Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24193 del 25/10/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 24193 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: GARRI FABRIZIA

SENTENZA
sul ricorso 7095-2012 proposto da:
S.S. CALCIO NAPOLI S.P.A.(già NAPOLI SOCCER S.P.A.)
04855461218, in persona de_ legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA
MARTIRI DI BELFIORE 2, presso lo studio dell’avvocato
CHILOSI RICCARDO, che la rappresenta e difende giusta
2013

delega in atti;
– ricorrente –

2608
contro

T
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STELLATO

STELI°

STLSTL49D09G964K,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA UGO DE CAROLIS 101, presso lo

Data pubblicazione: 25/10/2013

studio dell’avvocato GILDA LAVIANO, rappresentato e
difeso dall’avvocato NAPPI SEVERINO, giusta delega in
atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 1387/2010 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/09/2013 dal Consigliere Dott. FABRIZIA
GARRI;
udito l’Avvocato CHILOSI RICCARDO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI, che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso.

di NAPOLI, depositata il 26/03/2010 r.g.n. 7307/08;

Fatto e diritto
La sentenza impugnata
La Corte d’Appello di Napoli ha respinto il gravame proposto dalla S.S. Calcio Napoli s.p.a. ed ha
confermato l’illegittimità del licenziamento intimato a Stelio Stellato per non essere ravvisabile un

Il giudice territoriale ha in primo luogo respinto l’eccezione di improcedibilità del ricorso introduttivo
rilevando che sebbene la procura alle liti non risultasse riprodotta nella copia del ricorso notificata alla
società questa tuttavia era apposta sull’originale depositato in cancelleria e l’atto notificato conteneva
comunque l’indicazione del difensore cui l’atto era riferibile.
Quindi ha verificato che l’esigenza organizzativa posta a fondamento del licenziamento non era
concretamente esistente. In particolare ha evidenziato che, contrariamente a quanto risultante dalla
lettera di licenziamento del 18.11.2004, successivamente al passaggio del dipendente dalla società
AURO Servizi alla società Soccer Napoli s.p.a., e nonostante l’accentramento dei servizi contabili
presso la società madre, in effetti lo Stellato era stato trasferito nei ruoli della società cessionaria già dal
10.9.2004 ed ivi aveva continuato a svolgere le funzioni di addetto alla contabilità (compilazione del
borderau provvisorio in occasione delle partite, pagamento dei fornitori con uso degli incassi e verifica
degli incassi stessi, liquidazione delle percentuali spettanti alla squadra ospite, liquidazione dei compensi
al Comune per l’utilizzo dello stadio, verifica dei conteggi, versamenti in cassa continua e tutte le
operazioni contabili immediatamente successive alla partita in casa. Inoltre era titolare della delega per i
versamenti dell’incasso insieme ad un altro dipendente). In definitiva la Corte ha accertato che la
posizione rivestita dallo Stellato, anche dopo la cessione, aveva continuato ad esistere e le relative
mansioni erano state concretamente da lui svolte senza soluzione di continuità successivamente al
passaggio presso la nuova società ed ha escluso che fosse stata offerta la prova dell’esistenza di quelle
ragioni che potevano giustificare il recesso, extrema ratio derivante dall’impossibilità di adibire il
lavoratore a mansioni diverse e compatibili con il suo livello di inquadramento, tenuto conto del fatto
che non era risultato un integrale trasferimento della contabilità presso gli uffici romani della società
madre Filmauro.
Quant all’ inapplicabilità della tutela reale ha sottolineato che la disciplina dell’art. 8 della 1. 23.3.1981
n. 91 professionisti sportivi non escludeva la possibilità di computarli nel numero dei dipendenti ai
fini dell’applicazione dell’art. 18 dello Statuto evidenziando che la tutela reale si giustifica anche in
ragione delle notevoli capacità economiche delle grandi imprese.

La S.S. Calcio Napoli s.p.a. (già Napoli Soccer s.p.a.) articola sette motivi di ricorso per cassazione,
ulteriormente illustrati con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., ai quali resiste con
controricorso Stelio Stellato.

