Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24187 del 25/10/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 24187 Anno 2013
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: DI CERBO VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 19579-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
2447

contro

CUCCHIARA CALOGERO GIUSEPPE;
– intimato –

avverso la sentenza n. 399/2007 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 25/10/2013

di CAGLIARI SEZ. DIST. di SASSARI, depositata il
20/07/2007 R.G.N. 377/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/07/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO
DI CERBO;

verbale FIORILLO LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega

19579.08

Udienza

4 luglio 2013

Pres. G. Vidiri
Rel. V. Di Cerbo

SENTENZA

Rilevato che
1.

La Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, ha confermato la sentenza
di prime cure che aveva dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto di
lavoro, con decorrenza 1 dicembre 1998, stipulato da Poste Italiane s.p.a. con Calogero
Giuseppe Cucchiara con conseguente sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato ed aveva altresì condannato Poste Italiane s.p.a. al
risarcimento del danno derivante dall’illegittimità del termine, liquidato in misura pari
alle retribuzioni maturate dalla data di costituzione in mora (20 luglio 2004).

2.

Per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso; il lavoratore
è rimasto intimato.

3.

Il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata.

4.

La Corte di merito, dopo aver rigettato l’eccezione, proposta da Poste Italiane s.p.a., di
risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso, ha affermato l’illegittimità del
termine apposto al contratto di lavoro in esame avendo attribuito rilievo decisivo alla
considerazione che tale contratto è stato stipulato, per esigenze eccezionali … – ai sensi
dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25
settembre 1997 -, in data successiva al 30 aprile 1998.

5.

Con il primo e secondo motivo la società ricorrente censura (denunciando violazione
degli artt. 1372, primo comma, 1175, 1375, 2697, 1427 e 1431 cod. civ. nonché vizio di
motivazione) la statuizione della sentenza impugnata che ha rigettato l’eccezione di
risoluzione del rapporto per mutuo consenso.

6.

Le censura sono infondate; secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte
(cfr., in particolare, Cass. 17 dicembre 2004 n. 23554), nel giudizio instaurato ai fini del
riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato
(sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale
ormai scaduto), per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo
consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo
la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché alla stregua delle modalità di
tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze
significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre
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La Corte

7.

Con il terzo e quarto motivo la società ricorrente censura (denunciando violazione e
falsa applicazione dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987 e degli artt.1362 e segg. cod.
civ. in relazione all’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 e di altre norme collettive,
nonché vizio di motivazione) la statuizione concernente l’illegittimità del termine.

8.

Le suddette censure sono infondate e devono essere pertanto rigettate. Ed infatti,
sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che l’attribuzione alla
contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del potere di definire
nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla legge n. 230 del 1962,
discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali
sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace
salvaguardia per i loro
diritti (con l’unico limite della predeterminazione della
percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo
indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche
di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive
di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali
all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo
determinato (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063; cfr. altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245,
Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). Ne risulta, quindi, una sorta
di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono
destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque
omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano
della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato
(cfr., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale
quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle
parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua
inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le
altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio
2004 n. 2866); in particolare, quindi, come questa Corte ha univocamente affermato e
come va anche qui ribadito, in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali,
con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26
novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio
1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione
straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente
ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di
attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la
legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del
presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione

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definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della
portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui
conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o
errori di diritto; nel caso in esame la Corte di merito ha ritenuto che la mera inerzia del
lavoratore dopo la scadenza del contratto non fosse sufficiente, stante la sua durata, e
in mancanza di ulteriori significativi elementi di valutazione (tale non potendosi
considerare la percezione senza riserve del TFR) a far ritenere la sussistenza dei
presupposti della risoluzione del rapporto per mutuo consenso e tale conclusione in
quanto priva di vizi logici o errori di diritto resiste alle censure mosse in ricorso.

degli stessi contratti in contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge
18 aprile 1962 n. 230 (v., fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre
2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass.
18378/2006 cit.).
La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi.

10. Prima di esaminare il quinto (e ultimo) motivo di ricorso, erroneamente indicato come
terzo, concernente la statuizione sul risarcimento del danno, occorre premettere che,
per quanto concerne le conseguenze economiche derivanti dalla dichiarazione di
illegittimità della clausola appositiva del termine, si pone il problema dell’applicabilità
0
al caso di specie dello ius superveniens, rappresentato dall’art. 32, commi 5 , 6° e 7°
della legge 4 novembre 2010 n. 183, in vigore dal 24 novembre 2010.
11. In proposito deve premettersi, in via di principio, che costituisce condizione necessaria
per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto,
con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che
quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura
nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è
limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27
febbraio 2004 n. 4070); in tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso
che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta,
oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria. Ne
consegue che, con riferimento alla disciplina qui invocata, la necessaria sussistenza
della questione ad essa pertinente nel giudizio di cassazione presuppone che vi siano
motivi di ricorso che investano specificatamente le conseguenze patrimoniali
dell’accertata nullità del termine e che essi siano ammissibili; in particolare, ove, come
nel caso in esame, il ricorso sia stato proposto avverso una sentenza depositata
successivamente alla data di entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 e prima
del 4 luglio 2009 (data di entrata in vigore della legge n. 69 del 2009), tali motivi
devono essere altresì corredati, a pena di inammissibilità degli stessi, dalla
formulazione di un adeguato quesito di diritto, ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ.,
ratione temporis ad essi applicabile; in caso di assenza o di inammissibilità di una
censura in ordine alle conseguenze economiche dell’accertata nullità del termine, il
rigetto dei motivi inerenti tale aspetto pregiudiziale produce infatti la stabilità delle
statuizioni di merito relative a tali conseguenze.
12. Con il citato quinto motivo la società ricorrente, denunciando violazione degli artt.
1217 e 1233 cod. civ., lamenta, in buona sostanza, la violazione dei principi in tema di
mora accipiendi e l’omessa valutazione dell’aliunde perceptum anche con riferimento
all’onere della prova. Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto ex art. 366
bis cod. proc. civ.: per il principio della corrispettività della prestazione, il lavoratore —

a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato
— ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in
servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente
la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui agli artt. 1206 e segg. cod.
civ.
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9.

motivo, deve essere formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente
riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio, dovendosi ritenere inesistente un quesito
generico e non pertinente, con conseguente inammissibilità del relativo motivo, come
nel caso di specie (per una analoga fattispecie cfr. Cass. 1 settembre 2011 n. 17674).
14. Il ricorso deve essere in definitiva respinto.
15. Nulla deve essere disposto in materia di spese legali concernenti il giudizio di
cassazione atteso il mancato svolgimento di attività processuale da parte del
lavoratore, rimasto intimato.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4 luglio 2013.

13. Osserva il Collegio che il suddetto quesito risulta del tutto generico e sostanzialmente
non pertinente rispetto alla fattispecie, in quanto si risolve nella enunciazione in
astratto delle regole vigenti nella materia senza enucleare il momento di conflitto
rispetto ad esse del concreto accertamento operato dai giudici di merito (cfr. Cass. 4
gennaio 2011 n. 80; Cass. 29 aprile 2011 n. 9583); ciò in contrasto con i principi
enunciati da questa Corte di legittimità (cfr., in particolare, Cass. S.U. 5 gennaio 2007 n.
36) secondo cui il quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo

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