Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24189 del 04/10/2018

Cassazione civile sez. III, 04/10/2018, (ud. 27/06/2018, dep. 04/10/2018), n.24189

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2090-2017 proposto da:

AZIENDA SOCIO SANITARIA TERRITORIALE DI (OMISSIS), in persona del suo

Direttore Generale e legale rappresentante Dott. P.P.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28, presso lo

studio dell’avv. GIUSEPPE CILIBERTI, che la rappresenta e difende

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

B.M.;

– intimato –

Nonchè da :

L.G., B.P., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA MONTE ZEBIO 28, presso lo studio dell’avv. GIUSEPPE CILIBERTI,

che li rappresenta e difende giusta procura in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrenti incidentali –

contro

AZIENDA SOCIO SANITARIA TERRITORIALE DI (OMISSIS), in persona del suo

Direttore Generale e legale rappresentante Dott. P.P.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28, presso lo

studio dell’avv. GIUSEPPE CILIBERTI, che la rappresenta e difende

giusta procura in calce al ricorso principale;

D.M.C., B.M., considerati domiciliati ex

lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avv. LAURA LILIA ROSEO giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrenti all’incidentale –

Nonchè da:

D.M.C., B.M., considerati domiciliati ex

lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avv. LAURA LILIA ROSEO giusta procura in

calce al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrenti incidentali –

contro

AZIENDA SOCIO SANITARIA TERRITORIALE DI (OMISSIS) , elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28, presso lo studio dell’avv.

GIUSEPPE CILIBERTI, che lo rappresenta e difende giusta procura in

calce al ricorso principale;

– controricorrente all’incidentale –

è contro

L.G., B.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3410/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 13/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/06/2018 dal Consigliere Dr. ENRICO SCODITTI;

Fatto

RILEVATO CHE

B.M. e D.M.C., in proprio e nella qualità di genitori esercenti la potestà sul minore b.m., convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Monza l’Azienda Ospedaliera “Ospedale civile di (OMISSIS)” (poi Azienda Socio-Sanitaria Territoriale di (OMISSIS)) ed i medici L.G. e B.P. chiedendo il risarcimento del danno per la mancata diagnosi in sede di esami ecografici del grave quadro malformativo del feto, nato poi con possibilità di vita esclusivamente vegetativa. Il Tribunale adito, previa CTU, accolse la domanda, condannando i convenuti in solido fra di loro al pagamento in favore di B.M. e D.M.C. ciascuno della somma di Euro 300.000,00 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale ed al pagamento in favore di B.M. e D.M.C. della somma di Euro 1.140.000,00 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale. Avverso detta sentenza proposero appello principale l’Azienda Ospedaliera “Ospedale civile di (OMISSIS)” e L.G. ed incidentale B.M. e D.M.C., in proprio e nella qualità di genitori esercenti la potestà sul minore b.m., nonchè B.P.. Con sentenza di data 13 settembre 2016 la Corte d’appello di Milano, previa CTU, in parziale accoglimento dell’appello incidentale proposto da B.M. e D.M.C., condannò l’Azienda Ospedaliera “Ospedale civile di (OMISSIS)”, L.G. e B.P. in solido fra di loro al pagamento della somma di Euro 1.620.000,00, in luogo di Euro 1.140.000,00, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale e rigettò per il resto le impugnazioni.