I motivi di

rientuo:

1.- con il primo motivo dì ricorso si censura la sentenza per avere, in violazione e con falsa
interpretazione dell’art. 415 comma 3 c.p.c. , dell’art. 83 c.p.c. e dell’art. 156 comma 2 c.p.c.,
erroneamente ritenuto che fosse valida la notifica di una copia autentica del ricorso di primo grado che

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giustificato motivo oggettivo di recesso dal rapporto di lavoro.

non riportava, però, la procura alle liti in favore del difensore. Sostiene la società ricorrente che l’atto
notificato, privo della delega, era nullo in quanto non consentiva al destinatario la verifica dei poteri del
procuratore notificante. Evidenzia che si tratta di una nullità non sanabile per effetto di atti successivi e
che l’attestazione di conformità della copia all’originale rilasciata dal cancelliere confermava che anche
nell’originale non vi era la procura restando irrilevante la verifica, tra la copia notificata e l’originale,
possibile effetto di una correzione successiva.

2.- Con il secondo motivo di ricorso è denunciata l’erronea interpretazione, da parte del giudice
d’appello, dell’art. 3 della 1. n. 604 del 1966 e l’errato convincimento che il giustificato motivo oggettivo
debba essere subordinato alla condizione di effettività di una crisi aziendale. Inoltre non sarebbe stato
dato rilievo all’avvenuta operazione di esternalizzazione ad altra azienda di tutte le attività contabili e di
cassa in cui il lavoratore licenziato era impiegato. Al riguardo la società sottolinea che costituisce una
illegittima intromissione nell’autonomo potere organizzativo dell’imprenditore in violazione dell’art. 41
Cost. l’aver ritenuto che mancasse il requisito dell’effettività della cessione di attività ed evidenzia che la
scelta organizzativa era comunque compatibile con la legittima finalità di migliorare l’efficienza
aziendale e perseguire una gestione economica, per il conseguimento di migliori risultati.
3.- Il terzo motivo di ricorso investe la motivazione della sentenza che avrebbe erroneamente
interpretato la lettera di licenziamento del 10.9.2004 e, in violazione dell’art. 1362 c.c., avrebbe disatteso
il senso letterale della stessa ed omesso di esaminare la circostanza, fondamentale ai fini della decisione,
che la verifica della persistenza nell’organico aziendale della posizione rivestita dallo Stellato era
intervenuta in un momento successivo alla effettiva presa in carico del personale per effetto della
cessione della società. Ugualmente errato sarebbe, poi, il convincimento del giudice di appello che,
dopo l’acquisizione, era stata istituita una posizione di cassiere contabile, pienamente esistente alla data
del licenziamento ed solo in quella sede soppressa. Sostiene la società di non aver modificato le ragioni
poste a sostegno del recesso né, tanto meno, di aver qualificato le saltuarie prestazioni rese
successivamente al passaggio presso la società subentrante, come asseverazione dell’esistenza della
“posizione” lavorativa già rivestita anche nella nuova organizzazione. Evidenzia al contrario che la
presa in carico di tutti i dipendenti, all’atto del passaggio, era doverosa ma non escludeva una successiva
verifica delle concrete possibilità di impiego futuro degli stessi, poi effettuata ed alla quale era seguita
l’eliminazione di alcune posizioni non altrimenti utilizzabili e solo precariamente e parzialmente
utilizzate nella fase di transito dall’una all’altra società. In conclusione secondo la società ricorrente non
vi era stata alcuna soppressione del posto successivamente al passaggio alla nuova società ma, piuttosto,
la posizione lavorativa non era mai venuta in essere. Evidenzia, inoltre, che in una fattispecie analoga la
Corte napoletana era pervenuta esattamente alle conclusioni suggerite e che tale decisione era stata
confermata dalla Suprema Corte.
4.- Con il quarto motivo di ricorso è censurata la sentenza nella parte in cui, con motivazione
asseritamente illogica ed incongrua, ha ritenuto arbitrario il recesso a fronte della persistente necessità
per la società, anche dopo la comunicazione del licenziamento del 18.11.2004, di un’attività quale quella
prestata dal signor Stellato quanto meno in affiancamento alle funzioni svolte dalla dipendente
mantenuta in servizio. Evidenzia la ricorrente che la Corte d’appello, pur avendo riconosciuto che la
società nell’esercizio della propria autonomia organizzativa avesse affidato a terzi lo svolgimento delle
attività di contabilità connesse alle attività sportive e che erano residuati all’interno ben pochi compiti,
affidati ad un’altra dipendente, ha però ritenuto comunque illegittimo il recesso sul rilievo che l’odierno
controricorrente aveva prestato la sua attività per circa due mesi, senza considerare, però, che la

