Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24183 del 13/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 13/10/2017, (ud. 01/03/2017, dep.13/10/2017),  n. 24183

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6714/2013 R.G. proposto da:

A.D., rappresentata e difesa dall’Avv. Franca Tonello,

con domicilio eletto in Roma, via di Villa Ada n. 10, presso lo

studio dell’Avv. Stefano Galanti;

– ricorrente –

contro

G.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Angelo Lorenzon,

con domicilio eletto in Roma, viale G. Mazzini n. 13, presso lo

studio dell’Avv. Maria Cristina Calamani;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 1739

depositata il 6 agosto 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1° marzo 2017

dal Consigliere Milena Falaschi.

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– il Tribunale di Venezia – Sezione distaccata di San Donà del Piave, con due sentenze, la prima non definitiva, del 2006 e n. 355 del 2009, la seconda, a definizione del giudizio introdotto dalla A.D. nei confronti di G.G. (con il quale chiedeva disporsi lo scioglimento della comunione dell’appartamento acquistato dalle parti in comproprietà in ragione del 50% ciascuno), per quanto qui ancora di interesse, disponeva, con la prima pronuncia, la separazione dell’immobile assegnandolo all’attrice e determinando in Euro 75.000,00 il conguaglio che la A. era tenuta a versare al G. a fronte dell’assegnazione della quota del bene di proprietà di quest’ultimo, con la seconda decisione, in accoglimento della riconvenzionale spiegata dal G., condannava la A. alla corresponsione di ulteriori Euro 16.658,92, oltre accessori, quanto al credito vantato dal convenuto per avere corrisposto in via esclusiva l’acconto del prezzo di acquisto dell’immobile;

– sul gravame proposto dall’ A., la Corte d’appello di Venezia, nella resistenza dell’appellato, ha respinto l’appello, ritenendo provato che esclusivamente il G. aveva versato l’acconto dell’appartamento per Lire 130.000.000; inoltre non ravvisava di accogliere la domanda risarcitoria dell’ A. per la pretesa perdita di occasioni di alienazione del bene per colpa del convenuto che lo occupava, non considerando formulata una domanda in tal senso, dedotta la circostanza ai soli fini del regolamento delle spese processuali;

– per la cassazione del provvedimento della Corte d’appello di Venezia ricorre la A. sulla base di cinque motivi;

– il G. resiste con controricorso;

– in prossimità della camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Atteso che:

– il primo motivo di ricorso (con il quale si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 132,156 e 161 c.p.c., oltre ad omessa e comunque insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5 per essere state scritte interamente a mano e in modo del tutto illeggibile le ragioni della decisione) è manifestamente infondato.

Il tema della sentenza scritta con grafia illeggibile è stato più volte affrontato da questa Corte – per lo più nel settore penale – che ha affermato il principio, utilizzabile anche in questa sede, che la indecifrabilità della grafia della sentenza redatta a mano non determina alcuna nullità, ma eventualmente abilita ogni interessato a richiedere alla cancelleria copia conforme dattiloscritta ai sensi degli artt. 743 e 746 c.p.c., in quanto il rilascio di copia degli atti non può che riferirsi a copie leggibili e comprensibili per cui, ove l’atto tale non sia, l’Ufficio dovrà provvedere a fornirne copia che di tali caratteristiche sia dotato.

La legge non prevede quale causa di nullità della sentenza l’illeggibilità della sentenza, nè la stessa può farsi rientrare nella mancanza di motivazione, dovendosi intendere quest’ultima riferita esclusivamente alla mancanza grafica e non ad altri vizi formali di diversa natura (v., in termini, Cass. 23 settembre 2016 n. 18663). Peraltro, nel caso in esame tale situazione non ricorre perchè l’esame della sentenza manoscritta, acquisita agli atti in copia conforme, rende certi che ne è oggettivamente possibile la lettura, sia pure con qualche difficoltà, dovuta alla cattiva qualità della fotocopia (problema che non si pone certamente per l’originale a disposizione della parte);

– la seconda censura (con la quale viene denunciata la violazione e la falsa applicazione delle norme di diritto in relazione al contratto di mutuo, oltre ad omessa e comunque insufficiente motivazione di un fatto decisivo e controverso quanto alla errata valutazione sul reale ammontare delle rate di mutuo, asserendo che la corte distrettuale non aveva tenuto conto che il primo giudice non aveva compensato il credito dell’appellante con Lire 130.000.000 ma con la metà) e la terza doglianza (con la quale viene denunciata la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1322 c.c., nonchè omessa e comunque insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio relativamente all’errata valutazione della c.t.u. quale mezzo di prova ai sensi degli artt. 115 e 116 c.p.c., oltre a violazione dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c. per essere incomprensibile il ragionamento della corte territoriale quanto alla contestazione di errata interpretazione delle risultanze della c.t.u. in relazione alla stima dell’immobile in contestazione) – da trattare congiuntamente per la evidente connessione argomentativa relativa alle rispettive posizioni di dare ed avere – sono prive di pregio.