Osservò la corte territoriale che non poteva essere accolta la domanda proposta in nome e per conto del minore, stante quanto affermato da Cass. Sez. U. n. 25767 del 2015, e che la CTU aveva escluso l’esistenza del danno biologico-psichico di B.M. e D.M.C., non risultando documentato alcun sintomo nei confronti del primo e non sussistendo alcun effetto disfunzionale riguardo alla seconda. Aggiunse che non poteva essere accolto il motivo di appello relativo al danno patrimoniale da lucro cessante proposto da B.M. e D.M.C. perchè il reddito del primo percepito negli anni immediatamente successivi alla nascita di b.m. era stato di poco inferiore a quello dell’anno (OMISSIS) (antecedente la nascita di b.m., avvenuta il (OMISSIS)), mentre per a seconda non era possibile alcuna comparazione risultando prodotte solo le dichiarazioni dei redditi dal (OMISSIS) in poi. Osservò inoltre che, circa il danno patrimoniale emergente (considerato eccessivo da parte degli appellanti principali e riduttivo da parte di quelli incidentali), benchè il CTU avesse affermato che l’aspettativa di vita di b.m. era da considerarsi inferiore a quella media della popolazione generate, non poteva condividersi quanto affermato dagli appellanti incidentali circa una prospettiva di vita pari a 58 anni, peraltro riportata in un solo scritto scientifico, stante l’estrema fragilità di b.m. e l’impossibilita di escludere per il futuro gli attacchi epilettici e la polmonite da aspirazione di cibo e che le contestazioni mosse al primo giudice apparivano sostanzialmente immotivate, mentre la conclusione del CTU era stata nel senso che grazie ai progressi scientifici la sopravvivenza potesse protrarsi fino all’età adulta. Passando all’entità del danno patrimoniale, osservò la corte territoriale che, in relazione alla necessità sia di assistenza continuativa per persona invalida al 100% che di periodiche visite specialistiche, oltre agli esborsi collegati alla gestione delle esigenze di b.m. (come la risistemazione della casa di abitazione e dell’automobile), la somma di Euro 3.000,00 mensili indicata dal Tribunale, pur se accompagnata dall’assegno di invalidità (circa Euro 500,00 mensili), non appariva sufficiente sicchè, nell’ambito di un giudizio equitativo che escludeva la necessità di una capitalizzazione anticipata, doveva essere elevata ad Euro 4.000,00 mensili.

Ha proposto ricorso per cassazione l’Azienda Socio-Sanitaria Territoriale di (OMISSIS) sulla base di sette motivi e resistono con distinti controricorsi per un verso L.G. e B.P., che hanno proposto altresì ricorso incidentale sulla base di sette motivi, per l’altro B.M. e D.M.C., in proprio e nella qualità di genitori esercenti la potestà sul minore b.m., che hanno proposto altresì ricorso incidentale sulla base di quattro motivi, nonchè controricorso avverso l’altro ricorso incidentale. Avverso il ricorso incidentale proposto da B.M. e D.M.C., in proprio e nella qualità di genitori esercenti la potestà sul minore b.m., è stato proposto controricorso con unico atto da parte dell’Azienda Socio-Sanitaria Territoriale di (OMISSIS), di L.G. e di B.P.. E’ stato fissato il ricorso in camera di Consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2. E’ stata presentata memoria.

Diritto

CONSIDERATO CHE

Muovendo dal ricorso principale proposto dall’Azienda Socio-Sanitaria Territoriale di (OMISSIS) e da quello incidentale proposto da L.G. e B.P., aventi contenuto identico, con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osservano la ricorrente in via principale ed i ricorrenti in via incidentale che il giudice di appello ha omesso di esaminare il motivo di appello, e quanto rilevato dal CTU, in ordine all’aspettativa di vita, da considerarsi non superiore ai venticinque anni.

Il motivo è infondato. La corte territoriale ha chiaramente pronunciato sul motivo di appello relativo all’aspettativa di vita, rilevante ai fini del danno patrimoniale emergente, considerando non solo la censura di restrittività dell’importo, sollevata dagli appellanti incidentali, ma anche quella di eccessività, sollevata dagli appellanti principali. Quanto alla CTU non è prospettabile un’omessa pronuncia, ma un vizio di motivazione ove la pretermissione de mezzo istruttorio si sia tradotta nell’omesso esame di fatto decisivo e controverso (Cass. 7 luglio 2016, n. 13922).

Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 1223,1226,2043 e 2056 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Si osserva che la corte territoriale ha liquidato il danno patrimoniale emergente sulla base di un’aspettativa di vita di quaranta anni di cui non era stata fornita prova e che gli studi richiamati dal CTU evidenziano un’aspettativa di vita non superiore ai venticinque anni.