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valutazione circa l’effettiva esistenza delle mansioni doveva essere proiettata verso il futuro e non basata
sull’esistenza di sporadici compiti eseguiti nel periodo di assestamento della fase di passaggio.

In tal modo non solo la Corte avrebbe erroneamente interpretato l’art. 3 della 1. n. 604 del 1966 ma
avrebbe altresì omesso la lettura di risultanze istruttorie determinanti e attribuito valore probatorio a
dichiarazioni rese dal procuratore speciale in sede di interrogatorio libero.
Ancora una volta la società deduce che sarebbe stato errato da parte del giudice di merito attribuire alle
saltuarie e spontanee prestazioni rese dallo Stellato, nei primi mesi successivi alla cessione della società,
valenza di formale e definitiva investitura nelle mansioni a valere per la futura organizzazione della
società stessa. A tale conclusione la Corte territoriale sarebbe pervenuta in esito ad una distorta
interpretazione delle acquisizioni istruttorie laddove invece una loro corretta lettura avrebbe
confermato che la ridotta attività domenicale insieme con l’espletamento di alcune “code” contabili non
dimostrava affatto una piena attribuzione di mansioni ma, piuttosto, la diversità dei due modelli
organizzativi emersa in istruttoria e solo parzialmente considerata dal giudice di appello.
7.- L’ultimo motivo di ricorso riguarda, infine, l’errata l’applicazione della disciplina limitativa dei
licenziamenti alla società. Sostiene la ricorrente che erroneamente la Corte d’appello avrebbe ritenuto di
dover computare nel numero dei lavoratori dipendenti utili ai fini dell’applicazione della tutela reale i
giocatori professionisti , il cui rapporto di lavoro, pure subordinato, è, però, regolato dagli artt. 3 e 8
della 1. n. 91 del 23 marzo 1981 che esclude esplicitamente nei loro riguardi l’applicabilità dell’art. 18
dello Statuto dei lavoratori. Sostiene la ricorrente che se la disposizione non può trovare applicazione
nei confronti dei giocatori professionisti questa non può produrre alcun effetto giuridico neppure nei
riguardi di terzi con la conseguenza che, ai fini dell’esistenza del requisito dimensionale per
l’applicazione della tutela reale i giocatori professionisti non potrebbero essere inclusi nel numero dei
lavoratori dipendenti.

I motivi della decisione
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Secondo l’orientamento di questa Corte, cui si intende dare continuità, infatti, in tema di procura alle
liti, costituisce elemento sufficiente per ritenere, con ragionevole certezza, che il mandato sia stato
conferito prima della notificazione dell’atto l’indicazione, esistente nella specie, nell’epigrafe della copia,
del difensore destinatario della procura speciale (cfr. Cass. 22.3.2005 n. 6169, n. 15354/2004,
17406/2004). Solo nel caso in cui nella copia del ricorso consegnata all’appellato in sede di notifica,
manchi l’indicazione di elementi essenziali, che sia invece contenuta nell’originale dell’atto stesso, si
determina una nullità che investe, peraltro, non il ricorso predetto ma solo la notifica del medesimo,
ove la stessa non sia autonomamente idonea a far conoscere al destinatario il contenuto
dell’atto notificato che è, comunque, sanata dalla costituzione in giudizio del convenuto (cfr. Cass.
22.11.2010 n. 23625, n. 14389/2010 e s.u. n. 6444/1979).

