Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24190 del 08/09/2021

Cassazione civile sez. II, 08/09/2021, (ud. 29/04/2021, dep. 08/09/2021), n.24190

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11202-2016 proposto da:

G.P., elettivamente domiciliato in CATANZARO, VIA DE

FILIPPIS 85, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO MAZZA, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.G., M.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 106/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 15/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/04/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

 

Fatto

RITENUTO

che la vicenda, per quel che ancora residua di utilità, può riportarsi nei termini seguenti:

– G.P., con proposta del 22/11/2006, si impegnò ad acquistare un complesso immobiliare di G. e M.M., costituito da un appartamento e da un box, reclamizzati dall’agenzia “(OMISSIS)” e la proposta venne accettata il giorno successivo dai proprietari; il proponente rilasciò un assegno di c.c.b. dell’importo di Euro 5.000,00, a titolo di caparra confirmatoria, incaricando l’agenzia di consegnarlo all’altra parte contraente al momento della scrittura privata, prevista per il 10/1/2007, nel mentre il possesso sarebbe stato trasferito con il rogito, fissato per il 10/3/2007;

– i M., adducendo l’inadempimento del G., richiesero e ottennero ingiunzione;

– il Tribunale di Milano, accolta l’opposizione del G., revocò il decreto ingiuntivo condannando gli opposti al pagamento delle spese legali, avendo, in sintesi, affermato che l’opponente non poteva dirsi inadempiente, essendosi legittimamente rifiutato di acquistare gli immobili, stante che il box, a dispetto di quanto promesso, non era di proprietà dei promittenti alienanti, bensì del Comune di Milano, il quale con convenzione del 2003 ne aveva ceduto il diritto di superficie per la durata di novant’anni alla cooperativa a r.l. “Silos Buenos Aires”, che, a sua volta, aveva stipulato (siccome aveva narrato l’opponente) un contratto preliminare di cessione del diritto di superficie in favore di Gaetana Coniglio, madre dei promittenti alienanti, con la conseguenza che l’opponente aveva, a ragione, rifiutato di acquistare un diritto diverso dalla piena proprietà quanto al box;

– la Corte d’appello di Milano, adita dai M., riformata la sentenza di primo grado, rigettò l’opposizione al decreto ingiuntivo, condannando gli appellati alla rifusione delle spese del doppio grado;

– in sintesi, queste le ragioni del diverso opinamento della Corte distrettuale:

a) il Tribunale aveva valorizzato la circostanza che la proposta d’acquisto precisava che il box era in corso di costruzione, senza specificare che si trattava di bene di proprietà del Comune, nel mentre tale circostanza era stata chiarita solo nella bozza del contratto preliminare, che il G. non aveva voluto concludere; non risultava influente la missiva del 28/11/2006, con la quale il G. aveva chiesto all’agenzia il recapito della cooperativa, al fine di segnalare la necessità che l’altezza del box venisse elevata; le prove orali non erano valutabili poiché i testi assunti ( L.A. e F.B.) erano da reputarsi interessati, poiché il primo rivestiva la qualità di rappresentante legale dell’agenzia e la seconda era dipendente della stessa;

b) viene addebitata al Tribunale la mancata analisi di altri elementi, costituiti dalle dichiarazioni testimoniali, ma soprattutto, quelle dello stesso G., rese in altro giudizio, nel quale si controverteva della pretesa commissione da parte dell’agenzia, avendo costui risposto affermativamente alla domanda “E’ vero che in data 13/11/2006 tale convenzione è stata consegnata a mani dalla Sig. F.B. al signor G.P.?”, da ciò dovendosene trarre il giudizio che il proponente, anche per le sue specifiche competenze, essendo architetto, prima di sottoscrivere la proposta era ben consapevole del regime giuridico del box in costruzione; né il promittente, pur dopo aver interloquito con la cooperativa, aveva mosso contestazione, ma solo successivamente, con lettera del suo legale dell’8/1/2007, si era limitato a chiedere la restituzione della caparra, senza addurre l’inadempimento della controparte, il che avrebbe comportato la richiesta del doppio della stessa.

Diritto

RITENUTO

che G.P. ricorre avverso la sentenza d’appello sulla base di quattro motivi e che la controparte è rimasta intimata;

ritenuto che con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 1351 e 1367 c.c., nonché violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, artt. 112,633 e 634 c.p.c., assumendo che:

– la Corte locale aveva reputato d’individuare un contratto preliminare di compravendita nella proposta d’acquisto accettata;

– doveva, per contro escludersi una tale ricostruzione, essendosi in presenza di un accordo parziale, sprovvisto della necessaria determinatezza, non regolato dagli artt. 1351 e 2932 c.c., privo della necessaria forma, poiché non v’era cenno nella proposta accettata della non appartenenza del box agli accettanti e, anzi, mancando ogni precisazione in ordine alla sussistenza o meno di trascrizioni pregiudizievoli, la scrittura configurava un “mero atto preparatorio e propedeutico”;