Il motivo è inammissibile. Con la censura si denuncia il cattivo apprezzamento del materiale istruttorio, che è profilo riservato al sindacato del giudice di merito, salva la censura di vizio motivazionale (fra le tante Cass. 30 marzo 2007, n. 7972; 10 giugno 2016, n. 11892).

Con il terzo motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Si osserva che il giudice di appello ha omesso di esaminare che nell’appello era stato evidenziato che l’aspettativa di vita non poteva superare i venticinque anni e che nella CTU era stato ritenuto che l’aspettativa di vita del minore era ampiamente inferiore ad un individuo di pari età non affetto dalle patologie in questione. Si aggiunge che sul punto la decisione è priva di motivazione.

Il motivo è inammissibile. Per un verso non si denuncia l’omesso esame di un fatto storico, ma di un motivo di appello e della valutazione del consulente tecnico, per l’altro si richiama la nozione di vizio motivazionale presente nella disposizione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non più vigente.

Con il quarto motivo si denuncia violazione degli artt. 1223,1226,2043 e 2056 c.c., nonchè dell’art. 26, comma 5, lett, e) e d) e della L.R. Lombardia n. 33 del 2009, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma l, n. 3. Si osserva che il giudice di appello, nella liquidazione del danno patrimoniale, non ha tenuto conto delle provvidenze accordate dal sistema sanitario nazionale e regionale, essendosi limitato a stimare l’indennità percepita dal minore per Euro 500,00.

Il motivo è inammissibile. Come affermato di recente dalle sezioni unite di questa Cotte (Cass. Sez. 22 maggio 2018, nn. 12564, 12565, 12566 e 12567), la detrazione dell’attribuzione patrimoniale occasionata dall’illecito (o dall’inadempimento) dall’ammontare del risarcimento del danno ad esso conseguente presuppone, sul piano funzionale, che il beneficio sia causalmente giustificato in funzione di rimozione dell’effetto dannoso dell’illecito e, sul piano strutturale, che ad essa si accompagni un meccanismo di surroga o di rivalsa, capace di evitare che quanto erogato dal terzo al danneggiato si traduca in un vantaggio inaspettato per il responsabile. Per un verso il giudice di appello ha considerato, ai fini della liquidazione del danno, la corresponsione dell’assegno di invalidità, per l’altro nel motivo di censura non si indicano i presupposti di fatto ulteriori sui quali i operare la compensatio lucri cum damno, limitandosi la parte ricorrente ad indicare fonti normative, ma non la concreta erogazione di attribuzioni patrimoniali (rispetto alle quali, peraltro, si sarebbe dovuto denunciare anche il vizio motivazionale).

Con il quinto motivo si denuncia violazione degli artt, 1223 e 2056 c.c., ai sensi dell’art, 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Si osserva che il criterio di liquidazione de danno patrimoniale futuro non può essere meramente equitativo, ma deve seguire il criterio della somma di tutti i danni fra la liquidazione ed il momento futuro, moltiplicando il risultato per un saggio di sconto, oppure i criterio della moltiplicazione del danno annuo per un numero che tenga già conto del cd. montante di anticipazione, detto coefficiente di capitalizzazione.

Il motivo è infondato. E’ stato affermato in passato dalla giurisprudenza di questa Corte che per la liquidazione del danno futuro il ricorso alle tabelle di capitalizzazione di cui al R.D. n. 1403 del 1922, – che, in quanto fondato su calcoli di probabilità e non di certezza, non rappresentano uno strumento di liquidazione tassativo ed inderogabile – costituisce non un obbligo, ma una facoltà del giudice del merito, che può ricorrere puramente e semplicemente al criterio equitativo di cui agli artt. 2056 e 1226 c.c., ovvero applicare le suddette tabelle di capitalizzazione, ovvero ancora contemperare l’uno e l’altro criterio, utilizzando i dati delle tabelle quali semplici dati di partenza, di controllo e di orientamento per la liquidazione equitativa (Cass. 4 giugno 2001, n. 7507; 31 luglio 2002, n. 11376; 2 ottobre 2003, n. 14678; 2 febbraio 2007, n. 2309).