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Ch

5.- Il quinto ed il sesto motivo di ricorso denunciano la sentenza per aver, ancora una volta, violato
l’art. 3 della 1. n. 604 del 1966 e, con motivazione illogica, incongrua, carente, ritenuto arbitrario il
recesso a fronte dell’avvenuta, pretesa, attribuzione allo Stellato, nel periodo settembre-novembre 2004,
di una formale e definitiva posizione lavorativa nell’ambito della nuova struttura del Napoli Soccer
s.p.a..

Nella specie la Corte d’appello, dopo una verifica degli atti depositati, ha dato atto, con accertamento di
fatto incensurabile in questa sede, dell’esistenza del collegamento tra la persona del difensore indicata
nella copia notificata dell’atto e quella del destinatario della procura apposta sull’originale, ritenendo
così superata la censura e facendo corretta applicazione dei principi enunciati da questa Corte e sopra
richiamati.

Queste, per la loro connessione, possono essere esaminate congiuntamente.
Va rammentato che per procedere al licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, ex art.
3 della legge 15 luglio 1996, n. 604 non è indispensabile l’esistenza di una vera e propria crisi aziendale,
ben potendo derivare la necessità di risolvere il rapporto dalla scelta imprenditoriale, insindacabile da
parte del giudice, di organizzare diversamente la propria struttura produttiva. Questa, tuttavia, non può
essere determinata da un generico ridimensionamento dell’attività imprenditoriale, ma deve essere
sorretta dalla necessità di procedere alla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo
lavoratore, soppressione che non può essere meramente strumentale ad un incremento di profitto, ma
deve essere diretta a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti. Il lavoratore ha quindi il diritto
che il datore di lavoro (su cui incombe il relativo onere) dimostri la concreta riferibilità del
licenziamento individuale ad iniziative collegate ad effettive ragioni di carattere produttivo organizzativo, e non ad un mero incremento di profitti. Inoltre deve offrire la prova dell’impossibilità di
utilizzare il lavoratore stesso in altre mansioni equivalenti a quelle esercitate prima della ristrutturazione
aziendale (cfr. tra le altre Cass. 26.9.2011 n. 19616).
Ciò comporta da un canto la necessità di provare l’effettività della nuova organizzazione e dall’altro di
offrire la dimostrazione della soppressione della posizione lavorativa.
E’ proprio tale ultima prova che la Corte di merito ha ritenuto carente e la verifica del materiale
probatorio operata da quel giudice non si presta alle censure che le vengono mosse.
Appare necessario puntualizzare che nel caso in esame (diversamente da quanto si evince dalla sentenza
pronunciata dalla stessa Corte territoriale, confermata da questa Corte con sentenza n. 20601 del
2013,allegate in atti, con riguardo alla posizione di un’ altra dipendente che rivestiva le mansioni di
segretaria addetta al marketing), è stato accertato in fatto, sulla base delle acquisizioni istruttorie e con
valutazione di merito ad esse aderente e congruamente e logicamente motivata, che lo Stellato, dopo il
trasferimento della società Calcio Napoli s.p.a. alla Napoli Soccer s.p.a. (oggi S.S. Calcio Napoli s.p.a.),
ha continuato a svolgere in maniera pressoché inalterata i compiti già a lui affidati di gestione della
contabilità, seppur limitatamente alle gare giocate in casa, coordinandosi con gli uffici di Roma e
provvedendo alla riscossione diritti SIAE 2004-2005, essendo stato all’uopo delegato dal direttore
generale della società subentrante.
In sostanza la Corte territoriale ha puntualmente riscontrato, come già aveva fatto il Tribunale, che
l’attività era proseguita con continuità per tutte le gare giocate in casa e che i compiti assegnati allo
Stellato erano rimasti sostanzialmente invariati.

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Le censure articolate nei motivi dal secondo al sesto attengono tutte alla corretta applicazione dell’art. 3
della 1. n. 604 del 1966, sia sotto il profilo della violazione di legge sia sotto il profilo del vizio di
motivazione.

