Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24190 del 25/10/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 24190 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso 27127-2008 proposto da:
ALVINO

ERRICO

LVNRRC52M28A509E,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ACHILLE PAPA 21, presso lo
studio dell’avvocato GAMBERINI MONGENET RODOLFO, che
lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
MARSIGLIA GUIDO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
2545

contro

INTESA SAN PAOLO S.P.A. (già SANPAOLO IMI S.P.A.) in
persona del legale rappresentante

212

tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO

Data pubblicazione: 25/10/2013

18 (PALAZZO VALADIER), presso lo studio dell’avvocato
DI GENNARO FRANCESCA, rappresentata e difesa
dall’avvocato RIZZO GAETANO, giusta delega in atti;
– controricorrente nonchè contro

SVILUPPO ECONOMICO DELL’ITALIA MERIDIONALE – intimato Nonché da:
ISTITUTO PER LO SVILUPPO ECONOMICO DELL’ITALIA
MERIDIONALE -ISVEIMER SPA IN LIQUIDAZIONE in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CAVOUR 325, presso lo studio
dell’avvocato ABIGNENTE ANGELO, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato MARTANO ALFREDO,
giusta delega in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro

ALVINO

ERRICO

LVNRRC52M28A509E,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ACHILLE PAPA 21, presso lo
studio dell’avvocato GAMBERINI MONGENET RODOLFO, che
lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
MARSIGLIA GUIDO, giusta delega in atti;
controricorrente al ricorso incidentale non chè contro

INTESA SAN PAOLO S.P.A.;

ISVEIMER S.P.A. IN LIQUIDAZIONE – ISTITUTO PER LO

- intimata –

avverso la sentenza n. 2412/2008 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 03/05/2008 R.G.N.
6460/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

BERRINO;
udito l’Avvocato MARSIGLIA GUIDO;
uditi gli Avvocati RIZZO GAETANO, ABIGNENTE ANGELO,
MARTANO ALFREDO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO y che ha concluso per
il rigetto di entrambi i ricorsi.

udienza del 17/09/2013 dal Consigliere Dott. UMBERTO

Svolgimento del processo
In parziale accoglimento del ricorso proposto da Alvino Enrico nei confronti
dell’ISVEIMER s.p.a e della San Paolo IMI s.p.a, il giudice del lavoro del Tribunale
di Napoli dichiarò illegittimo il licenziamento intimato al ricorrente il 18/7/97

risarcimento del danno nella misura dell’ultima retribuzione di fatto dalla data del
licenziamento all’1/12/2000.
A seguito di appello principale del lavoratore ed incidentale dell’ISVEIMER la
Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 3/4 – 3/5/2008, ha rigettato entrambi gli
atti di impugnazione compensando le spese del grado.
La Corte territoriale è pervenuta a tale decisione sulla base delle seguenti
considerazioni: – La qualifica di funzionario rivestita dal lavoratore non valeva ad
escludere nei suoi confronti la disciplina del licenziamento collettivo; l’accertata
I

violazione, da parte dell3stituto, degli obblighi di comunicazione di cui all’art. 4,
comma 9, della legge n. 223/91 aveva determinato, ai sensi dell’art. 5, comma 30 ,
della stessa legge l’inefficacia del licenziamento e l’applicazione dell’apparato
sanzionatorio di cui all’art. 18 della legge n. 300/70; tuttavia, nel caso di specie il
venir meno del substrato materiale della prestazione lavorativa estingueva i
rapporti di lavoro per impossibilità sopravvenuta, con conseguente impossibilità di
ordinare la reintegra, per cui correttamente l’istituto era stato condannato al solo
risarcimento del danno dalla data del recesso a quella di cessazione integrale
delle attività di liquidazione del 1° dicembre 2000; nemmeno poteva ipotizzarsi una
responsabilità dellistituto controllante, cioè del Banco di Napoli, nei confronti dei
singoli lavoratori licenziati, non avendo tale istituto assunto alcun impegno in loro
favore per la tutela dei posti di lavoro, fatta eccezione per quello contratto in sede
sindacale il 6/3/97, puntualmente osservato, di assorbire un massimo di
cinquantadue dipendenti dell’Isveimer.

