di sovvenzione alle casse limitrofe, diversamente dovendosi prospettare una mai dedotta collusione di esso C. con i beneficiari delle pensioni asseritamente false. In questa prospettiva ha censurato la mancata ammissione di istanze istruttorie destinate a provare le prassi invalse presso l’Ufficio in punto di sovvenzioni.

5. Con il quinto motivo di ricorso ha dedotto ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 414,420 e 421 cod. proc. civ. censurando la decisione sempre sotto il profilo della mancata ammissione della prova orale destinata a dimostrare che nelle operazioni dell’aprile 2009 non era stato superato il limite di pagamento in quanto parte degli stessi fu effettuata mediante l’emissione di buoni fruttiferi postali.

6. Con il sesto motivo di ricorso ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 2106 e 2119 cod. civ., della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 1 nonchè degli artt. 4 e 41 Cost.. Ha censurato la valutazione di proporzionalità della sanzione espulsiva sul rilievo che, anche a voler ritenere provate le mancanze del lavoratore, le stesse risultavano fondate su norme interne delle quali non era provata la esistenza conoscenza o conoscibilità in capo al dipendente e per non avere, in sintesi, graduato la sanzione in ragione delle caratteristiche dell’inadempimento.

7. Il primo motivo di ricorso risulta inammissibile con riferimento al primo profilo ed infondato in relazione al secondo Invero la deduzione relativa alla violazione e falsa applicazione della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7 non è conforme all’insegnamento di questa Corte secondo il quale il motivo con cui si denunzia il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche e intelligibili argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie, diversamente impedendosi alla Corte di Cassazione di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. 8/3/2007 n. 5353, Cass. 17/5/2006 n. 11501). Parte ricorrente si è sottratta a tale onere in quanto non ha dimostrato con riferimento alle affermazioni contenute nella decisione impugnata che le stesse erano frutto della non corretta interpretazione della disposizione richiamata o dell’applicazione della stessa ad una fattispecie concreta non corrispondente a quella astratta regolata dalla norma. (Cass. 11/8/2004 n. 15499). Le censure articolate, infatti, non evidenziano alcuno specifico errore di diritto della decisione impugnata ma si incentrano esclusivamente sull’accertamento del giudice di appello destinato a sorreggere la valutazione di tempestività della contestazione. Con riferimento a tale profilo, investito con la deduzione di omesso esame di fatto decisivo e controverso, si rileva che tutte le circostanze alle quali ha fatto riferimento il ricorrente e cioè la epoca delle segnalazioni INPS, la immediata rilevabilità da parte di Poste delle condotte addebitate in quanto risultanti dalla giornaliera registrazione, cartacea ed informatica, – la loro conoscibilità da parte del Direttore dell’Ufficio postale, sono state espressamente prese in considerazione dalla decisione impugnata di talchè, rispetto alle stesse, non è configurabile alcun omesso esame di un fatto decisivo oggetto di controversia fra le parti, come richiesto, per la valida deduzione del vizio di motivazione, dal testo attualmente vigente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (risultante dalla modifica introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134), applicabile ratione temporis, in ragione della data di pubblicazione – il 17 aprile 2014 – della sentenza impugnata. In ordine poi alla dedotta carenza di prova della data nella quale sarebbero pervenute le segnalazioni dell’ente previdenziale, si rileva che il giudice di appello ha dimostrato di considerarla pacifica precisando, con affermazione rimasta incontrastata, che Poste si era attivata solo dopo averle ricevute. Costituiva pertanto onere della parte ricorrente, onere rimasto inadempiuto, denunziare di avere sollevato la relativa questione, implicante accertamento di fatto, nei gradi di merito indicando in quale atto del giudizio precedente Io aveva fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 28 luglio 2008 n Cass. 28 luglio 2008 n. 20518, Cass. 1 12/07/2005 n. 14590)

8. Il secondo motivo è infondato. Non risponde al vero che la decisione sia stata assunta in violazione della regola dell’onere probatorio, ricadente, nel caso di specie, sulla parte datoriale. Infatti il giudice di appello, sul presupposto che il C. non aveva negato le condotte ascritte ma aveva cercato di giustificarle sotto il profilo dell’ignoranza delle regole aziendali (v. sentenza pag. 9), ha ritenuto tali condotte incontestate. La decisione adottata risulta, pertanto, conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la non contestazione costituisce un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell’oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale e dovrà, perciò, ritenerlo sussistente, in quanto l’atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti (cfr. tra le altre, Cass. 05/03/2009 n. 5356). La ulteriore censura con la quale il C. assume, in contrasto con quanto affermato dalla sentenza impugnata, di non avere mai esplicitamente riconosciuto la effettuazione di sovvenzioni di cassa alla collega è inammissibile in quanto non sorretta da alcuno specifico e autosufficiente riferimento agli atti e documenti di causa destinati a dimostrare la circostanza la quale, anzi, risulta positivamente esclusa dal tenore delle difese articolate dal odierno ricorrente in sede di ricorso ex art. 700 cod. proc. civ. il cui contenuto è riassunto nel ricorso per cassazione (v. pagg. 2 e sgg.) Sulla scorta di analoghi rilievi, attinenti al difetto di autosufficienza, devono essere dichiarate inammissibili, le censure con le quali si contesta il contenuto delle disposizioni aziendali quale ritenuto dal giudice di appello, occorrendo, a tal fine, onde non incorrere nella sanzione di inammissibilità ex art. 366 cod. proc. civ. (v., tra le altre Cass. 15/07/2015 n. 14784, 09/04/2013n. 8569, Cass. 3/7/2009 n. 15628), la dimostrazione della circostanza mediante riproduzione del contenuto delle disposizioni aziendali prese in considerazione dal giudice di appello, corredata dalla indicazione della sede processuale di relativa produzione, oneri non rispettati dal ricorrente.

9. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile in quanto parte ricorrente non chiarisce in quale modo l’accertamento operato dalla Corte in punto di conoscenza delle disposizioni aziendali da parte del lavoratore è frutto di violazione della regola dell’onere probatorio posta dall’art. 2697 cod. civ., per cui valgono le considerazioni già espresse in relazione al primo motivo di ricorso, primo profilo. Le ulteriori deduzioni intese a contrastare l’accertamento di fatto a riguardo operato dal giudice di appello in merito alla conoscenza o conoscibilità di tali disposizioni da parte del C., oltre a non essere sorrette dall’autosufficiente richiamo agli atti e documenti di causa ed alle difese sviluppate dalle parti a riguardo, risultano non coerenti con l’attuale configurazione del vizio di motivazione, dovendosi escludere ogni omesso esame da parte del giudice di appello in merito alla questione della conoscenza o conoscibilità da parte del C. delle regole aziendali, questione espressamente affrontata dalla Corte territoriale (sentenza pag. 9).

9.1. Infine, parimenti inammissibile risulta la censura con la quale si deduce l’inesistenza di una disposizione regolamentare che vietava le sovvenzioni tra sportellisti, non avendo parte ricorrente, in violazione del disposto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 (v., tra le altre Cass. 15/07/2015 n. 14784, 09/04/2013n. 8569, Cass. 3/7/2009 n. 15628), riprodotto, a sostegno di tale assunto, il contenuto dei detti documenti, (che il giudice di appello riferisce depositati in atti da Poste) e del “Manuale della sicurezza e dell’Ufficio postale”, presi in considerazione dalla Corte. Con riferimento a tale ultimo documento che si assume non depositato da Poste, ancora una volta, parte ricorrente non dimostra mediante puntuale riferimento alla vicenda sviluppatasi nei gradi di merito che tale documento non risultava prodotto e che il relativo contenuto non poteva dirsi acquisito al giudizio.

10. Il quarto motivo è inammissibile in quanto muove dal presupposto, indimostrato alla luce del rigetto dei motivi precedenti, che il C. non aveva avuto conoscenza delle disposizioni aziendali. L’ulteriore deduzione, intesa ad evidenziare la non assimilabilità della fattispecie in esame con quelle di cui alla contrattazione collettiva, richiamata dal giudice di appello a conferma della gravità dell’inadempimento, sotto il profilo dell’assenza di danno cagionato a Poste non è pertinente alle ragioni del decisum. La sentenza impugnata non ha fatto, infatti, riferimento al pregiudizio subito dalla società Poste datrice di lavoro, ma al danno sofferto dall’INPS, in conseguenza degli effettuati irregolari pagamenti, richiamando le previsioni collettive che sanzionano con il licenziamento senza preavviso quelle condotte dolose che possano arrecare o abbiano arrecato forte pregiudizio alla Società o a terzi e in genere fatti o atti dolosi, anche nei confronti di terzi, tali da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro. Parimenti inammissibile, per difetto di interesse ad impugnare, si rivela la ulteriore censura sulla mancata ammissione delle istanze intese a dimostrare la esistenza, nell’ufficio postale presso il quale prestava la propria attività il C., di prassi conformi alla condotta oggetto di addebito, avendo il giudice di appello escluso la rilevanza scriminante di tali prassi in quanto addirittura eversiva del regolamento, affermazione questa non investita da specifica censura.

11. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile. Invero, a prescindere dal fatto che esso non è corredato, come prescritto, dal contenuto delle istanze istruttorie del cui mancato accoglimento ci si duole (Cass. 30/07/2010 n. 17915,) l’espletamento della prova avente ad oggetto l’impiego in buoni fruttiferi di parte delle somme corrisposte in relazione agli episodi dell’aprile 2009, non appariva indispensabile avendo la sentenza impugnata ritenuto acquisita la circostanza e avendola valutata, comunque, ininfluente sul rilievo che la collocazione di buoni fruttiferi non faceva venir meno il fatto che il C. aveva, comunque, consentito al Ci. e alla D.R., di entrare in possesso di cospicue somme, senza azionare la prevista operazione di prenotazione e accertamento dell’indennità.

12. Il sesto motivo di ricorso è inammissibile in quanto inteso a censurare la valutazione di proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto alla condotta del lavoratore, valutazione che rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, ed è sindacabile esclusivamente sotto il profilo del vizio di motivazione e, quindi, sulla base del testo attualmente vigente dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, fatto che non risulta neppure individuato nell’illustrazione del motivo.

13. Al rigetto del ricorso consegue la condanna alle spese della parte soccombente.

14. L’attuale condizione del ricorrente di ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude, allo stato, la debenza di quanto previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 3.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2017

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