Correttamente, allora, il giudice di appello ha ritenuto che la motivazione posta a fondamento del
recesso (vale a dire la circostanza che “la posizione di addetto contabile non è (…) mai venuta ad
esistenza”) era stata contraddetta dalle prove acquisite nel corso del giudizio e non era ammissibile la
diversa interpretazione prospettata (che collegava la scelta aziendale alle diverse esigenze della nuova
organizzazione) poiché questa si risolveva in una inammissibile modificazione della causa giustificatrice
del recesso espressa nella comunicazione di risoluzione del rapporto.

Neppure può trovare accoglimento la censura formulata nell’ultimo motivo di ricorso e riguardante la
computabilità dei giocatori professionisti tra i lavoratori dipendenti utili per il raggiungimento del
requisito dimensionale necessario ai fini dell’applicazione della tutela reale prevista dall’art. 18 dello
Statuto.
Premesso che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte ai fini della operatività della tutela
reale, il computo dei dipendenti va accertato sulla base del criterio della normale occupazione, il quale
implica il riferimento all’organigramma produttivo o, in mancanza, alle unità lavorative necessarie
secondo la normale produttività dell’impresa, e che va valutata con riguardo al periodo di tempo
antecedente al licenziamento (Cfr. per tutte Cass. 12909/03 e recentemente Cass. n.14953/2009 e n.
25249/2010 con riferimento ad attività caratterizzate dalla stagionalità), sembrano necessarie alcune
puntuali7zazioni con specifico riferimento all’ipotesi del lavoro sportivo disciplinato dalla legge 23
marzo 1981 n. 91.
In primo luogo va sottolineato il dato letterale. Ed infatti il legislatore all’art. 3 prevede che, in via
generale, ed è questo il caso che riguarda la fattispecie in esame, la prestazione sportiva a titolo oneroso
“costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato”. Il successivo articolo 4 al comma 7 chiarisce
che però al rapporto non si applica, tra l’altro, l’art. 18 della 1. 20.5.1970 n. 300.
Tale precisazione è utile a chiarire che nei confronti dei lavoratori sportivi non trova applicazione la
tutela reale reintegratoria. Ma tale affermazione non incide però sulla natura subordinata del rapporto di
lavoro né, tantomeno, caratterizza il rapporto nel senso di escluderne una sua valutazione nell’ambito
delle “unità lavorative necessarie” per la normale produttività dell’impresa. Al contrario, proprio
l’attività svolta dai giocatori professionisti, costituisce il fulcro ed il reale motore produttivo della società
rispetto alla quale tutte le altre hanno carattere correlato e funzionale allo svolgimento di quella che è la
ragione produttiva dell’impresa, vale a dire la partecipazione agonistica a competizioni sportive.

Per le esposte considerazioni la sentenza sul punto va confermata.

Va inoltre sottolineato che il legislatore della L. n. 91 del 1981, mentre sancisce che la prestazione
pattuita a titolo oneroso con l’atleta professionista, pur con le indicate deroghe, costituisce oggetto di
contratto di lavoro subordinato, demanda per le altre figure di lavoratori sportivi contemplate nell’art. 2
della stessa legge (allenatori, direttori tecnico sportivi e preparatori atletici) la sussistenza o meno del
vincolo di subordinazione alla verifica, di volta in volta nel caso concreto, dei presupposti
caratterizzanti in applicazione dei criteri forniti dal diritto comune del lavoro (cfr. in termini Cass. 28
dicembre 1996 n. 11540, Cass. n. 19275/ 2006 e Cass. n. 16849/2011).
In conclusione proprio perché la prestazione è resa in regime di subordinazione ed è essenziale alla
normale attività della società non v’è ragione per escludere i giocatori dal computo dei lavoratori che

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costituiscono lo stabile organigramma della società e sono, perciò, utili ai fini dell’individuazione dei
requisiti di legge necessari all’applicazione della tutela reale.
Per le considerazioni esposte il ricorso deve essere respinto.
Le spese del giudizio regolate secondo il criterio della soccombenza vanno poste a carico della società
nella misura indicata in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso.
Condanna la società al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 3000,00 per compensi
professionali ed in € 50,00 per esborsi. Oltre IVA e CPA.
Così deciso in Roma il

Il Consigliere estensore

is settembre 2013

LA CORTE

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