Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 24180 del 13/10/2017


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Cassazione civile, sez. I, 13/10/2017, (ud. 06/07/2017, dep.13/10/2017),  n. 24180

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria C. – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria G.C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5535/2012 proposto da:

La Tecnocostruzioni – Costruzioni Generali S.p.a., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Viale Giuseppe Mazzini n.142, presso lo studio dell’avvocato

Galgano Giuseppe, che la rappresenta e difende unitamente agli

avvocati Guido Giovanni, Villani Alberto, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ansaldo STS S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Lungotevere Marzio n.1, presso lo

studio dell’avvocato Vianello Luca, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato D’angelo Andrea, Fiore Roberto, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3372/2011 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 03/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/07/2017 dal cons. LAMORGESE ANTONIO PIETRO;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale CARDINO ALBERTO che chiede che Codesta Suprema

Corte voglia rigettare il ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Ansaldo STS aveva affidato all’ATI, avente come capogruppo la Ingg. B. e M. Brancaccio, costituita anche dalla società Intercostruzioni, l’esecuzione delle opere relative alla linea ferroviaria (OMISSIS); la Tecnocostruzioni, succeduta all’Intercostruzioni a seguito di cessione di ramo di azienda, aveva convenuto in giudizio l’Ansaldo per ottenere il pagamento di somme varie, come conseguenza della richiesta risoluzione per inadempimento di un atto di transazione.

Il Tribunale adito, nel rigettare la domanda, ha rilevato che l’impresa capogruppo era l’unico soggetto legittimato ad interloquire con la stazione appaltante e che lo scioglimento del vincolo associativo, per effetto di recesso o revoca del mandato, non determinava il sorgere di un rapporto diretto tra l’impresa mandante e la stazione appaltante.

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 3 novembre 2011, ha rigettato il gravame della Tecnocostruzioni avverso la sentenza impugnata, rilevando che, alla luce della normativa codicistica in tema di mandato, integrata con quella speciale (a partire dalla L. 8 agosto 1977, n. 584, art. 22), qualsiasi revoca, individuale o collettiva, del mandato, se per giusta causa, determinava lo scioglimento del vincolo inter partes, ma non era opponibile al committente e, nella specie, all’Ansaldo, in veste di concessionaria dell’amministrazione.

Avverso questa sentenza la Tecnocostruzioni ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi; l’Ansaldo si è difesa con controricorso. Il PG ha concluso per il rigetto del ricorso. Le parti hanno presentato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato contraddittorietà della motivazione, per avere prima ravvisato l’esistenza di una causa di estinzione del mandato diversa dalla revoca e poi affermato che il mandato si era estinto per effetto di una revoca inefficace verso l’Ansaldo, anche se sorretta da giusta causa.

Il motivo è inammissibile, non censurando la ratio decidendi a sostegno della sentenza impugnata che riposa sulla rilevanza solo interna della estinzione del mandato conferito dalle imprese partecipanti all’ATI, pertanto inopponibile alla committente.

Con il secondo motivo la ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, art. 95, comma 5, D.Lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, art. 23, comma 8 e artt. 1723 e 1726 c.c., per avere ravvisato nella cessione di azienda una causa di revoca del mandato e, di conseguenza, per averla ritenuta inopponibile al committente, anche in presenza di giusta causa, mentre si trattava di un’autonoma e diversa causa di estinzione del mandato che era opponibile al committente, nonchè per avere dato rilievo ad un elemento non previsto dalla legge, come l’imputabilità della causa di estinzione del mandato alla volontà dell’impresa che intendeva avvalersene.

Con il terzo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dei medesimi parametri normativi sopra indicati, nonchè degli artt. 12 e 14 preleggi, per avere applicato ad una causa di estinzione del rapporto riguardante un’impresa associata la diversa disciplina prevista per la revoca del mandato per giusta causa, mancando l’eadem ratio necessaria per consentire il ricorso all’analogia.

Con il quarto motivo è denunciato vizio motivazionale, per non avere dato conto del percorso argomentativo attraverso il quale la Corte di merito è pervenuta a qualificare come revoca la causa di estinzione del mandato verificatasi nella fattispecie, pur avendo la stessa Corte affermato che il rapporto associativo si era estinto limitatamente alla Tecnocostruzioni per effetto della cessione del ramo d’azienda.

I motivi in esame, da esaminare congiuntamente, sono infondati.

Quello risultante dalle norme in esame, in ordine agli effetti della revoca del mandato da parte di una delle imprese riunite nell’ATI che, a norma del D.P.R. n. 554 del 1999, art. 95, comma 5 e D.Lgs. n. 406 del 1991, art. 23, comma 8, non ha effetto nei confronti della stazione appaltante – è espressione del principio generale della inopponibilità delle cause di estinzione del mandato nei confronti del committente, le quali assumono unicamente rilievo interno nei rapporti tra l’impresa mandante e l’impresa mandataria-capogruppo.

Se nemmeno la revoca per giusta causa può essere opposta alla committente, a maggior ragione non sono opponibili le cause di estinzione riconducibili a un atto volontario di una delle imprese riunite nell’ATI, come nel caso della cessione del ramo di azienda.

Come rilevato dal PG, non si tratta di un’applicazione analogica della norma sulla revoca del mandato, ma di un’applicazione dei principi che governano le associazioni temporanee d’impresa, desumibili dalla normativa speciale, la quale, nell’interesse del terzo committente, pone regole più stringenti di quelle poste dal codice civile, sancendo l’inefficacia delle cause di estinzione verso il terzo committente, anche in presenza di una disciplina codicistica in senso non coincidente (v. art. 1723 c.c., comma 2 e art. 1726 c.c.).

La ipotizzata equiparabilità della cessione del ramo di azienda alla revoca del mandato per giusta causa non è decisiva nell’economia dell’argomentazione svolta dai giudici di merito, i quali correttamente hanno rilevato che le cause di estinzione del mandato per fatti riconducibili alla volontà delle imprese, riunite nell’ATI, non sono opponibili al committente. Ciò rende improprio il riferimento della ricorrente alla ben diversa ipotesi del fallimento di una delle imprese mandanti, che comporta il venir meno, nei suoi confronti, dei poteri gestori e rappresentativi che competono all’impresa mandataria capogruppo (Cass. n. 20558 del 2015, n. 29737 del 2011).

I giudici di merito ne hanno logicamente fatto discendere l’esclusiva legittimazione processuale dell’impresa mandataria-capogruppo, nei rapporti con il committente (D.Lgs. n. 406 del 1991, art. 23, comma 9 e D.P.R. n. 554 del 1999, art. 95, comma 6), e il conseguente difetto di legittimazione della ricorrente, sulla base di una giurisprudenza costante (Cass. n. 12732 del 2012, n. 29737 e 25204 del 2011).

Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 7200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2017

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