– costituiva opera ermeneutica riservata al giudice di merito la interpretazione volta alla qualificazione del contratto, ma la Corte di Milano non aveva “dato il giusto peso al fatto che, nella stessa proposta, si fa riferimento ad un successivo adempimento tra le parti”;

– la sentenza avrebbe dovuto attingere ai parametri di cui all’art. 1367 c.c. e, di conseguenza, avrebbe dovuto far capo all’unica interpretazione che consentiva di dare senso all’accordo, escludendo che si fosse in presenza di un preliminare, invalido per effetto dell’art. 1351 c.c., giungendo a una tale conclusione anche nel rispetto del criterio ermeneutico di cui all’art. 1363 c.c. (il contratto preliminare si sarebbe dovuto perfezionare, siccome dalle parti previsto, il 10/1/2007, tanto è vero che la consegna dell’assegno era rimandata a quel momento);

considerato che il motivo non merita di essere accolto, valendo quanto segue:

– la sentenza, a dispetto della prospettazione impugnatoria, non si costringe in una qualificazione della proposta accettata e, tantomeno, la identifica con il contratto preliminare, ma si limita a riportare i fatti, siccome narrati dallo stesso G. e ripresi dalla sentenza del Tribunale; non si impegna in alcuna opera definitoria dell’accordo, incentrando la propria decisione sulla conoscenza da parte del proponente della qualità giuridica del box;

– se, per un verso, non è dato comprendere sotto quale profilo sarebbe stata violata la forma legalmente prescritta (non di certo, comunque, per la ragione indicata dal ricorrente), per altro verso, tutta la disquisizione del ricorrente sul preliminare di preliminare, peraltro ammesso in giurisprudenza e dottrina (cfr., ex multis, S.U., n. 4628, 6/3/2015; Sez. 2, n. 26484/2019), da distinguersi dalla puntuazione mera, non riveste rilevanza alcuna nel caso in esame, nel quale non è controverso che non si fosse in presenza di un preliminare e, allo stesso tempo, tuttavia, non è posto seriamente in dubbio il vincolo giuridico nascente dalla proposta accettata, sia essa da intendersi preliminare di preliminare o puntuazione vincolante;

– è appena il caso di soggiungere i richiami agli artt. 112,115,633 e 634 c.p.c., risultano fuori luogo e privi di pertinenza;

ritenuto che con il secondo motivo il G. deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 1362,1479,1478 c.c., nonché art. 115 c.p.c., comma 1, artt. 246,633 e 634 c.p.c., assumendo che:

– la sentenza non aveva rispettato il tenore letterale della scrittura; essendo essa espressione della volizione, l’art. 1362 c.c., “pur prescrivendo all’interprete di non limitarsi all’analisi del significato letterale delle parole, non relega tale criterio al rango di strumento interpretativo del tutto sussidiario e secondario, ma lo colloca, al contrario” in posizione centrale, di talché all’interprete è preclusa la ricerca di una diversa ratio, potendo far ricorso a elementi estrinseci o al comportamento complessivo delle parti nel solo caso in cui sussistano margini d’incertezza; la Corte locale aveva derogato alla esposta regola senza spiegarne la ragione;

– l’ammissione e l’assunzione della testimonianza del legale rappresentante dell’agenzia e della dipendente di quest’ultima aveva violato gli artt. 246 e 115 c.p.c., trattandosi di soggetti (il primo non era che un mandatario della controparte) aventi interesse, quali parti potenziali e, a tutto concedere, le deposizioni in parola avrebbero potuto assumere, al più, mero valore indiziario, senza contare che l’attendibilità delle stesse non era stata vagliata in appello;

– anche ad ammettere che il proponente avesse consapevolezza della convenzione con il Comune, risalente al 2003, non v’era motivo per escludere che egli nutrisse la legittima aspettativa che i promittenti venditori si sarebbero successivamente resi pienamente titolari del box, trovando quindi, applicazione l’art. 1479 c.c.; in ogni caso, ricorreva la ipotesi della vendita di cosa altrui, ai sensi dell’art. 1478 c.c.;

considerato che il motivo, a volerlo reputare scrutinabile a dispetto della promiscuità che lo caratterizza, appare infondato sotto tutti gli evidenziati profili, valendo quanto segue:

a) la vicenda resta confinata negli apprezzamenti di merito, non bastando, come più volte chiarito in questa sede, la enunciazione della pretesa violazione di legge in relazione al risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito, occorrendo individuare, con puntualità, il canone ermeneutico violato correlato al materiale probatorio acquisito; in quanto, “l’opera dell’interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 c.c. e ss., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi: pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili (il secondo, ovviamente, sotto il regime del vecchio testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti; di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (ex pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579. 16.3.04 n. 5359, 19.1.04n. 753)” (Sez. 2, n. 18587, 29/10/2012; si veda anche, per la ricchezza di richiami, Sez. 6-3, n. 2988, 7/2/2013);