1

nell’ambito della procedura di cui alla legge n. 223/91 e condannò l’ISVEIMER al

Per la cassazione della sentenza propone ricorso Errico Alvino, il quale affida
l’impugnazione a quattro motivi di censura.
Resistono con controricorso l’ISVEIMER s.p.a e l’INTESA SAN PAOLO s.p.a. La
società ISVEIMER s.p.a. propone, a sua volta, ricorso incidentale affidato ad un

depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Preliminarmente va disposta la riunione del ricorso principale e di quello
incidentale ai sensi dell’art. 335 c.p.c.
1. Col primo motivo il ricorrente principale denunzia la violazione e falsa
applicazione degli artt. 36, 416, 418, 437 e 112 c.p.c. assumendo che non si era
considerato che la società lsveimer avrebbe dovuto farsi carico di chiedere,
tramite apposita domanda riconvenzionale o specifica eccezione, l’accertamento
del fatto ostativo alla sua reintegrazione conseguente alla dedotta impossibilità
sopravvenuta dovuta alla cessazione dell’attività aziendale, onde poter ottenere la
dichiarazione di estinzione del rapporto di lavoro alla data dell’1/12/2000. Ne
conseguiva che in mancanza di impulso di parte il giudicante era incorso nel vizio
di ultrapetizione nel momento in cui aveva giustificato la scelta della condanna
risarcitoria in luogo di quella reintegratoria, motivandola sulla base della
impossibilità di esecuzione di quest’ultima per il venir meno del substrato materiale
dell’azienda.
Il motivo non è fondato, posto che non occorreva la proposizione, da parte della
datrice di lavoro convenuta in giudizio, di una domanda riconvenzionale o di una
specifica eccezione per opporsi alla richiesta di reintegrazione avanzata dal
ricorrente, essendo, al riguardo, sufficiente l’eccezione sollevata con la memoria di
costituzione sull’intervenuto azzeramento del personale, circostanza, questa, che
aveva ricevuto un riscontro dalla dichiarazione del medesimo appellante il quale,
come evidenziato in sentenza, aveva ammesso che con la fine dell’anno 2000

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solo motivo al cui accoglimento si oppone il ricorrente principale. Le parti

1)stituto appellato aveva risolto tutti i rapporti di lavoro subordinato ancora in
essere.
Al riguardo, si è anche avuto modo di statuire (Cass. Sez. lav. n. 29936 del
22/12/2008) che “la scelta dell’imprenditore di cessare l’attività costituisce

traduce in una circostanza di fatto che può essere introdotta nel processo senza
necessità di rispettare alcun formalismo, richiedendo solo la rituale acquisizione al
giudizio. Ne consegue che, ove l’imprenditore sia stato convenuto in giudizio da un
dipendente che deduca l’illegittimità del suo licenziamento, la deduzione della
sopravvenuta cessazione dell’attività non richiede la proposizione di una domanda
riconvenzionale o di una eccezione in senso formale, dovendosi ritenere
inapplicabili le regole di cui all’art. 416, comma 2, cod. proc. civ. e all’art. 418 cod.
proc. civ.. (Nella specie, relativa ad una ipotesi di licenziamento collettivo di cui era
stata accertata l’illegittimità, la S.C., nel rigettare il motivo di ricorso, ha rilevato
che, correttamente, il giudice di merito si era limitato ad accogliere la domanda di
risarcimento del danno in quanto l’avvenuta cessazione totale dell’attività
aziendale costituiva un accadimento – introdotto dalla società nel giudizio di primo
grado e risultante dalla documentazione in atti – che rendeva impossibile la
reintegrazione).
2. Col secondo motivo del ricorso principale si denunzia la violazione degli artt.
2448 cod. civ., 4, 5 e 24 della legge n. 223/91, art. 3 della legge n. 604/66, art. 18
della legge n. 300/70 e degli artt. 1256, 1463 e 1464 cod. civ., nonché il vizio di
omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio, oltre che l’omessa valutazione di documenti decisivi. In
particolare, per quel che concerne i vizi di motivazione ) si sostiene che la Corte
d’appello avrebbe fatto confusione tra cessazione dell’attività d’impresa e
cessazione dell’attività di liquidazione della stessa, aggiungendosi che nella
fattispecie quest’ultima non si era affatto conclusa alla data dell’1/12/2000,

