Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24184 del 02/11/2020

Cassazione civile sez. III, 02/11/2020, (ud. 08/07/2020, dep. 02/11/2020), n.24184

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30517/2019 proposto da:

J.C., nato in (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv.to

Elia Valentini, (eliavalentini.ordineavvoctiforlicesena.eu) con

studio in Forlì, Corso della Repubblica 52, giusta procura speciale

allegata al ricorso, e domiciliato in Roma piazza Cavour presso la

cancelleria civile della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2522/2019 della Corte d’Appello di Bologna

depositata il 12.9.2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

8.7.2020 dal Cons. Dott. Antonella Di Florio.

 

Fatto

RITENUTO

Che:

1. J.C., proveniente dalla (OMISSIS) ricorre affidandosi a due motivi per la cassazione della sentenza delle Corte d’Appello di Bologna che aveva confermato l’ordinanza del Tribunale con la quale era stata respinta la domanda da lui proposta per ottenere la protezione internazionale attraverso il riconoscimento dello stato di rifugiato e della protezione sussidiaria nonchè, in via subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

1.1. Per ciò che interessa in questa sede, il ricorrente ha narrato di essere fuggito in quanto, a seguito di lite fra le fazioni contrapposte del villaggio, il padre che era il sindaco ed il nonno erano stati uccisi ed uno zio, residente in un altro stato della Nigeria, era stato sequestrato da appartenenti allo stesso gruppo di facinorosi che avevano ucciso i suoi stretti congiunti. La sua fuga era motivata dal timore di subire la stessa sorte.

1.2. Ha aggiunto di essere arrivato in Italia dopo essere transitato per la Libia.

2. Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente chiedendo di poter partecipare alla eventuale udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. on il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3: assume che la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto non credibile il racconto narrato, omettendo in tale modo di applicare la griglia interpretativa prescritta dalla norma richiamata e non tenendo conto che la narrazione era coerente e non contrastava con le informazioni riguardanti il gruppo (OMISSIS) di cui egli faceva parte: da esse poteva desumersi una grave situazione di insicurezza presente nella repubblica del Biafra, oltre ad un grave stato di corruzione delle forze dell’ordine nigeriane.

1.1. Il motivo è inammissibile.

1.2. E’ del tutto consolidato, infatti, il principio per cui la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente asilo non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, poichè incombe al giudice, nell’esercizio del detto potere-dovere di cooperazione, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa ed attuale conoscenza della complessiva situazione dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (per tutte, Cass. sez. 6, 25/07/2018, n. 19716). Il giudice, pertanto, deve, in limine, prendere le mosse del suo accertamento e della conseguente decisione da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova – perchè non reperibile o non esigibile – della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è sicuramente funzionale, in astratto, all’attivazione officiosa del dovere di cooperazione volta all’accertamento della situazione del Paese di origine del richiedente asilo; ma non appare conforme a diritto la semplicistica affermazione secondo cui le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di credibilità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedano, in nessun caso, alcun approfondimento istruttorio officioso (in tal senso, invece, Cass. Sez. 6, 27/06/2018, n. 16925; Sez. 6, 10/4/2015 n. 7333; Sez. 6, 1/3/2013 n. 5224).

1.3. Il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, stabilisce, infatti, che, anche in difetto di prova, la veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere valutata alla stregua dei seguenti indicatori: a) il compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) la sottoposizione di tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e di una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente debbono essere coerenti e plausibili e non essere in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) la domanda di protezione internazionale deve essere presentata il prima possibile, a meno che il richiedente non dimostri un giustificato motivo per averla ritardata; e) la generale attendibilità del richiedente, alla luce dei riscontri effettuati.

1.4. Il contenuto dei parametri sub c) ed e) sopra indicati evidenzia che il giudizio di veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere integrato dall’assunzione delle informazioni relative alla condizione generale del Paese quando il complessivo quadro assertivo e probatorio fornito non sia esauriente.

1.5. La griglia procedimentale prevista dalla norma sopra richiamata costituisce, dunque, il fondamento delle valutazioni del giudice in punto di credibilità le quali, nell’ipotesi in cui i canoni interpretativi vengano rispettati, costituiscono un apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità.

1.6. Nel caso di specie, i giudice d’appello, dopo aver esaminato la narrazione del ricorrente, ne hanno rilevato alcune significative e motivate contraddizioni (cfr. pag. 4 secondo cpv. della sentenza impugnata): ma nonostante ciò, correttamente, hanno acquisito le informazioni aggiornate sulla regione di origine dalle quali è emerso che la situazione di insicurezza denunciata non assume le caratteristiche di rischio concreto nei confronti di tutta la popolazione tale da configurare il presupposto per la protezione sussidiaria richiesta, tenuto anche conto della storia personale narrata che non conteneva alcun riferimento alla partecipazione a movimenti politici separatisti nei confronti dei quali, soltanto, erano state registrate reazioni governative violente.

1.7. Il percorso argomentativo della Corte territoriale risulta al di sopra della sufficienza costituzionale: ragione per cui la censura proposta prospetta una richiesta di rivalutazione di merito delle emergenze processuali in punto di credibilità che non possono trovare ingresso in sede di legittimità (cfr. Cass. 3340/2019; Cass. 27503/2018).

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6: deduce l’omessa valutazione della sua condizione di vulnerabilità in relazione al rischio concreto di essere immesso, in caso di rimpatrio, in un contesto politico-sociale nel quale avrebbe subito una significativa compromissione dei suoi diritti fondamentali.

2.1. Il motivo è inammissibile per mancanza di specificità.

2.2. La Corte territoriale ha respinto la domanda di protezione umanitaria, da una parte escludendo che le condizioni del paese di origine, conosciute mediante le COI aggiornate, non consentivano di ritenere l’esposizione del ricorrente ad una violazione dei diritti fondamentali e, dall’altra, affermando che nessuna dimostrazione riguardante la sua specifica vulnerabilità, nè la sua integrazione nel paese di accoglienza fosse stata fornita, al fine di consentire quel giudizio di comparazione dal quale, soltanto, è possibile riconoscere la protezione individualizzante.

2.3. A fronte di ciò, la censura proposta è del tutto generica: il ricorrente, infatti, al di là di meri enunciati, contenenti passaggi informativi sulle tensioni esistenti nella regione di origine fra governo e movimenti separatisti, nulla ha dedotto in ordine agli elementi di valutazione forniti e non valutati dai giudici d’appello, al fine di consentire a questa Corte di apprezzare l’errore denunciato, limitandosi a ribadire la situazione di instabilità esistente nel paese di origine (cfr. pag. 8 del ricorso).

3. La mancata difesa della parte intimata esime la Corte dalla decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

4. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 8 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 novembre 2020

 

 

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