b) per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un negozio giuridico non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola negoziale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Sez. 3, n. 24539, 20/11/2009, Rv. 610944; conformi: Sez. 1, n. 16254, 25/9/2012, Rv. 623697; Sez. 1, n. 6125, 17/3/2014, Rv. 630519; Sez. 1, n. 27136, 15/11/2017, Rv. 646063);

c) nel caso di specie la Corte territoriale ha spiegato, nel rispetto dei criteri ermeneutici normativi, le ragioni che la inducevano a privilegiare l’interpretazione avversata dal ricorrente, valorizzando, in particolare, la condotta “post-contrattuale” del G., correlata alle sue specifiche e qualificate competenze professionali e le dichiarazioni ammissive dal medesimo rese in altro giudizio;

d) infine, vai la pena soggiungere che, a dispetto dello sforzo argomentativo del ricorrente, l’art. 1362 c.c. detta ben differente regola ermeneutica: la lettera non può prevalere sulla intenzione delle parti, per apprezzare la quale deve tenersi conto del loro complessivo comportamento, anche pre e post contratto;

e) quanto alla prova testimoniale deve rilevarsi che la sentenza impugnata fonda la sua decisione, invece che su essa (se non in misura del tutto marginale), sulla dichiarazione ammissiva dello stesso G. nell’altro giudizio che lo vedeva contrapposto all’agenzia, le quali, confermando la veridicità della deposizione della segretaria dell’agenzia (persona, questa, peraltro, che non può qualificarsi avere interesse giuridicamente apprezzabile a un epilogo della causa sfavorevole all’odierno ricorrente), ha ammesso di avere avuto consegnato da costei la convenzione intervenuta tra il Comune di Milano e la società costruttrice; oltre che sulla missiva del 28/11/2006, con la quale il G. aveva chiesto all’agenzia il recapito della società costruttrice, al fine di ottenere variante sull’altezza del box;

f) la esposta speranza, che il ricorrente assume di aver nutrito al tempo, nella acquisizione della piena proprietà da parte dei M. e la congetturata configurabilità degli istituti giuridici di cui agli artt. 1479 e 1478 c.c., non superano la soglia dell’insondabile interno desiderio;

g) infine, il riferimento all’art. 115 c.p.c., comma 1, artt. 633 e 634 c.p.c. è inconferente;

considerato che il terzo motivo, con il quale il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 1337 e 1338 c.c., nonché violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, artt. 112 c.p.c., art. 653 c.c., comma 2, artt. 633 e 634 c.c., assumendo che il Giudice d’appello aveva omesso di tener conto degli elementi di prova dai quali era dato trarre che si era in presenza di una semplice trattativa, che avrebbe potuto generare responsabilità precontrattuale nel solo caso di violazione dell’obbligo di buona fede, alla luce di quanto fin qui esposto non può che essere rigettato;

ritenuto che con il quarto motivo il G. si duole di violazione o falsa applicazione degli artt. 1351,1363 e 1367 c.c., nonché di violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, artt. 112,633 e 634 c.p.c., assumendo che:

– in via subordinata, ove non si fossero riconosciuti i caratteri della mera trattativa, rileva il ricorrente che “il giudice di secondo grado ha omesso di trarre gli elementi di prova disponibili, che tra le parti è intercorso nulla più che un preliminare del preliminare”, che avrebbe dovuto reputarsi nullo nel rispetto del principio enunciato dalle S.U. con la sentenza n. 4628/2015;

considerato che la subordinata censura sopra ripresa è manifestamente destituita di giuridico fondamento, valendo quanto segue:

– le S.U. con la decisione evocata, come noto, hanno affermato il seguente principio: La stipulazione di un contratto preliminare di preliminare (nella specie, relativo ad una compravendita immobiliare), ossia di un accordo in virtù del quale le parti si obblighino a concludere un successivo contratto che preveda anche solamente effetti obbligatori (e con l’esclusione dell’esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento) è valido ed efficace, e dunque non è nullo per difetto di causa, ove sia configurabile un interesse delle parti, meritevole di tutela, ad una formazione progressiva del contratto, fondata su una differenziazione dei contenuti negoziali, e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare. La violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, è idonea a fondare, per la mancata conclusione del contratto stipulando, una responsabilità contrattuale da inadempimento di una obbligazione specifica sorta nella fase precontrattuale (Rv. n. 634761);

– non è dato cogliere perché nel caso in esame l’interesse ad una formazione progressiva del contratto non dovrebbe essere meritevole di tutela;

– infine, anche in questo caso il riferimento alle norme processuali è inconferente;

considerato che deve farsi luogo a regolamento delle spese poiché la controparte è rimasta intimata;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 29 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2021

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