3
f‘.11

esercizio incensurabile della libertà di impresa garantita dall’art. 41 Cost. e si

essendo continuata anche dopo, come emergeva dal bilancio societario, dalla
sottoscrizione di due contratti di collaborazione continuativa e coordinata nel
periodo 200-2004 e dalla cessione dei crediti alla S.G.A alla data del 5/7/2000. In
ordine al vizio di violazione di legge si sostiene, invece, che l’impossibilità

poteva ricondursi nella fattispecie ad un provvedimento esterno, quale quello
dell’autorità giudiziaria od amministrativa, bensì alla sola volontà dei soci che
avevano deliberato la messa in liquidazione della società, per cui era da escludere
che ciò non fosse imputabile alla parte datoriale che aveva liberamente scelto di
licenziare tutti i lavoratori subordinati e di avvalersi di consulenti esterni o di
lavoratori distaccati dal Banco di Napoli per proseguire l’attività.
3. Col terzo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 116
c.p.c., 2697 e 2727 cod. civ., nonchè l’omessa ed insufficiente motivazione, in
quanto si fa osservare che, una volta avvenuta la messa in liquidazione della
società, la mancanza di prova circa l’impossibilità di utilizzazione della prestazione
del lavoratore licenziato non consentiva la configurazione di una situazione di
impossibilità sopravvenuta atta ad impedire la reintegrazione nel posto di lavoro.
Il secondo ed il terzo motivo, che possono essere trattati congiuntamente per
ragioni di connessione, sono infondati.
Invero, il ricorrente opera una inammissibile rivisitazione degli elementi istruttori
adeguatamente scrutinati dai giudici d’appello, non consentita nella presente sede
di legittimità, allorquando tenta di porre in discussione il giudizio di fatto svolto
dalla Corte territoriale, con preciso riferimento a dati concreti, in merito alla
riscontrata cessazione della stessa attività di liquidazione dell’impresa per il venir
meno del suo substrato materiale dovuto all’azzeramento del personale alla fine
dell’anno 2000, circostanza, quest’ultima, che aveva ricevuto, come evidenziato
dalla stessa Corte, un preciso riscontro dalla dichiarazione dell’appellante, il quale
ammetteva che con la fine dell’anno 2000 l’appellato istituto aveva risolto tutti i

sopravvenuta atta ad escludere l’applicazione della tutela reintegratoria non

rapporti di lavoro subordinato ancora in essere. Inoltre, la Corte d’appello ha
adeguatamente evidenziato che non appariva rilevante la materiale prosecuzione
di attività inerenti la liquidazione nei locali già di pertinenza dell’Istituto ad opera di
altro soggetto giuridico, la S.G.A. s.p.a., con l’ausilio di collaboratori di questa già

quest’ultima società si era resa cessionaria dei crediti ancora vantati
dall’ISVEIMER nei confronti di terzi senza alcun trasferimento di beni o di
personale, per cui non ha neppure pregio la censura incentrata sulla supposta
omessa disamina di documenti decisivi.
Tale essendo la situazione di fatto compiutamente illustrata dalla Corte di merito,
si rivelano prive di fondamento le censure concernenti le asserite violazioni di
legge, atteso che si è già avuto modo di osservare (Cass. Sez. lav. n. 7189 del
6/8/1996) che “la cessazione dell’attività aziendale inerente alla disgregazione del
relativo patrimonio fa venir meno il substrato della prestazione lavorativa e
pertanto estingue i rapporti di lavoro per impossibilità sopravvenuta ai sensi degli
artt. 1463 e 1256 cod. civ. Conseguentemente, il giudice che accerti l’illegittimità di
un licenziamento non può disporre la reintegrazione del lavoratore nel posto di
lavoro, qualora nelle more del giudizio sia sopravvenuta la cessazione totale
dell’attività aziendale, ma deve limitarsi ad accogliere la sola domanda di
risarcimento del danno, con riguardo al periodo compreso tra la data del
licenziamento e quella della sopravvenuta causa di risoluzione del rapporto.” (in
senso conforme v. anche Cass. Sez. lav. n. 13297 del 7/6/2007)
4. Col quarto motivo del ricorso principale è denunziata la violazione e falsa
applicazione del d.l. 27/3/1996 n. 163, del d.l. n. 293 del 27/5/1996, della legge n.
588/96, degli artt. 1176, 1218, 2043 e 1362 e segg. cod. civ., nonché l’illogicità, la
carenza e la contraddittorietà della motivazione in quanto si sostiene che non si
era tenuto conto del fatto che in aperto contrasto col decreto legge n. 163 del
27/3/96 il Banco di Napoli aveva deciso lo scioglimento anticipato della società in