Tale principio di diritto va tenuto fermo, ma va integrato con la successiva evoluzione della giurisprudenza, secondo cui ti danno permanente da incapacità di guadagno non può essere liquidato in base ai coefficienti di capitalizzazione approvati con R.D. n. 1403 del 1922, i quali, a causa dell’innalzamento delta durata media della vita e dell’abbassamento dei saggi di interesse, non garantiscono l’integrale ristoro del danno, e con esso il rispetto della regola di cui all’art. 1223 c.c., (Cass. 14 ottobre 2015, n. 20615;28 aprile 2017, n. 10499). Ove il giudice di merito ritenga di avvalersi di tabelle di capitalizzazione, egli resta libero di adottare i coefficienti di capitalizzazione che ritiene preferibili, purchè aggiornati e scientificamente corretti (potranno a tal fine essere adottati i coefficienti di capitalizzazione approvati con provvedimenti normativi vigenti per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali, come pure i coefficienti elaborati dalla dottrina per la specifica materia del risarcimento del danno aquiliano (Cass. 14 ottobre 2015, n. 20615). Tutto questo, alla stregua di quanto affermato da questa Corte, non esclude il ricorso puro e semplice al criterio equitativo di cui agli artt. 2056 e 1226 c.c., si intende adeguatamente motivato.

Con il sesto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Si osserva che la motivazione della decisione è meramente apparente in quanto, con riferimento alle spese per l’adeguamento di casa ed automobile, non si spiega di quale autovettura si discorra nè quale sia la ristrutturazione da apportare in concreto, mentre quanto alle spese di assistenza non si comprende da dove la Corte d’appello abbia tratto il dato relativo al numero di ore di assistenza.

Il motivo è inammissibile. La censura resta estranea alla ratio decidendi, non cogliendo il motivo il riferimento alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza, quanto all’adeguamento della casa di abitazione e dell’automobile, e la provenienza del dato relativo al numero di ore di assistenza dallo stato di totale invalidità del minore, nei termini accertati dal giudice di merito.

Con il settimo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 2056 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Si osserva che non risulta documentata la spesa sostenuta per il passato e che il danno è stato liquidato in mancanza di qualsiasi dimostrazione.

Il motivo è inammissibile. Con la censura si denuncia il cattivo apprezzamento del materiale istruttorio, che è profilo riservato al sindacato del giudice di merito, salva la censura di vizio motivazionale (fra le tante Cass. 30 marzo 2007, n. 7972; 10 giugno 2016, n. 11892).

Passando al ricorso incidentale proposto da B.M. e D.M.C., in proprio e nella qualità di genitori esercenti la potestà sul minore b.m., con il primo motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osservano i ricorrenti in via incidentale che quanto affermato da Cass. Sez. U. n. 25767 del 2015, relativa ad un’ipotesi di minore affetto da sindrome di down, non può trovare applicazione nel caso di specie nel quale la condizione di – non vita – risulta più favorevole rispetto alla condizione nella quale b.m. è costretto a trovarsi, al punto che la morte appare oggettivamente preferibile rispetto alla vita irrimediabilmente compromessa.

Il motivo è infondato. Benchè in rubrica venga richiamato il vizio motivazionale, la censura attiene alla denuncia di falsa applicazione di norma di diritto, ed in particolare l’impossibilità di sussumere nel principio di diritto enunciato dalle sezioni unite la fattispecie concreta. Questa Corte ha affermato che in tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il nato disabile non può agire per il risarcimento del danno, neppure sotto il profilo dell’interesse ad avere un ambiente familiare preparato ad accoglierlo, giacchè l’ordinamento non conosce il “diritto a non nascere se non sano”, nè la vita del bambino può integrare un danno-conseguenza dell’illecito omissivo del medico (Cass. Sei. U. 22 dicembre 2G15, n. 25767). Tale principio di diritto trova applicazione anche al caso di uno stato vegetativo permanente.