La Corte d’Appello ha motivatamente spiegato le ragioni della propria adesione alle risultanze sostanziali della consulenza tecnica d’ufficio, al pari del giudice di primo grado, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, in quanto – precisato che non erano state riconosciute a credito dell’appellante le rate successive a luglio 2002 per tardività della domanda – ha ravvisato la correttezza della detrazione dell’acconto versato dal solo G. di Lire 130.000.000, dato contabile di cui il consulente tecnico non aveva tenuto conto, nella circostanza che il mutuo era stato richiesto per solo Lire 300.000.000 a fronte di un prezzo complessivo dell’immobile di Lire 430.000.000, e ciò non poteva non incidere sulle rispettive posizioni di dare ed avere dei condividendi, salvo a determinare un pregiudizio per il comunista non assegnatario del bene.

Del resto, come evidenziato dagli stessi calcoli prospettati in ricorso (v. alla pag. 14 con riferimento al terzo motivo), il fatto che la ricorrente si sia accollata il residuo mutuo rispetto la data di assegnazione alla medesima dell’appartamento è circostanza che ha formato oggetto di stima delle rispettive quote da parte dell’ausiliario del giudice e tanto rappresenta un limite all’esistenza stessa del diritto di credito preteso dalla A., limite il cui accertamento costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Cass. 30 novembre 2012 n. 21491).

Va comunque aggiunto che la portata di quanto la ricorrente prospetta con le censure costituisce una diversa interpretazione delle difese dell’appellato rispetto a quella fornita dalla corte territoriale.

Inoltre la ricorrente fa riferimento ad un non meglio precisato collegamento negoziale che oltre ad introdurre una questione nuova, non essendovene traccia in atti e che, come tale, resta preclusa in questa sede di legittimità, implica un accertamento fattuale non consentito (sull’inammissibilità, nell’ambito del processo di cassazione di questioni nuove che importino accertamenti di fatto non operati nè richiesti al giudice di merito, cfr., fra le tante, Cass. n. 16742 del 2005). Per sola completezza si osserva, da ultimo, che nella prospettazione della ricorrente sono chiari i termini delle rispettive poste di dare ed avere fra i due comproprietari dal momento che per i ratei di mutuo la domanda della A. è stata ritenuta tardiva e sul punto non vi è stata impugnazione;

– il quarto motivo di ricorso (col quale si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1223, oltre ad omessa e comunque insufficiente motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio relativamente all’errata valutazione della domanda introduttiva del giudizio di primo grado quanto alla richiesta risarcitoria) non può trovare ingresso, giacchè dall’esame dell’atto di citazione del giudizio di primo grado – consentito in questa sede in considerazione della natura del vizio denunciato – la circostanza dedotta risulta esposta solo con riferimento alla richiesta delle spese processuali;

– infine, il quinto motivo di ricorso (col quale si deduce omessa e insufficiente motivazione circa il capo delle spese), premesso che la censura è esamina bile con l’art. 360 c.p.c., n. 5 ante riforma del 2012 per essere stata la sentenza impugnata depositata il 06.08.2012, è però in ogni caso infondata precisando che il giudice a quo ha correttamente motivato l’attribuzione delle spese processuali a carico dell’appellante, odierna ricorrente, in ragione del rigetto del gravame e quindi della soccombenza della stessa e ciò rende ingiustificata la doglianza circa la dedotta mancanza di motivazione, dal momento che la sentenza a tale soccombenza ha fatto riferimento nel regolare le spese processuali.

In conclusione il ricorso va respinto, ponendo le spese, liquidate come in dispositivo, a carico della parte ricorrente.

Sussistono le condizioni per il raddoppio del contributo unificato, sempre a carico della parte ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e pone a carico della parte ricorrente le spese, che liquida in Euro 3.200.00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misure del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte di Cassazione, il 1 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2017

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