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dipendenti dell’ISVEIMER, dal momento che col contratto del 5 luglio del 2000

liquidazione senza ottenere l’approvazione della Banca d’Italia, anziché adottare,
come previsto dal suddetto decreto, provvedimenti di ristrutturazione del gruppo
societario e del Banco, rendendosi, in tal modo, responsabile della situazione dalla
quale era derivato il suo licenziamento. In effetti, prosegue il ricorrente, i

favorire il piano di ristrutturazione del Banco e del Gruppo, contemplavano il
preciso impegno del Banco di Napoli a privilegiare gli aspetti occupazionali del
Gruppo delle società che vi facevano parte, per cui la Capogruppo Banco di
Napoli s.p.a si era era resa inadempiente al predetto impegno nel momento in cui
aveva deciso, senza l’approvazione della Banca d’Italia, di sciogliere la società in
liquidazione. Ne scaturiva, secondo tale assunto, una responsabilità contrattuale
della suddetta Capogruppo per violazione degli obblighi connessi alla direzione
unitaria, oltre che una responsabilità extra-contrattuale della stessa per la lesione
del credito del terzo, vale a dire del lavoratore licenziato.
Il motivo non è fondato.
Invero, con motivazione congrua ed esente da rilievi di carattere logico-giuridico,
la Corte partenopea ha escluso che potesse sussistere nella fattispecie una
responsabilità del Banco di Napoli in qualità di società capogruppo sulla base del
condivisibile rilievo che gli impegni assunti in sede di accordi sindacali attuativi del
predetto decreto legge non si erano affatto tradotti in una assunzione di obbligo
verso i singoli lavoratori a tutela dei loro posti di lavoro, fatta eccezione per quello
contratto in sede sindacale il 6/3/97 e puntualmente osservato di assorbire un
massimo di cinquantadue dipendenti dell’Isveimer, dal momento che nel
preambolo dell’accordo era contenuta solo una dichiarazione programmatica in
ordine all’esigenza di privilegiare gli aspetti occupazionali del gruppo anche con
l’utilizzo di diversi strumenti contrattuali, per cui l’impegno del Banco si
sostanziava nell’adozione di procedure per il confronto con le organizzazioni
sindacali sulle strategie di riorganizzazione e nella previsione di un esame

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pn

successivi accordi stipulati con riferimento al predetto decreto legge, emanato per

congiunto sulle ricadute occupazionali. Ne conseguiva, secondo il logico
ragionamento dei giudici d’appello, che non sussisteva alcun obbligo del Banco
verso i singoli lavoratori per la tutela dei loro posti di lavoro, né tanto meno era
stata prevista in quella sede l’adozione di specifici correttivi per il caso di

correttamente in risalto che la previsione di cui all’art. 3 della legge n. 588/96 di
estensione a tutti gli interessati del contenuto degli accordi raggiunti in sede
sindacale dal Banco atteneva esclusivamente alle misure dirette al contenimento
del costo del lavoro e non anche alla salvaguardia dei livelli occupazionali.
Il ricorso principale va, pertanto, rigettato.
Rimane conseguentemente assorbita la disamina del ricorso incidentale, basato
sulla tesi dell’inapplicabilità ai funzionari direttivi della disciplina del licenziamento
collettivo, in quanto lo stesso è da intendersi come proposto in via condizionata
all’accoglimento di quello principale.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente principale
e vanno poste a suo carico nella misura liquidata come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello
incidentale. Condanna il ricorrente principale alle spese del presente giudizio nella
misura di € 3500,00 per compensi professionali e di € 100,00 per esborsi, oltre
accessori di legge.
Così deciso in Roma il 17 settembre 2013
Il Consigliere estensore

soppressione dei posti medesimi. In definitiva, la Corte di merito mette

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