Come affermato da Cass. 16 ottobre 2007, n. 21748 (riconoscendo peraltro il potere del giudice di autorizzare il tutore di persona interdetta giacente in persistente stato vegetativo ad interrompere i trattamenti che la rendono artificialmente in vita dite condizioni indicate), chi versa in stato vegetativo permanente è, a tutti gli effetti, persona in senso pieno, che deve essere rispettata e tutelata nei suoi diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita e dal diritto alle prestazioni sanitarie, a maggior ragione perchè in condizioni di estrema debolezza e non in grado di provvedervi autonomamente. La tragicità estrema di tale stato patologico – che è parte costitutiva della biografia del malato e che nulla toglie alla sua dignità di essere umano – non giustifica in alcun modo un affievolimento delle cure e del sostegno solidale, che il Servizio sanitario deve continuare ad offrire e che il malato, al pari di ogni altro appartenente al consorzio umano, ha diritto di pretendere fino al sopraggiungere della morte. La comunità deve mettere a disposizione di chi ne ha bisogno e lo richiede tutte le migliori cure e i presidi che la scienza medica è in grado di apprestare per affrontare la lotta per restare in vita, a prescindere da quanto la vita sia precaria e da quanta speranza vi sia di recuperare le funzioni cognitive. Lo reclamano tanto l’idea di una universale eguaglianza tra gli esseri umani quanto l’altrettanto universale dovere di solidarietà nei confronti di coloro che, tra essi, sono i soggetti più fragili.

La considerazione secondo cui anche chi versi in stato vegetativo è persona in senso pieno porta a concludere che anche rispetto a tale condizione la – non vita – non possa essere qualificata bene della vita, il che porta ad escludere in radice la configurabilità del danno ingiusto, come affermato dalle sezioni unite.

Con il secondo motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Si osserva che la corte territoriale ben avrebbe potuto prendere quale parametro di riferimento la dichiarazione dei redditi del 2003 di D.M.C., anno nel quale la stessa ha lavorato fino al congedo obbligatorio e che se fosse stato preso in considerazione tale dato documentale sarebbe stata accertata la perdita reddituale complessiva. Aggiungono i ricorrenti in via incidentale che non vi è motivazione in ordine al danno da perdita di chance.

Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Si osserva che manca la motivazione circa il rigetto della domanda da perdita di chance.

I motivi secondo e terzo, da valutare unitariamente, sono inammissibili. Con la censura di cui ai terzo motivo non si denuncia l’omesso esame di un fatto storico, risultando contemplato dalla motivazione il dato della dichiarazione dei redditi del (OMISSIS) di D.M.C., per escluderne la portata probatoria, ma si denuncia la mancata valorizzazione del dato con riferimento alla pretesa creditoria di parte ricorrente. In tali termini la censura rifluisce però nella rivisitazione del giudizio di fatto e resta dunque estranea al paradigma del vizio motivazionale.

Quanto al danno da perdita di chance, per il quale è necessaria un’espressa domanda non essendo incluso nella mera istanza risarcitoria (Cass. n. 21245 del 2012, n. 11340 del 1998 e n. 2167 del 1996), non risulta assolto l’onere processuale, previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicazione del se e del dove nell’originaria domanda, e poi nell’atto di appello incidentale, l’istanza sia stata proposta. Peraltro, nell’indicazione del contenuto dell’atto di appello contenuta nella sommaria esposizione dei fatti di causa, non risulta dedotta un’espressa domanda risarcitoria da perdita di chance.

Con il quarto motivo si denuncia violazione degli artt. 1223,1226,2054 e 2056 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Si osserva che, ove venga accolto il settimo motivo del ricorso principale, deve essere riformato in melius il capo della sentenza con cui è stata confermata la statuizione di primo grado relativa al danno non patrimoniale riconosciuto nei limiti di Euro 300.000,00.

L’inammissibilità del settimo motivo del ricorso di controparte determina l’assorbimento del motivo.

Stante la reciproca soccombenza va disposta la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

Poichè i ricorsi sono stati proposti successivamente al 30 gennaio 2013 e vengono disattesi, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto all’art. 13 del T.U., il comma 1 quarter, di cui al D.P.R, 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente in via principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale e i ricorsi incidentali. Compensa integralmente le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2018

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